venerdì 1 agosto 2025
La notizia della “conclusione” della trattativa Usa-Europa sui dazi ha – come era prevedibile – alzato i toni del confronto politico, così come della confusione che approcci ideologici e comunque settoriali comportano. Qualche settimana fa provavo a valutare i comportamenti degli attori nella trattativa sulla base di regole (e costanti) politiche, a lato di quelle più invocate, economiche, ed ora, anche se sullo sfondo, alle conseguenze sociali. Ci riprovo a individuare gli idola taluni sfornati da tempo e ora aggiornati. Il primo è la cattiveria (e l’ignoranza) di Donald Trump. Il quale, secondo i suoi detrattori, ha il vizio capitale: a) di agire per conseguire l’interesse (del popolo) americano, e b) di non applicare idee di qualche Balanzone di regime, colme di buone intenzioni e condite da zuccherosi appelli. A cui bisogna notare che da qualche secolo (o anche di più) si ritiene che il governante capace sia quello che realizza l’interesse della comunità, e non quello che predica bene e anche quando razzola altrettanto bene, non consegue il reale interesse comunitario (un tempo chiamato – o meglio sussunto – al bonum commune).
Al riguardo gran parte dei commentatori concorda sul fatto che l’accordo sia più vantaggioso per gli Usa. Non sono in condizione di giudicare, specie a lungo termine, né i benefici né le perdite. Sta di fatto che se Trump ha “messo nel sacco” la baronessa, bisogna ammettere che è stato bravo: se qualcuno sceglie un mediatore per trattare lo vuole fedele e capace, non uno sprovveduto remissivo. Di questo tipo di governanti ne abbiamo avuti tanti in Italia (e qualcuno anche in Europa): da chi vagheggiava di un’economia renana al “ce lo chiede l’Europa” per giustificare la loro arrendevolezza senza assumersene la responsabilità (si sa che servilità e viltà vanno quasi sempre a braccetto). Così che tacciare il tycoon di aver messo l’Europa nel sacco conseguendo vantaggi per gli americano è fargli un complimento. Terzo: non è che a indebolire l’Europa nel negoziato è stato proprio quello che il vicepresidente Vance aveva rimproverato ai governanti europei: di aver perso il consenso dei propri elettori? Come mi è capitato di sostenere, questo è uno dei fattori di potenza del governo: il sostegno non unico, ma principale che assicura la coerenza tra vertice e base, governanti e governati. Se l’avversario sa che è dubbio o carente, ne approfitta, nei frangenti estremi muovendo guerre, in altri facendolo pagare nelle trattative. Nella specie ha concorso con la frammentazione istituzionale dell’Ue, potenziandone gli inconvenienti. Quarto: sarebbe colpa dei sovranisti. Questo non si capisce proprio (se c’è qualcosa da capire in un’affermazione di propaganda di bassa categoria). Se è sovranista Trump e riporta tale successo, il fascino del sovranismo dovrebbe crescere.
La tesi è comunque quanto mai debole per più ragioni. La prima è che a condurre la trattativa è stata Ursula von der Leyen, dato che la competenza (giuridica) appartiene alla Commissione Ue (pare), il tutto tra gli strepiti dei centrosinistrati nazionali i quali l’hanno invocata quale migliore dei negoziatori possibili. Ma se von der Leyen ha il potere (di negoziare) ha pure la responsabilità del negoziato: il nesso tra potere e responsabilità è un nesso naturale (e quanto mai opportuno); cosa che i centrosinistrati carichi di battaglie perse e risultati negativi vedono come l’orco i bimbi. In secondo luogo, dato che il tutto costituisce, a prenderlo sul serio, un tradimento, occorrerebbe qualche prova del fatto o almeno indicare un qualche interesse a favorire l’arcinemico Donald Trump.
Ma delle prime non ce n’è, e del secondo, non si capisce quale vantaggio ricavi Viktor Orbán o Giorgia Meloni dal favorire gli interessi americani, a scapito di quelli nazionali. A cercare una spiegazione più aderente alla realtà è che la debolezza istituzionale e politica dell’Unione europea si ripercuote sui rapporti internazionali, dazi americani compresi. Neppure usare la baronessa come capro espiatorio, addebitandole responsabilità maggiori di quelle – istituzionali – che le competono è condivisibile, Se un’entità politica ha poco potere, di conseguenza ha poco diritto, come sosteneva Baruch Spinoza: Tantum juris, quantum potentia. E chi la rappresenta ha mezzi modesti, non superiori ai risultati.
di Teodoro Klitsche de la Grange