giovedì 9 gennaio 2025
Correva il Governo Berlusconi del 2001, stavo seguendo per L’Opinione le solite scaramucce dei centristi che volevano mantenere un piedino nel centrodestra e l’altro in casa Ulivo di Romano Prodi. “Tra pochi minuti arriverà al giornale la persona con cui potrai verificare ciò che stai scrivendo ‒ mi spiegava Arturo Diaconale ‒ lo conosci bene... è un amico ed è contento che ora scrivi solo per me”.
Avevo conosciuto Aristide Gunnella sul finire della Prima Repubblica, all’epoca era ministro per gli Affari regionali del Governo di Giovanni Goria. Gunnella era persona profonda e silenziosa, pian pianino assurta ad una sorta di Cassandra, ma alle sue ferali previsioni nessun maggiorente della cosiddetta Prima Repubblica voleva del tutto credere: chi vi scrive aveva intuito che le sue previsioni non mentivano. Mario Tedeschi ed Arturo Diaconale erano stati gli unici giornalisti influenti dell’epoca a fidarsi delle parole dell’arguto repubblicano: aveva previsto dopo il 1988 lo scricchiolare della tenuta dei governi, soprattutto che l’assetto di potere nato in Italia dopo la Seconda guerra mondiale non andava più bene a certi potentati finanziari occidentali.
Aristide era stato sottosegretario di Stato nei Governi Moro e Andreotti, e certamente sapeva più di tantissimi osservatori e cronisti quali pericoli ed appetiti minassero la vita degli italiani. Conosceva benissimo i meccanismi del potere, a fine anni Sessanta sedeva nelle commissioni parlamentari lavoro e previdenza sociale, ed aveva sostituito Oscar Mammì (segretario del Pri) nella Commissione industria: quando Gunnella apprendeva che, Giovanni Goria (presidente del Consiglio) aveva messo in liquidazione la Federconsorzi, ovvero un patrimonio da 14mila miliardi di lire che aveva garantito il potere Diccì per mezzo secolo, interpretava la cosa come il primo importante scricchiolio del potere. Aveva prima di altri compreso che il Palazzo stava crollando.
Eravamo a cena, Aristide era in procinto di partire per la sua Sicilia, e mi confessava “sappiamo che sta per succedere qualcosa, che sta per tramontare un sistema, ma non possiamo dirlo al popolo e nemmeno ai giornali, c’è quasi l’ordine di non parlarne”. Lo stesso partito di cui lui era maggiorente, il Pri (Partito Repubblicano Italiano), temeva parlare della fine del sistema italiano di potere. Eppure, non possiamo dimenticare che Aristide Gunnella, al pari dei socialisti Rino Formica e Bettino Craxi, si erano per primi chiesti che senso avesse depotenziare l’Italia, vendere i gioielli di famiglia, trasformare la Banca d’Italia in una struttura non controllata dagli italiani ed eterodiretta dai poteri finanziari stranieri, liquidare la Federconsorzi, affidare tutti i marchi automobilistici ad una Fiat ormai lontana dalle politiche del Novecento italiano. Ce lo si domandava in segreto.
Aristide, dopo uno dei suoi tanti colloqui con Giovanni Spadolini, ebbe a dirmi: “Ti prego di non scrivere di cosa sta succedendo, potrebbero pensare te lo abbia suggerito io... ricorda che i poteri finanziari hanno in mano l’editoria e tu verresti condannato all’emarginazione”. Non diedi ascolto all’amico Aristide, e scrissi che la notizia mi era giunta da Mario Tedeschi dopo una riunione con dissidenti missini avversi ai poteri finanziari inglesi. Ricordo che parlammo delle previsioni di Aristide circa una quindicina d’anni dopo durante un incontro tra Arturo Diaconale e Claudio Tedeschi (figlio di Mario): ci ponevamo il problema di come spiegare agli italiani che dietro la caduta della Prima Repubblica c’era il sistema finanziario occidentale, lo stesso che paga la vita politica del Partito democratico negli Usa e le attuali politiche green, gender e woke.
