#Albait. Amore, Guerra e Stati Uniti d’Europa

venerdì 14 marzo 2025


La necessità di resistere al ritorno o ‘vendetta’ dei totalitarismi, come lo descriveva Lorenzo Infantino, è ormai discorso comune. La ‘risorgenza’ autoritaria spiega per contrasto quanto sia stretto il legame tra libertà individuale e capacità di produzione di ricchezza e di felicità. L’annoiato, finto disprezzo per la poco decadente e felicissima Europa degli ultimi ottant’anni, in queste settimane è diventato rispetto per il valore del Vecchio Continente. L’Europa è una bella signora, ricca di fascino. Oggi più di ieri, per contrasto, risalta la differenza tra la nostra prudente necessità di riarmo e le follie violente di Russia e Iran, il dispotismo cinese, il terrorismo inneggiante al falso Islam, la volontà di potenza basata sul ricatto della nuova amministrazione americana.

Taluno, ha voluto confondere le acque strumentalizzando lo slogan “svuotare gli arsenali per riempire i granai” spesso riferito a Sandro Pertini. L’attribuzione al Presidente si deve alla popolarità dell’uomo politico, anche a distanza di tanti anni. Ma il nostro ex Presidente è stato un combattente, a tratti anche feroce. Aveva dovuto lottare contro il fascismo violento e non da operetta. Chi ricorda Giuliano Vassalli, mitissimo professore e avvocato, Presidente della Corte Costituzionale, lo deve immaginare giovane e martoriato nella cella di via Tasso, dopo una settimana di torture della Gestapo nazista e dell’Ovra fascista. Pertini apparteneva a quel quadro dell’Italia combattente. Erano uomini che avevano conosciuto la guerra vera. Nella loro vita, tanto Pertini che Vassalli, come Leo Valiani o Gino Lubich combatterono, qualcuno morì. Chi di loro sopravvisse, abbracciò l’idea che non si potesse più fare a meno della pace. Nel Novecento tutti concorsero al disarmo, appena fu possibile. L’esito della paura della guerra fu lo stallo militare costruito intorno alla deterrenza. I nemici si controllavano sistematicamente, concordavano su quanto dovessero essere forti, in modo equilibrato, e senza sconfinare. Non troppo, almeno. Poiché si poteva stare in equilibrio, c’era la possibilità di poter demilitarizzare, in modo bilanciato, i blocchi principali. Era la razionalità a governare. Allora, c’era l’idea che le logiche win-win, dove tutti guadagnano, fossero eterne. Ma quelle logiche funzionano se tutti collaborano. Reagan decise di portare un affondo senza combattere, con le Guerre Stellari. La Russia cadde.

Quel che venne fuori dopo, con grande fatica e sacrifici, conquistò molti degli ex Paesi nell’orbita sovietica. Dice bugie chi parla di ‘conquista della Nato’. Semplicemente, Polonia, Baltici, Balcani orientali e occidentali, persino l’Africa non sono stati conquistati dalle armi, ma dai ‘tenui prezzi delle merci’, ma soprattutto dal benessere a basso rischio che il mercato garantisce.

Senza sufficiente forza dissuasiva, però, basta che uno degli attori rifiuti la cooperazione e la strada del conflitto armato si riapre.

La Russia è stato quell’attore.

La scelta di usare (ed esaurire quasi) le sue armi ha riportato l’Europa a dover ragionare sui conflitti e come evitarli, con due novità rilevanti.

La volontà dei russi di conservare la loro ‘grandeur’ attorno ai tavoli mondiali, e Trump, ‘l’onda anomala’ occidentale, come Infantino l’ha chiamata negli ultimi giorni della sua vita. Con il suo mix di ignoranza e pulsione antisociale, il super palazzinaro americano ha portato gli Usa a rinunciare alla loro politica di egemonia liberale, per passare alla dottrina del potere coercitivo. Sembra voler rievocare gli usi della Roma imperiale con l’imposizione di tributi a carico degli Stati vassalli. Ma questa idea mal si accorda con l’attuale livello di libertà conquistato dagli individui nel mondo.

L’uso della forza, del ricatto, oltre alla volatile ed erratica gestione dei dossier internazionali hanno seminato il sospetto tra gli alleati degli americani, cioè noi. È stato sufficiente il sospetto generato dalle dichiarazioni sprezzanti della Casa Bianca, oltre ad alcuni bombardamenti improvvisi e precisi dei russi, a far pensare al tradimento americano. Risultato: persino per l’Australia, oltre che per Canada e tutta l’Europa, gli Usa sono considerati una minaccia. Sono bastate poche settimane per ridurre gli Usa a un soggetto instabile ed inaffidabile.

