Tre nodi con cui la sinistra si impicca da sola

giovedì 9 ottobre 2025


Alcune considerazioni sono utili a comprendere la crisi del campo largo. Perché la sinistra si sta suicidando? Perché si impicca da sola con la corda dell’integralismo? Perché suoi rappresentanti come Francesca Albanese sembrano cloni dei tempi cupi, incapaci di leggere la realtà? Perché parte di una sinistra tri-schizofrenica ha denunciato alla Corte dell’Aja il governo Meloni per complicità con il “genocidio di Gaza” senza che il Partito democratico si dissociasse da una imbecillata simile? E infine perché la “base” non c’è più? Perché non esiste autocritica anche quando il “campo largo” perde la Calabria con 20 punti di svantaggio? E perché Elly Schlein e ogni piddino che si rispetti odia la Lega come se questa avesse massacrato bestialmente 1.250 cittadini italiani o mandasse in Siberia tutti i nemici del regime? Perché è così schizoide da dimenticare che l’alleato movimento 5 stelle con la Lega ha governato? Prima di analizzare le ragioni di una crisi simile a quella post caduta del Muro del 1989, alcune opinioni espresse recentemente da Fabrizio Cicchitto e da Piero Sansonetti.

LA DERIVA

Fabrizio Cicchitto dà una definizione interessante della deriva che ha colpito la sinistra occidentale. L’ex leader socialista craxiano parla di spostamento delle sinistre dal comunismo all’islamismo integralista, un fenomeno legato alla concorrenza tra Arabia e Iran komeinista nella “conquista” dell’Africa alla fede coranica e alla guerra contro Israele, prima della spaccatura tra sunniti e sciiti e degli Accordi di Abramo. Molta parte dell’antisionismo progressista” e marxista-giacobino è legato a una lettura di Israele come Stato teocratico che si concepisce come “popolo eletto”. Questo errore avvicina l’ateismo marxista di “sono fondatori del monoteismo, quindi sono colpevoli” alla concezione vetero-cattolica de “hanno ucciso il Figlio di Dio, quindi sono colpevoli”. Fa rabbrividire che questa resurrezione della colonna infame cominci a somigliare troppo ai peggiori esiti nazisti. Parlo di quel pozzo nero nato dalla deriva dell’antisemitismo europeo dei protocolli dei Savi di Sion.

L’integralismo islamico, come il neo comunismo nell’Europa occidentale degli anni Settanta, crede nella conquista violenta del potere, e abbandona l’obiettivo libertario di combattere il potere. Negli anni Settanta al leninismo-stalinismo si accompagna il terrorismo, l’arma di distruzione di massa non convenzionale, mutuata dalle “intifadamediorientali dalle Brigate rosse, con supporti dei Soviet russi. Anche se in chiave marxista, il “bagno di sangue” rivoluzionario corrisponde al sacrificio religioso, con vittime destinate a unificare le masse proletarie contro la borghesia (lotta di classe). La dittatura giacobina diventerà la dittatura del proletariato e poi quella islamica. Alla ragione di Stato si sostituisce la ragione del Partito. La critica al terrorismo, analizzato con profetica lucidità da Albert Camus ne L’uomo in rivolta, prende la strada del neoromanticismo fochista del Che Guevara, in una nazione militarizzata come Cuba, faro falso della sinistra mondiale.

Ma quando la società occidentale diventerà fluida, e il proletariato industriale opposto alla “bottana industriale” (cit. Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d’agosto) comincerà a votare Lega nord, il quadro politico si complica. La rivolta di Bologna del 1977 sarà indirizzata soprattutto contro il sindaco del Pci e il segretario della Cgil Luciano Lama, il cui palco sarà buttato all’aria dai “non-garantiti”. Il Pci cadrà in una confusio linguarum babelica dopo la caduta del Muro e dopo il corteo dei 40mila di Torino. Quando il proletariato italiano diventerà (un poco più) garantito e quello cinese diventerà (molto più) schiavizzato, allora le sinistre resteranno senza lotta di classe. Troveranno una strada alternativa nella “battaglia moralizzatrice” degli anni Novanta, con l’insolita alleanza coi magistrati politicizzati – quelli uccisi da terroristi politicizzati pochi anni prima; poi troveranno un’'altra possibile sopravvivenza politica dopo l’11 settembre 2001 e con la guerra in Iraq e Afghanistan (le guerre nella ex Jugoslavia furono cavalcate da Bill Clinton e Massimo D’Alema, quindi sono state “guerre giusted’emblée), quando si riacutizzerà l’odio contro Israele e gli Stati Uniti, considerati come nemico mondiale di classe.

