Big Pharma avverte l’Ue

mercoledì 16 aprile 2025


Tre mesi per salvare 16,5 miliardi euro di investimenti. Big Pharma passa al contrattacco, ma il dito è puntato contro Palazzo Berlaymont. I colpi di testa di The Donald preoccupano, ma a spaventare di più è quello che potrebbe fare o non fare di Ursula von der Leyen in risposta alla sfida lanciata dalla Casa Bianca. Ecco perché 32 aziende farmaceutiche hanno inviato l’11 aprile scorso una lettera al presidente della Commissione europea, in cui si elencano le loro richieste per rimanere a produrre in Europa. Altrimenti, in assenza di un quadro più favorevole, comincerà l’esodo dai confini Ue. Il testo, dopo la notizia inizialmente riportata dal sito Euractiv, è stato poi ottenuto dal quotidiano economico francese Les Échos. Nella lettera ci hanno messo la faccia proprio tutti: da Albert Bourla (Pfizer) a David Ricks (Eli Lilly), da Pascal Soriot (AstraZeneca) a Paul Hudson (Sanofi). Le case farmaceutiche ritengono “necessario intervenire rapidamente e con decisione”, altrimenti entro 3 mesi 16,5 miliardi di euro di investimenti pianificati potrebbero essere trasferiti fuori dal Vecchio continente. Consiglio o minaccia? La lettera fa riferimento a un recente sondaggio della federazione europea del settore (Efpia). Secondo le 18 aziende farmaceutiche intervistate, la minaccia dei dazi statunitensi mette in discussione fino all’85 per cento dei loro investimenti (circa 50,6 miliardi di euro) e il 50 per cento della loro spesa in ricerca e sviluppo (circa 52,6 miliardi di euro), ovvero più di 100 miliardi di euro sui 164,8 miliardi di euro di investimenti previsti nell’Unione europea dal 2025 al 2029.

Inclusi 16,5 miliardi di euro entro 3 mesi. I Big Boss di Big Pharma ricordano a Ursula che il mercato europeo, pur avendo una popolazione di 450 milioni di persone, “rappresentava il 29,6 per cento delle vendite farmaceutiche globali nel 2004, rispetto al 47,8 del Nord America”. Vent’anni dopo, però, “la quota dell’Europa sulle vendite globali è scesa al 22,7, rispetto al 53,3 per cento del Nord America”. In queste condizioni, “il proseguimento delle tensioni commerciali accelererà ulteriormente l’erosione degli investimenti in ricerca e sviluppo e nella produzione in Europa”. Le richieste vertono su due grandi direttrici. Il primo “consiglio” è accettare di spendere di più per remunerare l’innovazione farmaceutica, sapendo che oggi negli Stati Uniti il prezzo dei medicinali è libero e in media il doppio rispetto ad alcuni Paesi europei come la Francia. La maggior parte degli Stati europei impone sconti ai laboratori per i loro medicinali e ne riduce le vendite. “In oltre due terzi degli Stati membri, i contributi dell’industria sono aumentati negli ultimi anni dal 15 al 22 per cento della spesa farmaceutica pubblica”, si sottolinea nella lettera, stimando che, con queste detrazioni, per un decennio “l’industria innovativa ha rimborsato integralmente l’aumento della spesa legata ai medicinali innovativi”. C’è poi perplessità sull’eco-contributo che il settore dovrà presto pagare per il trattamento delle acque reflue provenienti da microinquinanti emergenti, in particolare quelli medicinali. Questa direttiva Ue desta perplessità perché prende di mira solo il settore farmaceutico e, in una certa misura, anche quello cosmetico. La seconda richiesta è in realtà un “affondo” sulla burocrazia di Bruxelles, che si traduce in scartoffie pletoriche e contraddittorie. Le cause farmaceutiche chiedono coerenza e un quadro normativo più semplice, ad esempio per la conduzione di sperimentazioni cliniche multinazionali.

Oltre al rispetto della direttiva sulla trasparenza che stabilisce un periodo massimo di 180 giorni tra l’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale da parte dell’Ue e la sua effettiva commercializzazione nei Paesi responsabili della determinazione del prezzo. Oggi solo Danimarca e Germania impiegano meno di 180 giorni. Nel 2022, la Francia ha avuto un ritardo medio di 461 giorni, più dell’Italia (358 giorni) ma meno della Spagna (613 giorni), secondo quanto calcolato da Iqvia. La legislazione farmaceutica europea è in fase di revisione: la bozza del testo è sotto negoziati, ed è proprio questo un altro punto su cui si sofferma Big Pharma. L’obiettivo è mettere pressione, in questo periodo di crisi, in particolare per contrastare la riduzione della durata della protezione della proprietà intellettuale voluta dalla Commissione europea per accelerare l’immissione sul mercato di farmaci generici più economici. La lettera chiede un rafforzamento delle misure sulla proprietà intellettuale a livello di altri paesi innovativi come gli Stati Uniti e auspica una protezione complessiva di 12 anni, rispetto ai 10 attualmente in vigore in Europa e a quelli inferiori previsti dalla direttiva attualmente in fase di revisione.


di Pierpaolo Arzilla