lunedì 22 settembre 2025
Chi ha avuto torto? Elon Musk, di sicuro, quando ha chiamato a raccolta la destra europea per combattere l’islamizzazione del nostro continente, il crollo delle nascite e le élite corrotte. Invitando le destre europee a conformarsi allo standard Maga, per orientare in modo comune e solidale le loro forme-Partito, Musk, che sarà pure il genio indiscutibile che tutti conosciamo, ha commesso l’errore di approssimare con accenti demagogici una realtà a lui del tutto sconosciuta, come la storia dei Partiti europei, dall’Ottocento a oggi. Perché lui, trumpianamente, non ama granché studiare e approfondire le questioni politiche complesse, e preferisce semplificare al massimo le posizioni in campo, schierando i nemici di qua e gli amici di là. E, invece, le realtà sociopolitiche si nutrono di sfumature, a volte inutili e decisamente fastidiose. Ma, per fare la sintesi giusta, togliendo il superfluo, occorre in primo luogo avere padronanza delle questioni che si citano. L’errore di esagerata e rozza approssimazione di Musk è stato di ridurre a fattor comune le destre europee, che sono accumunate, è vero, dalla comune avversione per l’immigrazione incontrollata, e combattono come i seguaci di Donald Trump il woke dilagante del multilateralismo terzomondista onusiano, il multiculturalismo e il gender, ma che divergono sostanzialmente nelle prospettive storiche.
Nella Francia (a encefalogramma piatto) di Emmanuel Macron, l’estrema destra di Marine Le Pen, affidata a Jordan Bardella (in attesa del clearing giudiziario per il via libera a una candidatura all’Eliseo di Marine, nel 2017) sembra sempre più “melonizzarsi”, in vista della vittoria alle prossime elezioni legislative e presidenziali. Come presidente del Rassemblement National, ispirandosi alla linea conservatrice di Giorgia Meloni, Bardella ha a più riprese rassicurato gli uomini d’affari francesi che un presidente della Repubblica di destra non necessariamente significa disastro fiscale e crisi dell’euro, citando così senza dirlo il caso italiano. Solo in Germania, l’Afd appare molto più solidale con le teorie complottiste di Musk, ma rimane ancora distante dall’assumere responsabilità di governo, anche a causa della santa alleanza ad escludendum ai suoi danni, a opera di democristiani, popolari e socialdemocratici, che preferiscono mescolarsi tra di loro scolorando le proprie posizioni ideologiche, pur di fermare la montante “marea rossonera”. Il che, stando ai trend e ai sondaggi, equivale a voler fermare il vento (politico) con le sole mani. Praticamente maggioritaria nell’ex Germania dell’Est, in cui cresce il malcontento verso un’unificazione ritenuta svantaggiosa dagli “Ossis” (tedeschi dell’ex Ddr), l’Afd è decisamente xenofoba e filoputiniana, in netto contrasto con la destra italiana e, in parte, inglese e francese.
Un destino simile all’Afd sembra riguardare la destra inglese, sempre più radicalizzata, ma che, al contrario della sua contro immagine tedesca, potrebbe arrivare a governare nel 2029, a causa del diverso sistema elettorale anglosassone, in cui vige la così detta “uninominale secca” (“first-past-the-post”). Infatti, Reform Uk (il Partito di Nigel Farage, attualmente quotato al 30 percento) sulla lotta all’immigrazione illegale è allineato con l’Afd che predica la remigration, ovvero il rimpatrio forzato, essendo favorevole alle espulsioni di massa degli irregolari. Chi ha avuto, invece, ragione, nel tempo? Giorgia Meloni, che invece di aderire al Mega (“Make Europe Great Again”), e tantomeno al Miga (“Make Italy Great Again”), ha preferito scegliere l’ultima vocale rimasta, preferendo il Moga. Ovvero, “Make Occident Great Again”, dove nella sua visione Stati Uniti ed Europa sono legati a un destino e un filo storico comune. In tal senso, la Meloni ha costruito con la santa pazienza la sua Terza via, in cui non c’è né l’Europa federale, né l’autarchia dei “No-Euro” e “No-Eu” ma, più pragmaticamente, la scelta delle cose possibili, e una strategia a lungo termine per realizzarle. Così, nel sottofondo affiora il rumor di una destra italiana che, senza grandi drammi né violente scosse, si avvia vero il campo europeo dei conservatori e dei popolari, avendo compreso benissimo che la minoranza ghettizza, anche se nel breve termine procura qualche vantaggio di posizione.
Così, l’Orco meloniano delle sinistre progressiste di tutta Europa, quella Georgia Meloni dalle origini popolari, l’under dog della politica italiana, il cui avvento era (secondo i suoi delusi detrattori) foriero e prodromico di tutte le disgrazie, sociali ed economiche, una volta al Governo ha messo tutti nel sacco facendo le cose giuste (e facendole, in pratica, a dispetto dei santi, data la demagogia di qualche alleato rissoso). Perché, poi, la rivoluzione nera, il ritorno a un passato nostalgico che rinnovasse i (ne)fasti del Ventennio in lei non c’è mai stato, e mai ci sarà. Invece, dal 2022, anno di insediamento dell’attuale Governo di centrodestra, si è manifestato in tutta l’ampiezza necessaria il suo pragmatismo, come le riconosce senza riserve il paludato settimanale della City londinese, The Economist, nella sua edizione del 20 settembre. Questi i tratti distintivi del Modello (conservatore) Meloni. In primo luogo, la fermezza nel contrastare l’immigrazione illegale, senza mai assecondare nessun piano inclinato xenofobo. Nei discorsi della Premier, oltre a contrastare la maternità surrogata, non si sono visti gli eccessi dei pro-vita dei movimenti antiabortisti americani. In secondo luogo, il duo inseparabile Giancarlo Giorgetti-Giorgia Meloni ha messo a segno la realizzazione di un serio e virtuoso regime di disciplina fiscale, lode e vanto dell’Europa di Maastricht, come gli è stato riconosciuto dall’upgrading di Ficht sull’affidabilità dei conti economici italiani.
Il calcolo, in tal senso, è chiaro, dice l’Economist: “L’economia italiana dipende dalla benevolenza europea, perché poi le sue aziende stanno nel mercato unico e i suoi titoli del debito pubblico necessitano del sostegno della Bce”. In politica estera, Meloni e il suo Governo hanno inanellato, come noto e riconosciuto dagli osservatori internazionali, una serie impressionante di successi, con il sostegno all’Ucraina contro la Russia, evitando un’esposizione eccessiva all’interno dello schieramento dei Volenterosi, per l’invio di truppe di interposizione europee sulla linea congelata del fronte russo-ucraino, una volta terminate le ostilità. Idem per la controversia sui dazi imposti da Trump, in cui la Meloni ha preferito allinearsi alla strategia di Ursula von der Leyen, piuttosto che fare da cavaliere solitario, cercando un dialogo diretto con la Casa Bianca. Anche nel caso del disastro umanitario su Gaza, il Governo Meloni ha parlato con voce netta e chiara, senza per questo condividere le scelte estreme, suggeritele dall’opposizione, di rottura unilaterale dei rapporti di collaborazione con Israele. In merito, Elly Schlein e le sue coorti giallo-verdi la dovrebbero smettere di convocare a gesta e urla mediatiche senza sosta il Governo a riferire su Gaza e Ucraina, enunciando lei e loro, finalmente, una sola “idea di sinistra”, che non sia già detta dal Papa!
di Maurizio Guaitoli