Infine, oggi, la deriva islamista, che vede l’indipendentismo di Gaza (falso: Gaza la avevano già) come se fosse il Risorgimento italiano. Certo, anche le guerre di indipendenza dei Savoia hanno causato morti e feriti, ma Hamas è una organizzazione orroristica, non è possibile nessuna assimilazione con la Resistenza italiana o con l’indipendentismo storico. Eppure a Gaza si sono saldati tutti i falsi, dai Protocolli di Sion all’antisemitismo stalinista, dalla lotta alle multinazionali a quella contro l’Unione europea e per la Russia putiniana dalle mille infamie (quella della Cecenia, che nel dopoguerra batte persino Pol Pot in Myanmar e il genocidio del Ruanda). Inconsapevolmente, i post-comunisti si ritrovano di fronte alla Sfinge dell’odio contro tutto e tutti (“Blocchiamo tutto”). Beppe Grillo è stato un gigante al confronto, col suo Vaffa come unico programma per il consenso universale. Noi preferiamo la risposta della Fondazione Einaudi: “Sblocchiamo tutto”, perché la sinistra è in Occidente il blocco di tutto e tutti. È stata regressista dalla guerra contro la tivù a colori al divorzio, contro le centrali nucleari civili diffuse in tutto il mondo senza problemi. Fino a ripetere parole oscene contro Israele e gli ebrei, simili a quelle dei regimi nazifascisti, e a tollerarle nei cortei. Fino al cartello con la scritta “Quest’anno risparmia sugli addobbi di Natale, appendi un sionista! La corda è in omaggio”.

Rispetto all’integralismo islamico, citerò un flash sull’Afghanistan pre-islamico, tratto dall’introduzione di Bruce Chatwin all’illuminante libro di Robert Byron La via per l’Oxiana (Adelphi, 1993): “Nel 1962 – sei anni prima che gli hippies lo rovinassero spingendo gli afghani istruiti nelle braccia del marxismo – per le strade di Herat si vedevano uomini con vertiginosi turbanti passeggiare mano nella mano, una rosa in bocca e i fucili avvolti in chintz a fiori. Anche a Kabul a una festa si poteva vedere il cugino del re, il principe Daud, vecchia camicia nera mussoliniana, col suo sorriso torbido, la testa e gli stivali lucidi, che parlava con – chi? – Duke Ellington [uno dei maggiori musicisti jazz statunitensi]”.

IL GIUSTIZIALISMO SECONDO PIERO SANSONETTI

Sansonetti, ex direttore di Liberazione e oggi direttore de L’Unità, pur avendo posizioni non encomiabili su alcuni contesti nazionali e internazionali, è illuminante e spiazzante quando spiega il giudizio universale degli anni Novanta. Non usa mezze misure: Silvio “Berlusconi è stato perseguitato. Non è uno slogan, è la verità. I processi furono organizzati per estrometterlo dal potere. Le procure volevano riscrivere l’equilibrio tra poteri dello Stato. Hanno tentato un colpo di Stato”. Dopo di che Sansonetti passa a considerare la connivenza leninista (cioè cinica) con cui l’ex Partito comunista italiano (Pci) ha cercato di salvare sé stesso dopo la fine dell’impero sovietico. Con un classico atto d’accusa contro gli altri: Dc e Psi partiti che crollarono in pezzi, anche se facevano parte del lato-giusto-della-forza, mentre il Partito – anche con Enrico Berlinguer – rimaneva comunque dentro a un’ottica marxista, perché fino allora aveva goduto di fondi russi e si muoveva anch’esso con una certa disinvoltura nei rapporti col mondo della finanza e dell’industria italiane.

Sansonetti fa una critica sacrosanta, anche se le sue proposte non sembrano efficaci: “Abbiamo smesso di fare politica. Abbiamo lasciato che fossero i giudici a fare il lavoro sporco. A chiedere le manette per gli avversari. Un suicidio”. L’arma del giustizialismo sostituiva il resto: “Abbiamo rinunciato al conflitto sociale, alla lotta di classe. E ci siamo condannati all’irrilevanza”. Certo, oggi il conflitto di classe come programma politico del secondo Millennio avrebbe poche chance. Certo, la “pro islamizzazione” cui vanno incontro il Pd e i suoi alleati, con la cittadinanza onoraria concessa dal sindaco di Bologna a quella Francesca Albanese che – più che per suo sostegno alla causa di Gaza (a ciascuno il suo) – è inaccettabile per il suo odioso odio per il “sionismo”. Invece la magistratura, contro i tantissimi casi pubblici di antisemitismo, dovrebbe intervenire con un minimo di zelo, a meno che non consideri la giustizia politica con lo stesso metro con cui si amministrano i disordini legati al gioco del calcio.

