L’obbligata e ottima politica di von der Leyen

venerdì 11 luglio 2025


Ursula von der Leyen, presidente la Commissione di Governo dell’Unione europea, ha superato il voto di fiducia provocato dal eurodeputato bulgaro Gheorghe Piperea. Era prevedibile, dato l’appoggio, con qualche sfumatura, della maggioranza che la sostiene, compresi quei conservatori riformisti solidali con Giorgia Meloni. In realtà, tre donne collaborano tra loro in questa fase della vita dell’Unione europea: la suddetta; Roberta Metsola, presidente il Parlamento europeo; Giorgia Meloni, presidente il Consiglio dei ministri italiano, a capo del Governo che, in un periodo ballerino per gli esecutivi nazionali, è il più stabile negli Stati membri. Quella richiesta sfiducia era, è vero, molto debole. Metteva in discussione la sua gestione della crisi pandemica da Covid-19 attraverso la produzione europea dei vaccini, organizzata in fretta e furia. Ursula von der Leyen, nel dibattito, ha evocato l’immagine, nella memoria di tutti, della colonna di camion militari, caricati di bare, che lasciavano Bergamo. Ebbe un’idea geniale con quella produzione comune. Il sospetto che, sposata a un dirigente di un’industria farmaceutica, l’avesse favorita ci sta, ma prevale la certezza che, inevitabilmente, parlandone in casa, si sia giovata della conoscenza del settore per quella politica, risolutiva nella circostanza. Scelta replicata, oggi, nelle attuali urgenze di riarmo dell’Europa, circondata com’è da guerre e minacce d’altri conflitti.

Con ciò si va alle radici stesse del processo d’integrazione europea. Il funzionalismo di Jean Monnet ha origine dalla sua illuminazione, durante la Prima guerra mondiale, di acquistare in comune le armi necessarie alle potenze dell’intesa, perché il loro prezzo non rincarasse, per effetto della concorrenza tra gli acquirenti. È il massimo che può fare, oggi, l’Esecutivo supernazionale, in assenza di competenze per istituire forze armate comuni, come ben sa Ursula von der Leyen la quale, prima di presiedere la Commissione dell’Unione, fu la ministra della Difesa della Repubblica Federale di Germania, di stretta osservanza atlantica. Di fronte all’aggressività dell’attuale presidente la Federazione Russa, la difesa occidentale è ancora competenza dell’organizzazione dell’Alleanza Atlantica, malgrado le oscillazioni umorali dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Ursula von der Leyen, però, data anche questa incertezza, col suo nuovo Esecutivo, mette proprio la difesa comune al centro dell’attenzione, al di là della debolezza fin qui dimostrata dalla mera cooperazione intergovernativa. In realtà, l’idea stessa di unire l’Europa parte dalla difesa, perché se comune, si abbattono i costi per le singole forze armate di nazioni diverse. È a questo che pensò Giuseppe Garibaldi quando, nel 1860, a conclusione dell’impresa meridionale fondativa dello Stato nazionale, inviò, dal Volturno, il messaggio per gli Stati Uniti d’Europa: perché le risorse risparmiate venissero impegnate in lavori civili, per far guadagnare il pane. È questo che vagheggiò Luigi Einaudi sin dal 1897. Allora, scrivendone sul Corriere della Sera, vide nell’intervento comune delle flotte europee, per far cessare la guerra di Creta, tra Grecia e Impero Ottomano, un possibile embrione di unità europea. La deviazione, per il momento, sull’integrazione economica fu la scelta imposta dal ministro degli esteri italiano, il liberale Gaetano Martino, per superare lo stallo della mancata ratifica del trattato istitutivo della Comunità europea di Difesa, con la libera circolazione di beni, servizi e capitali, entro l’unione doganale.

Populisti travestiti da liberali, adesso, sbertucciano una Commissione che non saprebbe che normare su tutto, anche su come si cucinano gli insetti. Non sanno che gli Stati nazionali, nei secoli, si sono formati con politiche mercantilistiche, protezionistiche e, negli ultimi due secoli, socialisteggianti e stataliste. Quando si è avviato il processo d’integrazione europea, la libera circolazione di beni e servizi era ostacolata dalla diversità di legislazioni nazionali pervasive in tutti i campi. Stanti così le cose, sostituire normative supernazionali a quelle nazionali vuol dire rimuovere quelli ostacoli alla libera circolazione e concorrenza. Non c’è nulla di più liberale. Per fare un esempio: è vero che norme comunitarie prescrivono dimensioni e fogge delle buste di latte, o la forma dei tappi, per impedire che bambini se li ingoino; ma tutti gli Stati membri avevano provveduto, in via autonoma, a ciò. Tanto costringeva i produttori a cambiare forma delle confezioni a seconda dei mercati nazionali. Solo norme comunitarie potevano rendere comune il mercato. È stato un fatto di libertà.


di Riccardo Scarpa