Spesa militare: “Fare di necessità virtù”

martedì 1 luglio 2025


L’impegno assunto con la Nato, di aumentare le spese e gli investimenti nel settore della difesa fino al 5 per cento del Pil, non può non avere un impatto sulle finanze pubbliche. La discriminante per l’Esecutivo di centrodestra è come e dove reperire le risorse necessarie per dar seguito alla sottoscrizione dell’impegno assunto con gli altri Paesi aderenti al Patto atlantico. L’incremento annuo, se pianificato in maniera sistematica comporta un maggior esborso per il tesoro, rispetto a quanto già sostiene come spesa l’Italia in sicurezza, dello 0,3 per cento all’anno fino al 2035 (3 per cento in più nell’arco del decennio 2025/2035). Circa 6 miliardi l’anno di maggiori uscite. Ovviamente, la variazione della spesa sarà parametrata al Pil realizzato, anno dopo anno, dall’Italia. L’esborso è facilmente quantificabile in quanto il parametro di riferimento è quanto spende oggi l’Italia sul Pil e quanto dovrà sostenere negli anni a venire sempre in rapporto al Reddito nazionale lordo che sarà conseguito negli anni a venire. Più complicato è valutare l’impatto positivo sulla crescita economica derivante dai nuovi investimenti e dalle nuove spese del comparto difesa. A maggiori investimenti e spese pubbliche corrisponde sempre un impatto economico positivo sulla crescita del Pil.

Sono previste nuove assunzioni di personale da utilizzare nel settore militare e investimenti cosiddetti Dual use ovvero che possono trovare impiego sia in campo militare che in quello civile come ad esempio le infrastrutture. Se, come affermato tassativamente dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni “neanche un euro di spesa sarà tolta allo Stato sociale”, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, per far fronte alla pianificazione di nuova spesa pubblica incomprimibile, dovrà operare sul lato della cattiva spesa pubblica. Si può usare il bisturi in maniera simmetrica operando sulla cosiddetta Tax expenditures ovvero le 597 agevolazioni fiscali vigenti al 31 dicembre 2024 che prevedono provvidenze pubbliche che causano minori entrate per lo Stato, come i bonus, i contributi a fondo perduto, i crediti fiscali che per il 2025 vengono quantificate in circa 67 miliardi di euro. Provvidenze pubbliche che sono a carco della fiscalità generale ma che favoriscono alcuni settori economici in danno di tutti i contribuenti. L’industria bellica italiana, in alcuni settori, non ha nulla da invidiare a quella statunitense, tedesca e francese. Lo spazio di mercato che si aprirà a livello dei Paesi Nato potrebbe incentivare la produzione di armamenti di ultima generazione. I vantaggio oggettivo per l’Italia è che i campioni del settore sono a prevalente capitale pubblico e quindi i maggiori introiti derivanti dal riarmo potrebbero ritornare in parte sotto forma di dividendi per lo Stato. Senza trascurare il fatto che ne trarrebbe giovamento anche industria bellica privata derivante dall’enorme indotto. Non siamo certamente felici della necessità imposta all’Italia di distogliere pubbliche risorse per riempire gli arsenali militari. Pertanto, occorre operare con oculatezza per contenere gli effetti negativi di un forzoso ritorno alla crescita delle spese militari. Fare di necessità virtù.


di Antonio Giuseppe Di Natale