Le piazze-condominio senza ordine del giorno

martedì 18 marzo 2025


E, quindi? Dopo essersi dopati con l’ennesima manifestazione (manif, alla francese) ideologicamente vuota, che cosa rimane del giorno stellato, convocato dal suo ideatore, Michele Serra? Fatti i debiti e impietosi conti, la manif di Roma del 15 marzo è stata un pacifica assemblea di condominio, con un ordine del giorno vuoto e senza un amministratore di sostegno a presiedere la riunione. Lasciati da soli, quei condomini litigiosi di dubbia volontà avrebbero approvato al massimo la fabbricazione di archi senza frecce. Si possono solo immaginare i commenti ironici di russi e ucraini, che da tre anni combattono sul campo una guerra supertecnologica, fatta di droni e di armi sempre più guidate dall’intelligenza artificiale! Ma, una domanda di fondo viene spontanea: come mai in piazza non c’erano migliaia di cittadini europei di Francia, Germania, e via dicendo? E perché, soprattutto, le altre piazze d’Europa sono rimaste vuote e silenti? Chi è nato subito dopo il 1945 ricorda bene come, una volta, le manif sessantottine servivano soprattutto ad allargare l’orizzonte relazionale, intessere nuove amicizie (e amoretti giovanili), consolidare gruppi, litigare e conoscersi meglio. E adesso, che cosa si è visto all’opera in Piazza del Popolo il 15 marzo scorso? Un ammasso di monadi tra monadi, figli maturi e immaturi di ogni età dell’era social, senza idee né veri leader. Questo perché non esiste alcuna percezione di come le mappe storiche, costituite da punti fissi (= i fatti storici incontrovertibili), si possano o rimirare da ignavi, lasciandole così come sono; oppure rischiare e andare oltre di esse, per creare altri fatti nuovi più positivi, traendo lezione dal passato.

Invocando quasi per magia la creazione di una difesa comune europea, nessuno nella piazza acefala del 15 marzo ha accennato la sola cosa che conta: per farla, bisogna cambiare (radicalmente) i trattati esistenti. Servono anni di discussioni e referendum nazionali di approvazione dei nuovi testi sacri! Altrimenti, quale è la strada per creare una leva europea e un comando unificato, senza un Governo unico europeo e un “capo” vero che rappresenti 500 milioni di europei ai tavoli che contano, per avere le “carte” in regola quando si parla con Vladimir Putin, Donald Trump e Xi Jinping? Perché diciamolo a chiare lettere: per contare, occorre “preliminarmente” realizzare un’Europa federale, identica a quella americana e russa, con un presidente (unico!) eletto. Il che è destinato a non accadere mai, da qui ai prossimi tre secoli! Oggi, la difesa comune non compare né all’articolo 3 del Trattato Ue, che enuncia le 5 competenze federali, né al successivo art. 4 che stabilisce le competenze concorrenti Ue-Stati membri. Pertanto, la formula di Ursula Von der Leyen (ReArm Europe) è una chiarissima manifestazione di impotenza e di arroganza dell’eurocrazia. Perché la vera rivoluzione europea sarebbe quella di de-regolare in profondità le asfissianti normative europee, lasciando libere le imprese di produrre rapidamente i beni occorrenti alla difesa nazionale.

E il denaro è il vero nervo scoperto della guerra: Putin ne ha a volontà con le sue riserve auree e con gli immensi giacimenti di materie prime, totalmente autosufficienti per mantenere per altri cinque anni la sua economia di guerra! E noi? Se è vero, come sostiene Viktor Orbán, che “gli uomini forti fanno la pace, quelli deboli invece fanno la guerra”, ne dovremmo trarre la conclusione che Putin è un debole. Il che non sembra. Si è avuta nel recente passato l’impressione di una ben strana intesa del duo Trump-Orbán, per cui il primo metteva fine all’aiuto militare in Ucraina e Orbán (pur favorevole a una difesa europea integrata) opponeva contestualmente il veto ungherese in Consiglio Ue sulle armi a Kiev. Coincidenza astrale evitata, sia con il ripristino delle forniture di armi americane a Volodymyr Zelensky, sia eliminando dall’ordine del giorno della riunione del Consiglio europeo dello scorso 6 marzo un ulteriore finanziamento di 20mld di euro per l’Ucraina. Ma non si capisce ancora come l’Europa potrebbe chiedere colloqui diretti con Putin, dato che l’interessato non la considera una sua legittima interlocutrice! In più, lo zar russo ha buon gioco a scommettere contro di noi, dato che persino Robert Fico, il primo ministro slovacco, minaccia veti se dall’Ucraina non riprendono le forniture di gas russo.

Il problema vero è come rispondere a Putin che ha come obiettivo la distruzione (fisica e morale) dell’Occidente. Ora, possiamo regalargli la vittoria senza combattere (ed è quasi certo che così faremo), o possiamo provare a incatenare l’orso russo. Ma, prima, bisogna catturarlo. E con la storia dell’Europa del diritto, delle libertà civili, del multiculturalismo e compagnia bella, quando mai ci riusciremo? Anche se, va detto, che a bocce ferme (restando tale, cioè, la chimera della difesa comune europea), stavolta i numeri giocano comunque a sfavore dello zar: noi abbiamo tre volte la sua popolazione e potremmo comprare all’istante migliaia di miliardi di armi supermoderne dagli Usa e dall’Ucraina (droni), anche se Trump non entrasse in guerra con noi. Direi, che Inghilterra e Germania assieme, superarmate, potrebbero fargli fare la stessa fine delle armate tedesche in Russia. Invece, a Bruxelles hanno trovato comodo cadere nella trappola di Mosca: convertirci in economia di guerra, per favorire la conversione in industria degli armamenti di buona parte dell’automotive in crisi.

Armi da tenere poi negli hangar e rinnovare periodicamente, anche senza guerre in vista. Migliaia di tank in garage, al posto di milioni di macchine a motore endotermico in circolazione. Non c’è, quindi, bisogno di attendere i tempi lunghi e individuali dei consumatori privati per cambiarsi la macchina, dato che nel caso dei corazzati fa tutto lo stato e decide lui (assieme alle lobby) i tempi per il rinnovo periodico degli armamenti, quando con il moderno Warfare i blindati hanno scarso valore strategico. Così Putin estrae valore da un’Europa teoricamente sempre più impoverita, dovendo sottrarre ingenti risorse agli impieghi pacifici della sua società civile. Obbligando al riarmo l’industria europea in crisi, però, il duo Putin-Trump ha confezionato una sorta di chiave keynesiana per il nostro rilancio economico. Di fatto, Londra investirà decine di miliardi per gli armamenti, la Germania 500 in dieci anni e 650 saranno i miliardi di sgravi pluriennali per il riarmo nazionale concessi da Bruxelles ai Paesi membri. Pertanto, la riduzione della spesa (improduttiva) per il welfare e il contestuale aumento della produzione industriale si tradurranno in concreto in una crescita del Pil. Un gioco a somma zero, quindi. Teniamone conto.


di Maurizio Guaitoli