Perché il 2025 non è il 1992

martedì 4 febbraio 2025


Esiste un passaggio fondamentale che gli italici manettari da salotto, abituati come sono a lasciarsi sedurre dal melodioso tintinnio delle manette, non hanno ancora ben compreso: il 2025 non è il 1992. Per tutta una serie di ragioni. Primo: il mutato sentimento popolare nei confronti delle istituzioni repubblicane. Trent’anni di Repubblica giudiziaria, contraddistinti da storture, abusi e continui sconfinamenti da parte dei Pm, hanno infatti contribuito ad incrinare irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra cittadino e Magistratura. Risultato: chi nel 1992 aveva creduto che una Giustizia giusta potesse dare vita a una nuova Repubblica depurata dal l’immoralità e dal malaffare, in questi anni si è trovato a doversi ricredere, constatando che quelle stesse piaghe che i giudici del pool di Mani pulite avrebbero dovuto debellare per sempre con le inchieste di Tangentopoli oggi abitano e proliferano nel Belpaese quanto e più di allora. 

Secondo: a cambiare radicalmente rispetto all’anno 1992 non è stato soltanto il sentimento popolare all’interno del Paese, ma l’intero scenario geopolitico internazionale. All’epoca dei fatti, complice il rovinoso crollo del Muro di Berlino e archiviata definitivamente la logica dei due blocchi, il dipartimento di Stato americano assunse una posizione tale da favorire in Italia un profondo mutamento degli assetti democratici preesistenti che avrebbe condotto, di lì a poco, al definitivo crollo della Prima Repubblica. Oggi, invece, la posizione di Washington rispetto a Roma è esattamente quella opposta: Giorgia Meloni non è percepita come il leader da combattere ed abbattere per assecondare un cambiamento epocale, bensì come il punto di riferimento attraverso cui dare vita a un altrettanto radicale cambiamento da promuovere sulla scena politica europea. 

Se, pertanto, nel 1992 il disegno che prevedeva il rovesciamento della Prima Repubblica per mano giudiziaria incontrò il favore di un popolo ormai del tutto disincantato e volenteroso di dare finalmente il benservito alla classe dirigente primo-repubblicana, unitamente al decisivo sostegno dell’alleato americano, oggi, invece, non si prefigura né la prima né la seconda condizione. Giorgia Meloni, al contrario di coloro che vorrebbero insidiarne la leadership a colpi di denunce e avvisi di garanzia, gode di un ampissimo consenso popolare e, al contempo, rappresenta per Washington un’evidente garanzia di affidabilità ed equilibrio. Per tutte queste ragioni, l’affondo del potere giudiziario contro il governo non sortirà nessuno degli effetti sperati dai manipulitisti dell’ultima ora, i quali, al contrario, si troveranno ben presto a dover constatare il fatto che il cosiddetto ‘atto dovuto’ compiuto con sconvolgente tempestività dalla Procura di Roma sarà servito soltanto a rafforzare ulteriormente la posizione di Giorgia Meloni. 


di Salvatore Di Bartolo