I leoncavallini sfrattati? Meglio lasciarli dentro il centro e buttare via la chiave

martedì 26 agosto 2025


Scompiglio tra i compagni dopo lo sgombero del Leoncavallo. L’ordine di sfratto dalla storica sede di via Watteau, che i nobili leoncavallini occupavano abusivamente dal settembre 1994, ha letteralmente gettato nel panico le vedove inconsolabili del centro sociale autogestito più famoso d’Italia, ora talmente affrante da non riuscire ancora a capacitarsi dell’accaduto.

Perché 31 anni ininterrotti di occupazione abusiva e tre milioni di euro costati allo Stato italiano per risarcire i legittimi proprietari dell’immobile, la famiglia Cabassi, dei canoni d’affitto non pagati, evidentemente, per quei bravi ragazzi del Leoncavallo, non erano ancora sufficienti. Probabilmente, costoro avrebbero di gran lunga preferito protrarre il loro esercizio abusivo anche per il prossimo trentennio, e poi, ancora, per il successivo, continuando a sguazzare nell’illegalità e a gravare eternamente sulle tasche dei cittadini. Tuttavia, purtroppo per loro (e per fortuna dei contribuenti italiani), le cose sono andate molto diversamente da come costoro si sarebbero auspicati che fosse. Dopo più di cento sfratti ignorati, notificati ai destinatari dal 1994 ad oggi, il Viminale ha deciso di fare calare il sipario su una lunghissima stagione di abusi e irregolarità, peraltro estremamente onerosa per i conti pubblici. Ma, adesso, a sgombero finalmente eseguito, leoncavallini indignati e compagni di vario ordine, grado e sfumatura urlano all’unisono allo scandalo. Colpiti al cuore e profondamente feriti nell’orgoglio, ora essi sbraitano, si dimenano, denunciano a gran voce l’azione forzosa delle “destre”, desiderose di “mettere le mani su Milano” e di voler consumare la loro cruenta vendetta “contro cinquant'anni di cultura e di idee”.

Chiaro, no? L’allegra compagnia di Leonka pratica da decenni l’illegalità e l’abusivismo più sfrenato, gravando come un macigno sulle spalle dei cittadini, ma tutte le responsabilità del caso sono solo e soltanto da ascrivere alle condotte autoritarie dei rappresentanti dell’Esecutivo in carica, invidiosi, secondo i rossi, di uno spazio unico e irreplicabile come il Leoncavallo, e, pertanto, vogliosi di colpire a morte 50 lunghissimi anni di cultura e di idee. A quale cultura e a quali idee facciano, poi, riferimento costoro non è dato sapersi. Di certo, ciò che invece è noto, è il modello culturale a cui i docili occupanti orgogliosamente si rifanno: quello fondato sull’illegalità dilagante, sull'abusivismo selvaggio, sul parassitismo come modo supremo di approcciarsi alla vita.

In un Paese diverso da quello in cui viviamo, magari più intransigente e rigoroso, li avrebbero sbattuti fuori a calci nel sedere già da qualche decennio, e spediti per direttissima a lavorare (verbo per la stragrande maggioranza di costoro ancora del tutto sconosciuto). Chi scrive, invece, probabilmente perché mosso da un animo liberale, avrebbe certamente evitato di provocare un simile trauma nell'animo ferito dei leoncavallini delusi, e optato per la soluzione uguale e contraria rispetto a quella assunta nelle scorse ore dal Viminale. Piuttosto che dare esecuzione allo sfratto, fare in modo che questa folta pattuglia di “fini intellettuali” potesse continuare a diffondere cultura e dare libero sfogo alle proprie idee all’interno del centro anche nel prossimo trentennio. A patto di lasciarceli dentro e di buttare via la chiave.


di Salvatore Di Bartolo