lunedì 30 giugno 2025
La comunicazione politica − anche, e soprattutto, in tempo di guerra − può assumere forme alternative e non convenzionali. Non sono soltanto i presidenti o i ministri oppure i giornalisti a creare e diffondere informazioni: a questo ci pensano, in modo più indipendente e creativo, anche i social. Quella che passa sulle piattaforme social, soprattutto Instagram o TikTok, è però una comunicazione politica diversa da quella strutturata ed istituzionalizzata delle conferenze stampa o delle prime pagine: è fatta da elementi più ricercati, talvolta meno dozzinali, e offre la possibilità di avere il polso della situazione in modo più convincente rispetto ad altri strumenti comunicativi. I contenuti social trasmettono anche le sfumature ideologiche, le preoccupazioni non evidenziate dalla stampa o dalla stessa politica, ponendo il consumatore difronte a situazioni insolite rispetto ad una prima pagina di giornale. Ciò che si dice e si può dire, tra i commenti di Instagram, raramente avrebbe spazio tra le righe di un editoriale o tra le dichiarazioni di qualche leader (a meno che il leader in questione faccia parte di quei politici che si servono precipuamente dell’inciviltà, come lo stesso presidente Usa).
Un fenomeno che sto analizzando in questi ultimi mesi, da quando il conflitto da Israele e Palestina ha visto l’entrata in scena dell’Iran, è l’antisemitismo social. Non che l’avversione verso Israele e gli ebrei si sia mai spenta: semplicemente, si ripropone in chiave 2.0 un odio millenario, sedimentato nella cultura e nell’ideologia di milioni di persone. Un trend che non ha che poche settimane di vita sta spopolando su TikTok: come premessa va detto che si tratta di video prodotti dell’Ia. Si vede un uomo di fede ebraica, con le sembianze di rabbino (l’intelligenza artificiale è troppo stupida per rappresentare cose normali, nel senso che non è in grado di rappresentare un ebreo senza che evidenzi i suoi connotati religiosi) che si avvicina a delle persone rivendicando quello che hanno − un cellulare, una macchina, una donna, del cibo − con la frase “Dio mi ha promesso questo tremila anni fa”. Trend molto simpatico, apparentemente non offensivo. Si basa sull’idea (biblica) che al popolo ebraico siano state riservate delle cose − o meglio, dei territori − all’inizio della Storia e questo spiegherebbe l’impegno del governo nell’occupare o conquistare territori limitrofi Israele. Di per sé non contiene falsità. Ma descrive il popolo ebraico come pronto a sottrarci ogni cosa, perché quello che abbiamo sarebbe stato promesso loro in principio. È quindi una rappresentazione predatoria, da veri a propri avvoltoi, del popolo ebraico. Leggendo i commenti a questi video, però, non posso evidenziare chissà quale riflessione antisemita. Linguaggi molti più violenti e preoccupanti emergono invece da contenuti che mostrano la quotidianità di qualche famiglia e comunità di ebrei. Ad esempio, mi è capitato di vedere un video dove alcuni ebrei − anch’essi con tutti i simboli addosso della loro fede − parlavano durante un volo aereo. Tra i commenti: “HH saprebbe cosa fare con voi”, oppure “Un tempo viaggiavano in treno” o cose ancora più agghiaccianti come ‘”Appena atterrati vi aspetta la doccia”. Molto interessanti anche i video dove alcuni ragazzini ebrei cantano insieme intorno alla tavola: per loro quella del canto rituale è una prassi molto importante e già i bambini conoscono i canti tradizionali, spesso legati alla preghiera e alla benedizione del cibo. Tra i commenti ho letto cose come: “L’ultima cena prima della doccia”, “Adolf è uscito dal gruppo”, oppure “Hanno già avuto il tatuaggio?”. Come detto sopra, frasi raccapriccianti.
C’è soltanto da capire se si tratti di battute fatte senza alcuna conoscenza storica, ad esempio dello sterminio, oppure se non ci sia un profondo sentimento antisemita che a causa della guerra si percepisce quasi come necessario. In poche parole: Israele sta sterminando un popolo, aiutato dagli Usa, non sarebbe il caso di ricordare agli ebrei cosa hanno passato qualche decennio fa? La mia è semplicemente la ricostruzione del pensiero che probabilmente molte persone si fanno in testa per poi iniziare − del tutto ingiustificati − una qualche guerra personale contro l’ebreo di turno, che sia un bambino che canta oppure un rabbino che prende un aereo. Emerge un sentimento di avversione che molto più che in passato appare lecito manifestare. L’odio verso gli ebrei è crescente. Dire il contrario significa non vedere le cose come stanno.
Qualche anno fa si era però più rigidi, meno indulgenti, verso contenuti e commenti antisemiti. Adesso sembra che la giustizia si sia appiattita e che vi sia maggiore tolleranza verso coloro che rappresentano il male (odierno) del mondo. In questo clima grottesco di guerra raccontata più sui social che sulla stampa, sembra che ci siano i presupposti per far sopravvivere definitivamente il sentimento antisemita. Questo conflitto prima o poi finirà, magari il trend dell’ebreo che rivendica qualcosa di mio durerà qualche altra settimana, magari i commenti sotto altri video vedranno diminuire la loro gravità, ma comunque la fiamma è stata accesa e dubito che si potrà tornare indietro. L’odio lecito dei social uscirà dai video e dai commenti e diventerà odio reale: dall’astrazione alla concretezza. Questo ci lascerà la guerra che si sta combattendo a poche ore di volo da qui. Sentimenti incontrollati e diffusi, giustificati e necessari, che dovranno servire − nella volontà di qualcuno − a ricordare agli ebrei la sorte che hanno avuto meno di un secolo fa. Come a dire: è successo una volta, ma potrebbe accadere di nuovo.
di Enrico Laurito