mercoledì 29 gennaio 2025
Recenti risultati e sondaggi elettorali in atto, che registrano un visibile incremento di consensi a favore dei partiti leader nell’ambito dei due primari schieramenti politici − soprattutto in quello di Sinistra, benché a scapito delle formazioni minori in quest’ultima coalizione − sembrano delineare, ancorché in assenza di un chiaro metodo elettorale maggioritario, un quadro di progressiva polarizzazione del sistema politico del nostro Paese. In conseguenza, da più parti si è indotti a ritenere, o quantomeno a sperare, che stia per inaugurarsi una nuova stagione politica fondata su un avveduto bipolarismo, foriero di più interessanti sbocchi in termini di maturazione democratica, nonché di miglioramento della governance complessiva, così come si registra in altri paesi europei.
In realtà, è questa una scena già vista, allorquando la semplificazione del quadro politico a seguito dei risultati delle consultazioni elettorali del 2008 − sia per il realizzarsi di un quasi bipolarismo sia per un’apparente legittimazione, da parte di una Sinistra a prima vista più matura, delle forze liberaldemocratiche e conservatrici, riunite nella coalizione di centrodestra, alla guida del Paese − sembrava aver dato avvio ad un nuovo clima politico collaborativo, volto alla realizzazione di un processo riformistico, scevro ormai da avvelenamenti ideologici di sorta. Avrei titolato “Dallo scontro ideologico all’approccio sistemico” un saggio di allora, a cui di lì a poco dovetti invece assegnare l’ironica intestazione “L’Italia che (non) cambia”, un impietoso excursus tra i mali profondi della società italiana alla fine del primo decennio del XXI secolo: dalla disfatta dell’etica politica al parassitismo politico, dal conformismo culturale alla persistente ideologizzazione del processo storico in chiave illiberale e tardo-marxista, dall’impossibilità del riformismo all’ostinato “infantilismo politico” della Sinistra. Questa, nonostante la perdita dei suoi riferimenti dottrinali, ancora oggi continua a veleggiare nel suo incessante imbarazzo a rivedere la propria storia, su cui si innesta la sua macabra identità irrisolta nei suoi riferimenti ideali e che si rispecchia in una penosa, schizofrenica dissociazione cognitiva a difesa di miti e simboli di una stagione mai chiusa del tutto: allo stato, un’identità tuttora imprigionata in una appartenenza sospesa, in cui il riformismo costituisce solo uno schermo utile a coprire una memoria essenzialmente di segno contrario.
Sulla base di siffatti presupposti, dunque, se fino a ieri tutte le battaglie antisistema dei comunisti, postcomunisti e paracomunisti sono state condotte soprattutto in nome dell’antiberlusconismo, oggi sono manovrate rozzamente dal Partito Democratico e dagli scarafaggi e sciacalli politico-sindacali al suo seguito − tutti nostrani “assassini” ideologici, se non proprio assassini tout court allorquando eccitano le piazze e le folle giovanili alla messa in atto di una vera e propria strategia insurrezionale − soprattutto in nome dell’antimelonismo e dell’antisalvinismo. Insomma, soltanto uno scenario da operetta triste, in cui la magna pars spetta al “nuovo” Pd schleiniano, poggiante su una fatua e demenziale mitologia antifascista e resistenziale, nonché su una delirante tattica ossidionale quasiché maoista e cheguevariana; questa si è innestata su una insanabile faglia socio-politica come becera rappresentazione di un inquietante scenario da “prove d’orchestra” di un nuovo “biennio rosso” o dell’avvio di nuove stagioni terroristiche − a cui, peraltro, la Sinistra di un tempo, l’allora Pci, ha fornito per lungo tempo le “armi” ideologiche, e non soltanto − volte a destabilizzare e a sovvertire l’attuale Autorità governante, di stampo liberal-conservatore, di cui si dirà meglio nel prosieguo, legittimamente eletta dal popolo dopo più di un decennio di occupazione sine titulo del potere politico da parte della Sinistra esclusivamente in virtù dei mattarelliani coup d’Etat. Insomma, un “album di famiglia” − quello dell’allora Partito comunista, a cui appartenevano le Br così come scriveva Rossana Rossanda su “Il Manifesto” − che ora sta certamente per riaprirsi con minacciosi nuovi adepti, dato che l’attuale Sinistra − e non soltanto quella rappresentata nelle sue componenti più estreme − resta ancora legata, anzi rispolverandola con forza, ad una certa suggestione rivoluzionaria, il che incarna attualmente il suo plumbeo, minaccioso “cono d’ombra”.
