martedì 28 ottobre 2025
In un sistema democratico, il diritto dei cittadini a essere informati e il corretto funzionamento della giustizia dovrebbero procedere di pari passo. Tuttavia, in Italia, il rapporto tra procure e organi di stampa è diventato un terreno complesso e scivoloso, dove le buone intenzioni di una riforma si scontrano con le difficoltà pratiche, creando un cortocircuito informativo che finisce per penalizzare proprio il cittadino.
Al centro di questo ingranaggio si trova la figura del procuratore capo, investito negli ultimi anni di una responsabilità sempre più gravosa e totalizzante nella gestione della comunicazione. Una situazione che, anziché snellire e rendere più trasparente il flusso di notizie, rischia di ingolfare gli uffici giudiziari e di limitare il fondamentale diritto di cronaca.
IL PROCURATORE “ADDETTO STAMPA”: UNA CENTRALIZZAZIONE PIENA DI INSIDIE
La recente riforma della giustizia, in particolare il decreto legislativo 188/2021, ha introdotto cambiamenti significativi nella comunicazione delle procure. Con l’obiettivo, condivisibile, di rafforzare la presunzione di innocenza, la normativa ha accentrato nelle mani del procuratore capo la responsabilità esclusiva dei rapporti con la stampa. Ogni informazione relativa a indagini in corso può essere divulgata solo attraverso comunicati ufficiali o conferenze stampa autorizzate dal vertice della procura.
Questa centralizzazione ha di fatto trasformato il procuratore capo, o un magistrato da lui delegato, in un vero e proprio “addetto stampa” dell’ufficio. Se da un lato si è voluto porre un freno alla fuga incontrollata di notizie e alla spettacolarizzazione delle inchieste, dall’altro si è creato un collo di bottiglia che solleva non poche perplessità. La valutazione sull’interesse pubblico di una notizia, un compito che dovrebbe essere appannaggio dei giornalisti, viene di fatto affidata alla discrezionalità di un magistrato. Questo, oltre a rappresentare una potenziale limitazione della libertà di stampa, carica il procuratore capo di un onere aggiuntivo che si somma alle sue già complesse funzioni investigative e organizzative.
UN SISTEMA “INGOLFATO”: I RISCHI DEL SILENZIO E DEI RITARDI
Le critiche a questo nuovo assetto non sono mancate, sia da parte dei giornalisti che degli stessi magistrati. Diverse procure si sono trovate in difficoltà nell’applicare scrupolosamente le nuove disposizioni, mentre altre le hanno ignorate o aggirate, creando una situazione di incertezza e disomogeneità sul territorio nazionale.
Il procuratore capo di Termini Imerese, Ambrogio Cartosio, ha pubblicamente criticato la legge, affermando che “crea ostacoli notevoli all’attività della libera informazione”. Pur sottolineando il dovere di rispettare le norme vigenti, le sue parole evidenziano un disagio diffuso tra gli addetti ai lavori. Anche il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha riconosciuto come per i giornalisti di cronaca nera sia diventato “impossibile o difficilissimo” fare il proprio lavoro.
Questa difficoltà si traduce in un concreto rischio di “ingolfamento” delle procure. I tempi di risposta alle richieste dei media si allungano, le notizie di interesse pubblico vengono filtrate o ritardate e, in alcuni casi, si arriva a un vero e proprio blackout informativo. Un esempio emblematico è stato il caso del naufragio dello yacht Bayesian a Palermo, dove i giornalisti hanno lamentato la totale assenza di notizie, spingendo il procuratore a convocare una conferenza stampa per fare chiarezza.
MENO INFORMAZIONE, MENO CONTROLLO
In questo scenario, la vittima principale è il cittadino. Un’informazione tempestiva e completa sui fatti di cronaca e sulle attività della magistratura è un pilastro della democrazia. Permette ai cittadini di esercitare un controllo sociale sull’operato della giustizia, di formarsi un’opinione consapevole e di sentirsi parte di una comunità informata e partecipe.
Quando il flusso di notizie si interrompe o viene eccessivamente filtrato, questo controllo viene meno. Il rischio è duplice: da un lato, si può generare un clima di sfiducia e sospetto nei confronti della magistratura; dall’altro, si lascia campo libero a fake news e a ricostruzioni parziali o distorte dei fatti. La mancanza di trasparenza, inoltre, può avere conseguenze concrete sulla vita dei cittadini. Si pensi a inchieste su reati ambientali, sulla sicurezza alimentare o su casi di malasanità: un'informazione rapida e accurata è fondamentale per la tutela della salute e della sicurezza pubblica.
UNA RIFLESSIONE NECESSARIA PER UN EQUILIBRIO POSSIBILE
È evidente che trovare un equilibrio tra la presunzione di innocenza e il diritto di cronaca non è semplice. Tuttavia, la soluzione non può essere una centralizzazione rigida che, di fatto, limita l’informazione e appesantisce il lavoro dei procuratori.
Sarebbe auspicabile una riflessione approfondita che coinvolga magistrati, giornalisti e legislatori per individuare meccanismi più efficaci e flessibili. La creazione di uffici stampa specializzati all’interno delle procure, composti da professionisti della comunicazione in grado di interfacciarsi con i media nel rispetto delle esigenze investigative e del diritto di cronaca, potrebbe essere una strada da percorrere. Allo stesso tempo, è fondamentale ribadire il ruolo insostituibile del giornalismo di qualità, capace di verificare le fonti, di approfondire le notizie e di fornire ai cittadini un'informazione completa e imparziale.
In definitiva, la sfida è quella di superare la logica del “muro contro muro” e di costruire un rapporto di collaborazione trasparente tra procure e stampa, nell'interesse superiore del cittadino. Perché una giustizia che non comunica in modo efficace è una giustizia che si allontana dalla società che è chiamata a servire.
di Alessandro Cucciolla