giovedì 16 ottobre 2025
Il recente dibattito pubblico, in particolare quello riguardante il conflitto arabo-israeliano, sembra sempre più dominato da una selettività morale che privilegia l’indignazione per le parole rispetto all’orrore per le azioni reali. Il recente scandalo che ha investito la giornalista Incoronata Boccia per una sua frase sulla guerra nella Striscia di Gaza ne è un esempio emblematico. Un fuoco di fila mediatico e politico si è acceso per mettere in discussione le sue affermazioni, scatenando un dibattito acceso sulla correttezza dell’informazione e il ruolo del servizio pubblico. Eppure, a rendere stridente questo clamore non è solo l’intensità della reazione, ma la sua sproporzione rispetto al silenzio che ha accompagnato la diffusione sui social di recenti, agghiaccianti, filmati provenienti da Gaza. Video che mostrano miliziani di Hamas intenti a compiere esecuzioni sommarie contro civili palestinesi disarmati e inermi. Questi filmati rappresentano l’apice della barbarie: non atti di guerra in senso stretto, ma omicidi a sangue freddo di persone del proprio popolo, presumibilmente perché sospettate di collaborazionismo o semplicemente per mantenere un controllo brutale sulla popolazione civile ormai sfiancata dopo due anni di guerra.
L’uccisione di un civile palestinese per mano di un altro palestinese, in questo contesto di guerra e disperazione, dovrebbe provocare un’ondata di indignazione globale, un ripudio universale che travalichi le consuete linee di faglia geopolitiche. Invece, il rumore suscitato dall’opinione di una giornalista ha finito per coprire l’eco di questi spari a bruciapelo. Com’è possibile che la messa in discussione di una narrazione su un’azione militare legittima possa ricevere più attenzione e crei uno scandalo più duraturo rispetto a un’evidenza visiva di atrocità perpetrate da miliziani contro i propri concittadini? Questa selettività evidenzia un fenomeno preoccupante: il conflitto mediorientale è diventato un campo di battaglia ideologico dove il giudizio morale viene applicato in modo asimmetrico. Se l’obiettivo è screditare il nemico, l’enfasi è posta su ogni sua potenziale colpa, anche verbale. Se invece l’azione violenta proviene da coloro che, nell’immaginario di alcuni, rappresentano la “resistenza”, i loro crimini vengono minimizzati, contestualizzati, o semplicemente ignorati, per non compromettere la narrazione predefinita. Lo scandalo inutile sollevato dalla frase di Incoronata Boccia, per quanto non possa essere considerato un errore giornalistico ma solo un’opinione personale, rischia di diventare un diversivo.
Funge da catarsi per un’indignazione che preferisce sfogarsi su una figura pubblica piuttosto che affrontare la scomoda e complessa verità: la violenza a Gaza non ha una sola fonte e le vittime innocenti non sono soltanto quelle colpite da una delle parti in causa. La vera crisi morale non è nel dibattito sulle parole, ma nel silenzio sui fatti che squarciano l’umanità. Finché l’indignazione sarà selettiva, la causa della pace e della tutela dei civili resterà una bandiera sventolata a metà. Non si può pretendere la giustizia per una parte ignorando la barbarie che si annida anche all’interno dei suoi stessi ranghi. La priorità assoluta di qualsiasi coscienza etica e civile dovrebbe essere l’orrore incondizionato per ogni vita innocente spezzata, a prescindere da chi preme il grilletto.
di Luca Ablondi