Tutto ciò non raffigura altro che il riapprodo della Sinistra ad una risoluzione giacobina e settaria, una riproduzione metastatica rinata dagli anfratti più tetri della Storia nazionale, una risoluzione sostanzialmente eversiva che ripropone un allucinato e delirante teorema diagnostico-terapeutico dei mali di cui la Destra infesta la nazione, riammodernato con l’inclusione di miti risalenti alla Woke culture ed altri autoctoni, tesi alla de-identificazione del sé; insomma, un’avvelenata mitologia con i suoi farneticanti miasmi rivoluzionari cancellata dalla Storia, ma che, uscita dalla “porta”, è ora rientrata, con adeguamenti, dalla “finestra”. È questo il comunismo del XXI secolo!
È un desolante ritorno dell’identico a cui, come innanzi si diceva, si contrappone un modello di governance liberal-conservatore, come alleanza strategica tra i valori della tradizione e quelli della liberaldemocrazia. D’altra parte, proprio il liberalismo classico − che affonda le sue radici nel contrattualismo moderno (Locke, Hobbes, Rousseau, Montesquieu) − può assumere, a seconda dei momenti storici, una connotazione di stampo più marcatamente conservatore, atteso che, pur avendo sempre come obiettivo l’estensione dei diritti civili e delle libertà individuali, guarda con attenzione anche alle possibili conseguenze destabilizzanti di “eccessi democratici”, che possano attentare alla sicurezza dell’individuo, come bene supremo da coltivare e da salvaguardare.
È proprio questo il senso del razionalismo liberale, in quanto il liberalismo è sì una teoria etica della libertà e simmetricamente una teoria politica dei limiti dello Stato, ma non può non essere anche attento alla sempre possibile disgregazione sociale, a fronte della quale la società aperta potrebbe essere un argine troppo fragile ove non si faccia ricorso anche ai valori della tradizione; questi conferiscono ordine e identità agli individui, nonché sostegno alle istituzioni. Insomma, quello del liberal-conservatore attuale non è, né d’altra parte potrebbe esserlo in una società volta all’innovazione, un atteggiamento misoneistico come totale rifiuto di mutare l’odine esistente, bensì una condotta basata sulla ragione come guida utile, esperta e nutrita di storia e di esperienza. Non è l’utopia dello “Stato mondiale”, il fantasma di uno Stato astratto, che guida la sua azione, ma la coscienza che è lo Stato di casa nostra che deve essere tutelato ad ogni costo!
Ed è appunto questo il compito che spetta oggi alla presidente Meloni, cioè quello di costruire un rassemblement che fondi in un mix ottimale il meglio della dottrina liberale dei diritti con l’anima sociale e la propensione verso l’ordine della Destra, un modello liberal-conservatore che elimini una volta per tutte lo storico antagonismo tra conservatorismo e liberalismo e che, riammettendo pleno iure la Destra nella Storia d’Italia, realizzi finalmente quell’idea della “Grande Destra” non concretizzatasi negli anni Cinquanta, un insuccesso allora che, oltre ad essere una sconfitta politica ed uno smacco culturale, ha rappresentato anche un consistente pezzo del dramma di questo Paese.
