“Chiamare” Giorgia Meloni

sabato 28 giugno 2025


La famosa frase, forse erroneamente attribuita a Henry Kissinger, “chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa” è ancora un quesito di estrema attualità. Chi, oggi, può realmente interloquire con l’amministrazione americana a nome dei 27 Stati dell’Unione europea? Esiste una politica estera comune per Europa? Le domande sono ovviamente retoriche. Giorgia Meloni, dopo la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, con lungimiranza e uno straordinario acume politico si è posta come interfaccia tra gli Stati Uniti e la traballante e ideologica governance europea. Comincia a scricchiolare la “maggioranza” che ha sostenuto la conferma della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Presidenza indebolita dalla continua crescita dei consensi al centrodestra in larga parte dei paesi aderenti all’Unione europea. Con intelligenza politica e spirito liberale, la premier italiana, piuttosto che sfruttare a proprio vantaggio l’eccellente rapporto instaurato con il presidente Donald Trump ha utilizzato la relazione empatica con il capo della Casa Bianca per facilitare il dialogo, che si era interrotto, tra gli Usa e l’Unione europea.

È riuscita a far sedere allo stesso tavolo Donald Trump e Ursula von der Leyen per cercare di trovare un compromesso accettabile tra le parti, funzionale al superamento della cosiddetta “guerra dei dazi”. Con la caparbietà che ormai gli viene riconosciuta, fatta eccezione ovviamente delle scapigliate opposizioni antitaliane, ha dovuto lottare contro l’ostilità, invidiosa, ostentata del capo di Stato d’oltralpe e messo in discussione il direttorio franco-tedesco che aveva sempre governato di fatto l’Europa. Diarchia, che aveva imposto agli altri Paesi europei le loro decisioni spesso coincidenti con i loro interessi nazionali. Il fatto che la nostra presidente del Consiglio dei ministri in conferenza stampa, dopo la riunione della Nato, abbia indicato come un buon compromesso, per la risoluzione “pacifica” della controversia in materia di scambi commerciali tra gli Stati Uniti e L’Europa, dazi al 10 per cento, è molto indicativo del ruolo che si è saputa ritagliare, dietro le quinte, come mediatrice tra gli interessi economici dell’Unione europea e le pretese di riequilibrare il disavanzo commerciale con gli Stati Uniti.

Accordo che a mio avviso è a portata di mano, anche perché il presidente Trump pare abbia deciso di rinviare ulteriormente a dopo il 9 luglio prossimo l’applicazione dei diritti doganali a protezione del mercato interno americano. Giorgia Meloni, da attenta comunicatrice, non si sarebbe esposta indicando il 10 percento come il livello di tassazione “sostenibile” per l’economia europea come un giusto punto di equilibrio tra le pretese di Trump e la necessità dell’Europa di giungere ad un deal soddisfacente per le entrambi. Se non fosse che Giorgia Meloni, dopo i successi del suo Esecutivo in Italia e all’estero, sia la candidata naturale per essere confermata come primo ministro anche alle prossime elezioni politiche in Italia, potrebbe essere la candidata ideale per essere eletta come presidente della Commissione europea di una coalizione a maggioranza di centrodestra. A mio parere, in caso di necessità, l’Amministrazione Trump sa a chi eventualmente telefonare per parlare con L’Europa.


di Antonio Giuseppe Di Natale