I DIRITTI COME SOSTITUTO DELLA RIVOLUZIONE “PROGRESSISTA”

Secondo Vladimir Lenin la “giustizia proletaria” e la violenza rivoluzionaria hanno un valore assoluto. Non c’è spazio per una giurisprudenza universale basata sui diritti umani. Come scriveva Iosif Stalin nel suo Questioni del leninismo del 1948, “la legge della rivoluzione violenta del proletariato è legge ineluttabile”. Leninismo e stalinismo pongono come loro fondamento la “impossibilità della convivenza pacifica”. Di fronte a ciò tutto il movimento dei diritti – pur encomiabile in linea di principio – diventa una battaglia per la ricerca di una nuova identitàdi sinistra” fondata sul politicamente corretto, per esempio sul tema Lgbtqia+ e sull’immigrazione. Il fatto è che queste lotte non pagano in termini elettorali: la stessa base elettorale del Pd è contro i “troppiimmigrati, proprio come la Lega, ed è poco interessata alla questione Lgbt.

A questo punto la sinistra si è tuffata a corpo morto nel gran casino di Gaza, innescato, lo ribadisco, da Russia e Iran, da Qatar e Kuwait per questioni legate al gas nel bacino sudorientale del Mediterraneo (tra Egitto e Cipro e – forse – fino alla Grecia). Qui sono nate alcune contraddizioni: come conciliano le sinistre l’appoggio entusiastico ai diritti con l’appoggio entusiastico ad Hamas e Iran, che gli omosessuali li scorticano vivi e uccidono le donne senza velo? I giovani possono farlo: a loro importa fare gruppo, sentirsi attori, entrare nella società. Ciò è comunque giusto e, del resto, la cattiva strada è la strada più corta e facile, anche se ti porta diritto in un burrone. Ma i vecchi hanno un’ossessione contro gli immigrati.

Di tutto ciò a Nicola Fratoianni, Giuseppe Conte, Schlein, non frega molto: importa aver trovato un’identità nuova, un collante (ma nel frattempo le masse in Calabria e Marche non li hanno seguiti). Forse quindi la deriva isla & mistica di cui parla Cicchitto è nata nelle élite, ma non nel popolo. Il rischio di un’islamizzazione di parte dei giovani occidentali è reale: se il cristianesimo si fa Ong, si finisce per accettare la legge della sharia – per quanto sia antica e tribale – perché è simile alla giustizia del proletariato che ha prodotto entusiasmi per Hamas, e indulgenze per militanti vecchi e nuovi che hanno sbagliato. La tentazione delle dittature sembra una costante.

La democrazia sembra l’Isola Non-Trovata di Guido Gozzano e Peter Pan. La sinistra poi è insopportabile su Putin: No alle armi (e quelle di Hamas e di Putin e di Teheran?) anche se il Vietnam ha combattuto, Fidel Castro e Guevara hanno combattuto. Ah, ma quelle erano guerre giuste). Il comunismo ha fatto guerre quanto l’Occidente. Però è pacifista, e Israele, attaccata da eserciti e terroristi da 80 anni, è guerrafondaia. La sinistra poi quanto a invasioni Barbariche è legata mani e piedi a quella encefalite prodotta da Il Fatto quotidiano e dal leader del fu Movimento 5Stelle, che -come altri a destra- sono convinti della vittoria finale da parte del Nerone del Cremlino.

LA FINE DEL MONDO È LA FINE DI UN’IDEOLOGIA

Quanto detto riporta a una conclusione. La guerra contro l’Europa minacciata da Putin resta dietro le vetrine, ma molti ci pensano. Allora è meglio prendersela con Gerusalemme. Le masse sono vili come le pecore negli ovili. Solo che non hanno un Buon Pastore, ma solo cani selvaggi, che sono peggiori dei lupi. La guerra richiama l’argomento della Fine del mondo. Ne scrisse 50 anni fa l’antropologo Ernesto de Martino, secondo il quale esistono apocalissi culturali che appestano il mondo. Un’isola viene invasa dai conquistatori spagnoli: gli isolani si uccidono in massa. Gli indios amazzonici o australiani che finiscono nelle città a mendicare e a ubriacarsi con un lento suicidio. I nazisti che si suicidano prima dell’arrivo dei liberatori angloamericani.

Ernesto de Martino metteva il comunismo nel campo delle apocalissi culturali: il comunismo – ateo – ha una sua liturgia di massa. Ha un suo Paradiso: la società proletaria mondiale. Ha un suo inferno: il capitalismo occidentale e la tecnologia. Ha un suo (pre) giudizio universale contro ogni nemico politico. Al pari di Iran e del fu Hugo Chávez considera gli Usa come il grande Satana. I cittadini sono come dei fedeli. Come nelle religioni vi sono sacerdoti che spiegano il mondo e l’ultramondo. Vi sono missionari. Il crollo di questo sistema totalitario da Lenin oggi cosa produce? La sensazione che la fine del sogno comunista coincida con una incombente fine del mondo. In un caos così complesso, risorgono movimenti, voli pindarici di massa, nuove isole ideali da visitare.


di Paolo Della Sala