Quando perdi il sostegno degli alleati, cominciano guai economici, inflattivi e persino la potenza evapora.

Mentre la Russia infrange il suo complesso poco industriale e molto militare contro l’Ucraina, gli Usa esauriscono la capacità di cooperazione con l’area più ricca e strategica del pianeta, l’Europa, e lasciano naufragare anche a loro politica nel Pacifico, grazie ad accuse deliranti che colpiscono Taiwan e Giappone.

Russia e Usa, in modo diverso e senza reale possibilità di accordo tra loro, realizzano un suicidio politico militare.

L’esibizione muscolare di entrambi ha intaccato l’influenza morale e immateriale di entrambi. Il risultato è stato la diffidenza. Con partner diffidenti, gli accordi sono impossibili.

È la fiducia a rendere possibili sentimenti reciproci positivi, scambi e quindi ricchezza, fino all’influenza e al predominio basato sulla maggiore affidabilità. Qualunque capitano d’industria sa che i mercati sono volatili a causa proprio dei sentimenti, delle impressioni, del panico o dell’euforia degli individui. Stati e individui obbediscono alla stessa teoria dell’azione sociale basata sul rispetto e la volontà cooperativa.

Non basta essere belli, ricchi e forti per avere il partner desiderato. Non basta essere corruttori o poter disporre della forza per imporre la propria volontà anche a un solo Paese, figuriamoci al mondo.

Incredibile è stato scoprire che la lezione della cooperazione volontaria che è la regola nei rapporti personali e internazionali dal 1950 in poi, debba essere spiegata daccapo agli esponenti del fu Stato che meglio incarnava la comprensione della lezione liberale e del mercato.

Almeno i russi hanno la scusa di non essere mai stati liberali e soprattutto di non capire affatto Adam Smith e forse nemmeno l’utilità della partita doppia.

Come sarà l’Occidente europeo ora che il Cremlino e la Casa Bianca cooperano, per spartirsi il mondo con la Cina?

Il primo risultato è che la culla delle libertà è traslocata. Ora è in Europa.

Il piano di riarmo europeo approvato dal Parlamento di Bruxelles, voluto dagli Stati nazionali e spiegato da Ursula von der Leyen, serve a rafforzare il nostro ruolo di ‘faro del diritto’. Ed è bene chiarire che non è la Presidente euro-tedesca l’autrice del piano, ma gli Stati nazionali.

Ma a che serve armare l’Europa? Vogliamo forse fare la guerra?

Ovviamente no. L’economia di mercato porta ricchezze mai viste nella storia del mondo. Si basa su rapporti volontari tra individui liberi e pacifici. È nostro compito acquistare armi e organizzarle per continuare ad amare, scambiare prodotti, sorridere o intristirci davanti ad un bel tramonto osservato dalla spiaggia o da un rifugio alpino.

Riarmarci serve solo per rammentare a chi dovesse pensare di attaccare militarmente il nostro Continente che sbatterebbe forte il muso contro di noi. Forza e tecnologia, in un quadro giuridico e culturale libero, servono per irrobustire economia, finanza, politica e felicità nel mondo. Riempiremo granai e metteremo fiori ovunque nelle nostre case, solo se costruiamo una forza militare europea di tale consistenza e qualità da far capire a Putin oggi, e eventuali nuovi nemici domani, che nell’area più ricca di cultura, libertà, diritto ed economia del mondo, non si torna indietro, non si torna alle guerre devastanti che abbiamo vissuto nel Novecento.

La pace è figlia della deterrenza europea. Perché si dispieghi, ha bisogno che forza militare, politica estera, finanza e un certo numero di materie civili, penali, lavoristiche e commerciali siano gestite unitariamente, nel Continente. Se si trattasse del solo piano di riarmo europeo, potrebbe essere gestito con il metodo Nato, con comandi a rotazione, brigate multinazionali ed autosufficienti, coordinamento militare avanzato. Ma non è così. Abbiamo bisogno che nascano gli Stati Uniti d’Europa. Abbiamo bisogno che le armi siano a servizio di una politica estera unitaria, del popolo che noi europei siamo.

Possiamo facilmente ereditare la piena comprensione del disegno politico di George Washington, non più sulle rive del Potomac, ma su quelle dei tanti fiumi e mari europei, dal Tevere al Tago, dal Reno alla Loira, dal Danubio al Dnipro, dall’Oceano al Mediterraneo.

Le esigenze della storia contemporanea impongo tempi diversi dal lento evolvere delle cose al quale ci siamo pigramente abituati. La prospettiva unitaria e federale europea deve essere immediata, da realizzare nei prossimi due anni, se vogliamo salvare la pace da noi e nel mondo. Costituiamo subito gli Stati Uniti d’Europa.


di Claudio Mec Melchiorre