Antisemitismo, antisraelismo e antisionismo

giovedì 5 giugno 2025


Antisemitismo, antisraelismo e antisionismo: per taluni indicano il medesimo fenomeno. Per altri, sono sinonimi; per altri ancora, invece, sono tre dimensioni grandemente distinte. In via di generale approssimazione, si può ritenere che quanti reputano che siano un’unica cosa non tengono in debito conto la differenza semantica che traduce la differenza concettuale. Quelli che pensano che siano sinonimi non riflettono a sufficienza sulla complessità della realtà. Coloro, infine, che sono consapevoli della distinzione, non sempre distinguono in modo corretto e, soprattutto, per i motivi giusti. Alla luce di uno scenario così frastagliato alcune considerazioni, a causa della inevitabile cogenza dei fatti attuali che al di qua come al di là dell’Atlantico si stanno consumando in relazione alle drammatiche vicende medio-orientali, si impongono come inevitabili.

Prima di tutto il piano del metodo. Dal punto di vista strettamente metodologico se nella lingua esistono diverse parole è perché ciascuna di esse indica una parte della realtà distinta; che poi nell’accezione comune e popolare le si possa utilizzare e le si utilizzi come sinonimi o come strumenti interscambiabili credendo di poter indicare con lemmi diversi la medesima cosa è altra questione che, tuttavia, sovrappone la regolazione della prassi alla normatività ontologica della semantica. Alla luce di ciò, dunque, sono sicuramente in errore sia coloro che reputano l’antisemitismo, l’antisraelismo e l’antisionismo lo stesso fenomeno, sia coloro che li considerano meramente dei sinonimi. Dal punto di vista del merito. Per evitare confusioni indebite, alimentate dalla mancanza di discernimento della odierna classe giornalistica, occorre, dunque, recuperare la dimensione categoriale, cioè concettuale, che – assistita dalla dimensione storica – impone di effettuare le dovute distinzioni.

L’antisemitismo, infatti, indica il fenomeno discriminatorio nei confronti degli ebrei sulla base di una presunta inferiorità razziale degli stessi: in tal senso le tragiche e antiumane vicende politiche e giuridiche legate alla miserrima esperienza del XX secolo – sia in riferimento al nazionalsocialismo sia al comunismo sovietico – sono soltanto il frutto di quell’ampia diffusione del pensiero eugenetico sociale e razziale che – in quanto punta estrema del positivismo ottocentesco – si è imposto su larga scala nel Novecento. L’antisemitismo, insomma, è strettamente legato a una visione razziale e razzista delle vicende umane, politiche, economiche, giuridiche, così che chiamarlo in causa senza aver accertato il sostrato razziale e razzista del contesto in cui si pretende di applicarlo è un’operazione tanto intellettualmente disonesta, quanto concettualmente errata. L’antisraelismo, invece, si pone come fenomeno di opposizione all’esistenza – almeno secondo l’attuale scenario – dello Stato di Israele, inteso – in virtù delle vicissitudini storiche che in Medio Oriente si sono succedute – come organizzazione politica di usurpazione delle terre delle popolazioni arabo-palestinesi che in quelle zone si erano consolidate nei secoli prima del 1948, cioè prima che la comunità internazionale riconoscesse lo Stato di Israele nei luoghi in cui oggi esso sussiste.

In questa prospettiva, l’antisraelismo ha trovato – non a caso – ampia diffusione nel mondo islamico come, del resto, testimoniano i numerosi conflitti (Guerra israelo-egiziana del 1956, Guerra dei sei giorni del 1967, Guerra dello Yom Kippur del 1973, Guerra israelo-libanese del 1978) intercorsi tra Israele e tutti gli Stati islamici limitrofi nel corso dei decenni. L’antisraelismo, dunque, è profondamente differente dall’antisemitismo, poiché non si fonda su basi razziali e razziste, ma su basi etniche e soprattutto politiche, per cui anche in questo caso fare confusione è un’operazione indebita che non tiene conto della complessità della realtà e della gravità dei problemi in gioco impedendo che si possa pervenire ad una comprensione effettiva della situazione. L’antisionismo, invece, si contraddistingue per essere una contrapposizione, sul piano più strettamente ideologico, al sionismo, cioè a quella specifica e ben nota ideologia, fondata sul finire del XIX secolo da Theodor Herzl, secondo cui il diritto di esistere dello Stato di Israele si deve inesorabilmente trasformare in una declinazione politico-teologica di matrice ebraica del nazionalismo. Anche l’antisionismo, dunque, è un fenomeno ben distinto e distante sia dall’antisemitismo che dall’antisraelismo, sebbene sia considerevolmente più vicino a questo secondo rispetto al primo.

