lunedì 7 aprile 2025
Due posizioni fortemente consolidate, una storica e l’altra più recente, convergono su ciò che sta accadendo in questi giorni sul piano internazionale e segnatamente nei rapporti fra Usa ed Europa. La prima risale a ben duecento anni fa ed è stata avviata dal presidente americano James Monroe il quale, nel 1823, introdusse la famosa formula: “L’America agli americani”. Mentre la seconda si è andata diffondendo dagli anni Sessanta del secolo scorso in Europa, ma soprattutto in Italia e Francia, e consisteva nel semplice e arrogante invito: “Yankee go home”. In ambedue i casi si è trattato di miopie gravide di conseguenze anche se, nel primo, quanto meno occorre riconoscere che i timori del Governo americano circa la possibilità che l’indipendenza degli Usa appena conquistata fosse in pericolo non erano del tutto infondati anche se esagerati. Nel secondo caso, invece, l’antiamericanismo era, ed è tuttora in minoranze residue e testarde, strettamente ideologico e si identificava con l’anticapitalismo. Il risultato è consistito in valanghe di cortei, urla e propaganda comunista professata da masse di indottrinati manipolatori di professione seguiti da masse di borghesucci francamente idioti che, per citare Lenin, fornivano all’estrema sinistra, per così dire, la corda con cui sarebbero stati impiccati.
La successiva modernizzazione – un concetto complesso che andrebbe discusso estesamente a parte – ha fatto giustizia sia dell’isolazionismo di Monroe sia dell’ottusa posizione antiamericana da parte dei comunisti di Italia e Francia e di altri Paesi europei. Si trattava, d’altra parte, di due strategie ben diverse in fatto di finalità perché, mentre Monroe mirava alla piena autonomia degli Usa dall’Europa, i partiti comunisti europei miravano all’abbandono della Nato e all’alleanza con il Paese che si autodefiniva per eccellenza “amante della pace” e della giustizia sociale, cioè l’Urss di Iosif Stalin e successori. Ma tiriamo le somme. Oggi, e da molti anni, i Paesi europei e gli Usa sono decisamente integrati in quello che definiamo il mondo occidentale e le due sponde dell’atlantico sono quanto mai vicine su tutti i piani. L’iniziativa di Donald Trump da un certo punto di vista non deve stupire perché, nei rapporti pluridecennali Usa-Europa, a partire dal Piano Marshall, gli Stati Uniti, come è stato osservato correttamente da più parti, sono stati davvero i “carabinieri” del mondo ma, in special modo, dei Paesi del vecchio continente difesi da una Nato la quale, senza gli americani, avrebbe avuto serie difficoltà a fronteggiare la minaccia sovietica.
Va da sé che, da questo rapporto, gli Usa hanno tratto notevoli vantaggi geopolitici ed economici senza però che l’Europa se ne possa lamentare dato che intere generazioni europee sono cresciute appoggiandosi a un benessere dovuto non solo alla nostra economia liberale ma anche alla protezione derivante dall’intima relazione con Washington. Ora Trump sembra presentare il conto e lo fa con “le cattive” come un oste che ha servito da bere senza vedere l’ombra di un quattrino. Sarebbe facile dimostrare che le cose non stanno così poiché le facilitazioni europee di ordine commerciale nei confronti delle grandi imprese americane, soprattutto della cosiddetta hi-tech, sono considerevoli. Ma, e questo è il punto decisivo, il fatto è che il nostro americanismo è ormai allegramente diffuso in ogni aspetto della vita quotidiana, dall’immancabile “ok”, invece del nostro più chiaro “va bene” o “d’accordo”, all’uso dei prodotti industriali, telematici e telefonici più diversi e di tutto questo pensiamo di avere “diritto” invece che capirne il valore economico e valutarne lealmente l’origine.
Altrettanto, sul piano della nostra sicurezza nello scacchiere internazionale, ci pare ovvio e legittimo ripudiare non solo la “guerra” ma persino la “difesa” che, naturalmente, è altra cosa. Tanto, sembriamo dire, se è andata bene dal 1945 ad oggi perché mai dovrebbe andare male d’ora in poi? Meglio pensare ai nostri affari e alla nostra spesa sociale, aumentando il debito ma protetti da un Occidente benevolo sine die. I dazi sono una mossa sbagliata ed è certo che anche Trump lo sappia perfettamente ma, allo stesso tempo, è forse la scossa elettrica più efficace per un’Europa, e un’Italia, inebriate dallo status quo precedente al punto di non capire che nessuno dà qualcosa in cambio di niente. Sono certo, o almeno spero vivamente, che nell’aprile dell’anno prossimo commenteremo uno stato delle cose ben diverso e molto migliore di quello attuale ma, se sarà così, non lo sarà per un radicale ravvedimento di Trump ma per ciò che, svegliati di soprassalto, sapremo fare davanti alla porta co’ sassi, come dicono a Firenze.
di Massimo Negrotti