Una moderna Destra politica, tutt’assieme liberale e conservatrice, che, così come affermato nel 1994 dal grande Pinuccio Tatarella, artefice della svolta di Fiuggi, “….non è figlia del fascismo. I valori della Destra preesistono al fascismo, lo hanno attraversato e ad esso sono sopravvissuti.”, possa configurarsi come una union sacrèe, contrastando con forza il rullo compressore di una clacque sinistroide minacciosa ed arrogante, i nostrani “assassini” ideologici della nazione e della democrazia liberale, così come attuatasi nella forma di Stato di Democrazia classica occidentale.
Proprio siffatta ottusa contrapposizione da parte della Sinistra − tesa ad instillare nelle menti degli italiani la sostanziale illegittimità di un Governo indegno di un Paese realmente democratico e illuminato, un’Autorità governante nata in buona sostanza ai “bordi di un marciapiede” − suscita inquietanti interrogativi sulla tenuta del nostro già fragile sistema democratico nell’ambito della suddetta forma di Stato, basato appunto sul principio giuridico del “governo della maggioranza nel rispetto dei diritti delle minoranze”, con l’implicita possibilità di attuare ciò che gli anglosassoni denominano “the swing of the pendulum”. Appunto il sistema bipolare consentirebbe più compiutamente il “movimento del pendolo” pure nell’ambito della forma di governo parlamentare − a maggior ragione in quello classico bipartitico della Gran Bretagna − ma con alcuni aggiustamenti del sistema elettorale di tipo maggioritario con collegi uninominali, non meno che in quello parlamentare pluripartitico di tipo razionalizzato dal secondo dopoguerra. Tutto ciò, però, a patto che innanzitutto emerga una inequivocabile legittimazione reciproca da parte delle due formazioni politiche nel sistema bipolare o in quello più strettamente bipartitico e che entrambe si riconoscano sistemiche. In secondo luogo, è necessario che, nel gioco dell’alternanza, “l’oscillazione del pendolo” non sia eccessivamente ampia tale che non sarebbe più possibile tornare indietro per la presenza di una forza antisistema. Ed è appunto ciò che è accaduto nel corso dei decenni in questo disgraziato Paese, per colpa di una Sinistra, impersonata dall’allora Partito comunista, dall’anima disperata da “orfani di Dio”, che ha impedito il funzionamento dell’alternanza democratica, dando così luogo ad una democrazia bloccata, in cui, per salvare il salvabile, è mancata la possibilità di uno swing of pendulum. Il 1991 non è stato né la fine di un secolo né la fine di un incubo, in quanto, nonostante tutto, i meccanismi perversi di un perseverante monstrum ideologico sono tuttora in opera: i suoi miti non sono stati sostituiti da una razionalità illuminata, ma da orribili caricature escatologiche!
Ad onor del vero, l’antisistema agognato dall’affamato pidocchiume dei nostrani aspiranti becchini del new deal liberal/conservatore − quello idolatrante svolazzanti “drappi rossi”, di cui la Sinistra, con tanto di “verde tartaro nei denti”, si è fatta paladino e mandante − non si presenterebbe sic e simpliciter come una replica di una utopia chiliastica, l’evento palingenetico della rivoluzione comunista, del tutto cancellato dalla Storia, ma non per questo si prospetterebbe meno pernicioso di quello precedente. Siffatta ideologia, nutrendosi di odio e di rancore verso un entourage di governo della nazione considerato “fuori dalla Storia” − su cui vengono incessantemente scaricate accuse di rozzezze xenofobe, omofobe, ecc. − e, pascendosi di tutti gli ingredienti della subcultura progressista del politically correct, a partire dalla demenziale mitologia antifascista e resistenziale per finire al buonismo d’accatto delle sconsiderate politiche immigratorie, al Green ed altro, verrebbe a configurare una nuova dittatura tesa alla conquista di tutti e di tutto, persino nelle coscienze, in uno alla richiesta di estinzione delle libertà e all’elevazione di uno Stato assoluto a Moloch inesorabile.
