venerdì 31 gennaio 2025
La pertinace volontà di governo di certi settori della magistratura italiana ha radici profonde, non ricordate dalla polemica di questi giorni. Attingono alla parte meno liberale di questa attuale Costituzione nazionale. Essa è un compromesso fra tre forme di pensiero confrontatesi in Assemblea costituente nel 1946-47: la tradizione liberale del Risorgimento, la cosiddetta “dottrina sociale” cattolica e il “socialcomunismo”. Giova ricordare la “stella dell’Ordine di Lenin” appuntata sul petto di Pietro Nenni e il Fronte popolare. Il retaggio risorgimentale impediva di trascurare certe forme liberali, il forte radicamento cattolico delle masse contadine poneva questa componente nel cuore popolare, la presenza partigiana comunista aveva consolidato questa posizione nell’antifascismo.
Occorreva redigere una Costituzione, cioè un ordinamento di norme fondamentali. Un precetto giuridico dispone diritti, poteri e facoltà, oppure divieti sanzionati penalmente, in via amministrativa o civile. Ma per stabilirli occorre scegliere, e quelle componenti politiche avevano idee diverse. Si inventarono le “norme programmatiche”, cioè la fissazione di scopi vaghi, da riempire con “disposizione di attenzione” in seguito. Ad iniziare dall’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. I socialcomunisti avrebbero voluto scrivere “di lavoratori”, limitando il godimento dei diritti di cittadinanza, tendenzialmente, al proletariato. Naturalmente i liberali si opposero e i democristiani coniarono quell’espressione di compromesso, che non dice nulla di concreto. Così di seguito…
Queste norme avrebbero dovuto essere attuate con legge ordinaria o costituzionale dalle maggioranze parlamentari nelle legislature successive. In queste, però, si vennero a formare coalizioni sempre articolate al proprio interno. Conseguenza ne furono norme d’attuazione altrettanto vaghe nel contenuto dispositivo. I giudici, però, dovettero decidere le cause che ne sorsero: cioè le riempirono spesso loro di contenuto dispositivo: divennero nella pratica i veri legislatori. Ora quando sorgono esponenti politici con precisi indirizzi: Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, adesso Giorgia Meloni, certi settori della magistratura – cioè di un potere non elettivo e inamovibile abituato ad essere legislatore di fatto – si prefiggono un solo scopo: affondarli.
Se non che questa volta cascano male: uno, gli italiani lo hanno capito. Due, Giorgia Meloni non ha scheletri nell’armadio. Tre, dimostra con le sue scelte di essere sinceramente democratica ma viene da una storia personale e da una formazione politica (che dirige) estranea al “compromesso programmatico”.
di Riccardo Scarpa