Durante quell’incontro telefonammo ad Aristide, e lo aspettavamo a Roma: certi che prima o poi Silvio Berlusconi avrebbe dato udienza a tutti noi patrioti italiani. Ma il tempo passava e la sorte di non essere ascoltati toccata al Borghese di Tedeschi ha poi avvolto anche L’Opinione di Diaconale.
Oggi è grama consolazione, quasi la ripicca dei fessi, dire “avete visto che avevamo ragione?”. Così in una delle tante riunioni, ed alla presenza di Aristide, la lucidità di Arturo Diaconale ebbe a spegnere ogni nostro entusiasmo: “Nessuno in politica darà mai ascolto a chi parla male dei poteri bancari, soprattutto internazionali, perché oggi certi appoggi contano quanto e più dei voti ieri: caro Aristide la politica è cambiata, e tu lo sai benissimo”.
Fu così che lo scrivente decise di ricordare periodicamente agli italiani la lettura degli avvenimenti, fatta sia da Aristide che da Paolo Pillitteri, aggiornando di particolari inediti la vicenda della riunione organizzata dagli 007 finanziari il 2 giugno 1992 sul panfilo della regina Elisabetta, “Yacht Britannia”: Gunnella non era più in Parlamento dall’aprile del 1992 e, molto stranamente, gli era stato orchestrato un processo per metterlo a tacere, come del resto a gran parte dei maggiorenti della Prima Repubblica. E fu proprio Aristide a confermarmi l’esattezza delle dichiarazioni dei ministri Rino Formica e Giuseppe Guarino (giurista Diccì), ovvero che la riunione sul Britannia era stata orchestra dai poteri speculativi finanziari per buttare giù Craxi e la Prima Repubblica. Una vera e propria congiura mediatica e giudiziaria (come ebbe a dire Arturo Diaconale) che tutt’ora incatena l’Italia ai voleri di certi poteri finanziari. E, quando quelle centrali speculative giocarono sullo spread per disarcionare l’ultimo Governo Berlusconi, Aristide Gunnella volava a Roma per incontrare il Cavaliere, per cercare di consigliarlo: ricordo che lo accompagnai, per discrezione aspettandolo per strada, prima ad un appuntamento che aveva con Fedele Confalonieri e poi a Palazzo Grazioli (dove dimorava il Cav).
Mi disse: “Berlusconi mi ha velocemente salutato… non ho avuto il tempo di poterci ragionare”. Quindi Aristide mi spinse a scrivere un articolo contro le agenzie di rating, certamente eredi del salotto alto della speculazione finanziaria che, su ordine di George Soros, aveva ordito la congiura del Britannia.
Con Aristide si ragionava sempre per il meglio, come quando decidemmo di chiedere di essere ricevuti da Berlusconi per proporre la candidatura di Roberto Mezzaroma a sindaco della Capitale: ma il centrodestra optava nel 2013 per Alfio Marchini e nel 2021 per Enrico Michetti. Aristide commentava che “Roberto Mezzaroma è persona troppo competente sui problemi urbanistici ed amministrativi della Capitale ed è già stato eurodeputato... credo il sistema abbia optato per candidature meno ingombranti”.
Con ogni frase Aristide si manifestava filosofo della Magna Grecia, degno avversario di Ciriaco De Mita nelle linee politiche nazionali: di simili epici duelli è rimasto davvero poco in quest’epoca in cui necessita dimostrare una “elegante ipocrisia da salotto” (avrebbe detto la Ripa di Meana).
Ho recentemente fatto un esperimento, ho chiesto ad un esponente dei 5 Stelle di Mauro De Mauro, mi ha risposto: “Era un comico?”. Da poco è morto Paolo Pillitteri, ed ora Aristide Gunnella, credo abbiano scelto miglior vita rispetto al deludente presente.
di Ruggiero Capone