venerdì 10 gennaio 2025
Cara Giorgia,
ti chiedo scusa se ti do del tu, ma ho molte cose in comune con te da quando fondasti “Fratelli d’Italia”. Ho cominciato a scrivere un poemetto dedicato a te quand’eri ancora in villeggiatura con Ginevra, la tua bella bambina, dopo avere letto Io sono Giorgia, le mie radici, le mie idee, un libro in cui c’è spesso un tocco di poesia.
“Ho visto troppa gente parlar di me e delle mie idee, per non rendermi conto di quanto io e la mia vita siamo in realtà distanti dal racconto che se ne fa, e ho deciso di aprirmi, di raccontare in prima persona chi sono, in cosa credo e come sono giunta sino a qui”.
Dopo ti ho vista alla televisione coi tuoi “rieccoli” e i tuoi “ritornelli”, nel senso di “ritorni” di politici, fra cui Elly Schlein, una ostruzionista del Pd.
La prima cosa che ho ricavato dalla lettura del tuo libro è stata la visione che hai della politica, da polis, la città-stato, la quale non riguarda solamente i politici, ma, come dicono Plutarco (nei suoi Consigli ai politici) e Chiara Lubich (fondatrice del movimento dei Focolari) che si propose di unire tutti i popoli, la politica dev’essere un atto d’amore, e questo è il caso tuo.
Non so se tu lo sappia: quando fosti eletta Presidente del Consiglio dei ministri, come sempre, Enrico Letta cominciò con le schermaglie contro te, contro la destra, che dicevano così: “Mi chiedo qual sia la razio perversa che c’è fra queste nomine, che va contro i bisogni del nostro bel Paese. Non è una maggioranza con un Governo stabile, bensì una guerra interna, in lotta permanente. Comunque noi vedremo, agiremo, ma per fare l’interesse del Paese. Ogni cosa noi faremo sino a quando la sinistra salga a capo del Governo, sia di tregua, sia di specie, questo a noi non interessa, pur che il popolo ci segua, sino a che Giorgia Meloni non si perda per la strada”.
Ora che sei Presidente del Consiglio dei Ministri, due cose, a mio giudizio, devi accingerti a cambiare, che a partire dall’inizio della democrazia sono rimaste ancora “provvisorie” (come tante altre cose): la nostra Costituzione e l’Inno nazionale. Qui scriverò in corsivo e gli errori che vi sono: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. L’Italia è una penisola a forma di stivale, il cui Stato è fondato su nobili ideali”, non sul lavoro ed i lavoratori con i loro diritti sacrosanti che v’infilarono dentro i comunisti, ma coi loro doveri in tutti i campi.
Nella Costituzione l’Italia è nominata due sole volte e “patria” solamente una, per tutto quanto il resto dilaga la “Repubblica”, quando invece è lo Stato, il Governo che agisce e che decide ciò che si deve fare.
Quanto all’Inno Nazionale, innanzitutto perché solo i Fratelli? E le sorelle dove le mettiamo? Basta dire “O genti d’Italia”, così ci sono tutti, maschi e femmine insieme. Un inno non può essere fondato sul futuro e su speranze, bensì sul suo presente che si vede e che si sente, senza dire che da secoli il suo popolo era diviso e disperso come un volgo che nome non ha.
Che cosa c’entrano poi l’elmo di Scipio che cinge la testa dell’Italia, la Vittoria, che schiava di Roma Iddio la creò? Se siamo da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi, quale speranza possiamo avere di essere uniti? E cosa c’entrano il sangue polacco bevé col cosacco, ma il cuor le bruciò?
Io l’Inno l’ho già cambiato, ma risolvila tu questa questione, fa’ dell’Italia una bella Nazione e dopo si vedrà.
di Mario Scaffidi Abbate