Sarebbe proprio questo il comunismo del XXI secolo: un disegno folle partorito e portato avanti da vecchi e nuovi Hyksos nell’ambito di una schizofrenia progressista sistematicamente impegnata a delegittimare i valori del liberalismo, così come espressi dall’Autorità governante in atto, in una prospettiva non ben definita, ma di certo mortale per la nostra già gracile democrazia.
Finirà dunque l’eterno ritorno dell’identico? È questo il cruciale interrogativo che noi liberal-conservatori − complessivamente riconoscendoci, a prescindere da eventuali sfumature, in questa nuova governance − dovremmo porci, consci del fatto che, così procedendo, con questo monstrum sinistroide ossessivamente in agguato, un cerbero soltanto assetato di vendetta, il nostro Paese “……naufragherà, si ridurrà in frantumi contro uomini aspri, impossibili, contro le scogliere… È necessario salvare il futuro…” (Antonio Ferro, “Diario de Noticias” da Estado novo, 1932).
A fronte di questa settaria opposizione da parte di una Sinistra che non riesce a fare l’analisi spettrale di se stessa e neppure i conti col suo fallimento, incapace di riammettere pleno iure la Destra − vista come una malattia morale e l’autobiografia di una nazione incolta, reazionaria e sessista − nella Storia d’Italia, necessita una vera e propria rivoluzione delle coscienze, che possa reagire con forza alla valanga di immondizia che ogni giorno ci viene scaricata addosso e che si proietti con uno sguardo nuovo verso l’avvenire, volta a risanare il corpo della nazione, ricoperta da una fioritura di scioperi, rivolte sociali, manifestazioni violente e sabotaggi vari, come affetto dal contagio di una maligna rosolia che lo sta ammantando di mille macchiette rossastre putrescenti.
Non più, dunque, un “piangente” popolo che cerca la quiete nell’oblio, poiché non è più il tempo della quiete e della disperazione, ma quello di una presa di coscienza doverosa di costituire una formazione storica collettiva rispettosa dei valori liberali e nazionali, quei valori che, nonostante il drammatico passato – e, per alcuni tratti, anche di tragica grandezza − possono trovare cittadinanza in una società aperta e responsabile, fondata sul rigore di un’autentica coscienza storica.
Riusciranno degli Esseri maturi, dei novelli Nestore “degli achei inclita luce”, a eliminare l’eterno ritorno dell’identico? Come finirà? Torno al Ferro del Estado novo: “Non chiedetelo a me che, solo, chiedo a me stesso notizie di me!”. E non chiedetelo neppure ad una “Cassandra” con lo sguardo rivolto al cavallo acheo che vide entrare dalle Porte Scee. Chiediamolo invece a noi tutti!
È la serietà della storia, dunque, la sua dotazione esperienziale, che deve indurci a riflettere con liberale spirito critico sulla necessità di ritessere il filo spezzato tra verità, ragione e politica per estromettere la “parte notturna” del mondo, al fine di riconciliare etica e libertà politica, democrazia e libertà individuale, con le nuove forze della politica di massa, tenendo presente però che − senza farne oggetto di culto parareligioso, in quanto da sola non delimita i confini tra il potere e la libertà individuale − la democrazia rappresenta in realtà soltanto la determinazione della forma del potere, senza definire la condizione morale della società in atto in un determinato momento storico.
Occorrerà sicuramente rivedere in toto la fenomenologia del potere, in ogni sua angolazione − politica, etica, sociale, economica − ben sapendo però che una ricetta magica contro tutti i mali di certo non esiste, ma un qualche più efficace rimedio contro la tragicommedia folle a cui stiamo assistendo, ad impedire che possa trasformarsi in una inesorabile discesa all’inferno, sicuramente sì!
di Francesco Giannubilo