Mentre l’antisemitismo è moralmente e giuridicamente deprecabile e sanzionabile poiché prende di mira l’essere, cioè l’essere ebrei in quanto tali, basandosi peraltro su teoremi che non soltanto non sono scientifici, ma che per di più offendono e ledono il piano ontologico posto a fondamento della pari dignità di tutti gli esseri umani, l’antisraelismo, invece, sarà al più politicamente biasimevole per chi invece adduce le opposte ragioni dell’esistenza dello Stato di Israele nella sua concretezza storica come entità politica e sociale, mentre, infine, l’antisionismo può essere considerato al più opinabile in quanto pensiero che si oppone all’ideologia del sionismo. Le tre dimensioni, dunque, non soltanto sono profondamente differenti tra loro, ma per di più sono giudicabili in modo radicalmente differente: la prima, sul piano etico-giuridico è sempre e comunque illecita escludendo quindi ogni altro piano; la seconda, che è indiscutibile sul piano etico-giuridico, è pur discutibile sul piano politico; la terza, infine, è neutra dal punto di vista etico-giuridico, ma opinabile da ogni altro punto di vista come ogni istanza ideale che si contrappone a un’altra ideologia. Per tale ragione non si può accusare di antisemitismo chi professa l’antisraelismo o l’antisionismo, poiché se è vero che ogni antisemitismo esclude in radice l’ipotesi di uno Stato ebraico e di un nazionalismo semitico, non è altrettanto vero che chi si oppone allo Stato di Israele o all’ideologia sionista neghi, come accade per la visione antisemita, la pari dignità morale e giuridica degli ebrei.

Alla luce di tutto ciò, se è vera, come è vera, tale distinzione, è anche pur vero che spesso i tre fenomeni si possono incrociare o sovrapporre all’interno dei medesimi gruppi. Ma tale commistione, pur diffusa, non deve lasciar intendere che la mescolanza sia sempre necessaria o inevitabile, specialmente quando a queste fenomenologie si associano altre cause o ideologie. In tale direzione, la realtà ci offre un banco di prova eccellente, cioè l’espressione di queste fenomenologie nell’alveo del pensiero progressista occidentale contemporaneo all’interno del quale vengono in rilievo le confusioni e, soprattutto, le contraddizioni derivanti dalla mancanza di quel discernimento concettuale che è necessario e che in questa sede, seppur molto sinteticamente, si sta cercando di tracciare. Sul punto, al fine di non restare intrappolati nella ragnatela delle incongruenze strutturali che affliggono il pensiero progressista odierno, occorre prendere le mosse dal piano teorico. In primo luogo: esiste ed è sempre esistita una matrice di radicato antisemitismo all’interno del pensiero progressista, non soltanto come testimonia l’opera di Karl Marx del 1843 dall’emblematico titolo La questione ebraica, ma come attesta, soprattutto, l’esperienza storica dell’Unione Sovietica in cui gli ebrei furono perseguitati con una ferocia antisemita non inferiore a quella abominevole che ha caratterizzato la più nota esperienza nazista.

In secondo luogo: per quanto il mondo progressista occidentale sia sempre più aggrovigliato nelle proprie incoerenze, nelle proprie antinomie, nei propri paradossi, occorre indicare che il re è nudo, cioè che le proteste dell’Intellighenzia progressista contro Israele e a favore della popolazione di Gaza non sono ciò che sembrano, cioè non hanno né un carattere antisemita, poiché non rette da motivazioni di ordine razziale, né tanto meno hanno un carattere umanitario, poiché non realmente intraprese per il bene dei civili di Gaza che, in un modo o nell’altro, stanno sperimentando le più atroci sofferenze. Le proteste del mondo progressista, infatti, simulano, nascondendo ben altro, cioè non già la difesa delle ragioni umanitarie dei civili di Gaza, ma l’opposizione ideologico-politica al Governo israeliano che è un Governo di destra. L’Intellighenzia progressista, insomma, come sempre, dietro la maschera formale della moralità e del perbenismo cela il volto deturpato dell’ideologia e dell’opportunismo politico, cioè del più bieco cinismo. Oltre tutto ciò, in conclusione, per evitare nuove tragedie o per impedire la ripetizione di quelle storicamente avvenute, non si può fare a meno di preservare il senso delle parole, poiché non soltanto il senso della realtà può conservarsi a condizione che si tuteli la realtà del senso, ma anche e soprattutto perché la morte di milioni di uomini è sempre preceduta dalla morte del senso di poche decine di fondamentali parole.


di Aldo Rocco Vitale