mercoledì 24 settembre 2025
Milano, cuore pulsante della finanza e della cultura, è stata teatro di una violenza cieca e inaccettabile che, lungi dal sostenere la causa palestinese, l’ha infangata e ha lasciato una cicatrice profonda sul volto della nostra democrazia.
Ciò che doveva essere una manifestazione di solidarietà si è trasformato in un’orgia di vandalismo e prepotenza, con frange violente che hanno utilizzato la scusa di Gaza per scatenare la loro furia distruttiva. Cartelli stradali divelti, cestini trasformati in proiettili, transenne usate come arieti: questo il desolante spettacolo offerto da individui che, senza alcuno scrupolo, hanno infranto vetrine e porte d’accesso alla stazione, seminando caos e paura. Non si tratta di “protesta”, ma di pura e semplice criminalità, di un attacco al bene pubblico e alla civile convivenza.
Le conseguenze? Treni bloccati, pendolari e viaggiatori ostaggio della follia, con disagi che si sono protratti per ore. Una città in ginocchio, la sua efficienza paralizzata dalla barbarie. E mentre il mondo guarda con orrore gli scontri in Medio Oriente, in Italia ci troviamo a fronteggiare una violenza interna che ci riporta indietro di decenni, a pagine buie della nostra storia che credevamo superate.
Le parole del sindaco Sala sono un monito doveroso: “Il vandalismo di frange violente non aiuta la causa”. Anzi, la danneggia irrimediabilmente, offrendo un alibi a chi vuole criminalizzare ogni forma di dissenso e delegittimando la voce pacifica di chi manifesta per un ideale. Ancora più perentorie le parole della presidente del Consiglio Meloni, che ha stigmatizzato la “prepotenza e violenza gratuita”. È inaccettabile che manifestazioni di piazza vengano sistematicamente dirottate da elementi eversivi, trasformandole in occasioni per sfogare una rabbia cieca e distruttiva.
Cosa resta di questa vicenda folle? Resta l’amaro in bocca per una causa giusta che viene strumentalizzata, resta la sensazione di un Paese in balia di una minoranza violenta che non conosce rispetto per le regole, per le persone, per la legalità. Resta l’immagine di un’Italia che, invece di guardare avanti, rischia di essere trascinata indietro da chi confonde la libertà di espressione con il diritto di devastare.
È tempo di dire basta. È tempo che le istituzioni, la politica e la società civile si uniscano per isolare e condannare senza appello chiunque utilizzi la violenza come strumento di lotta. L’Italia non merita questa regressione. I cittadini non meritano questa paura. La causa palestinese, e qualsiasi altra causa, non merita di essere rappresentata da atti di puro teppismo. La violenza non ha colore politico né giustificazioni. Ha solo un nome: degrado.
di Alessandro Cucciolla