mercoledì 8 gennaio 2025
I rischi causati dalla politica nel 2025 secondo Ian Bremmer
L’altra sera il geopolitico Lucio Caracciolo ha perso i lumi a Rai News 24, pappagallato da altri “esperti”, parlando di imperio americano sul mondo e altre amenità, di quelle che farebbero piacere a Vladimir Putin. La stampa non ha capito che le attuali dichiarazioni di Trump non fanno testo, ma sono un gioco retorico sull’opinione pubblica e sulla stampa da pollaio, quella che guida il dibattito che si svolge sui media propagando idee tante ma confuse, non sempre a caso o per destino. È lo stesso gioco che fa Putin ai danni dell’Europa quando ogni settimana parla di utilizzare le bombe atomiche russe contro di noi come se fossero caramelle, e così il pensionato si angoscia, i vari Alessandro Orsini e i Marco Travaglio incrementano la dose e il terrore si sparge.
Purtroppo le potenze mondiali (aggiungiamo la Cina che come clava usa le minacce contro Taiwan, e l’India) sanno come si influenza l’opinione pubblica, nel bene come nel male. Caracciolo o non lo sa o fa finta di non saperlo, e allora fa il nazionalista e l’allarmista marxisteggiante a giorni alterni. Se penso che siamo ancora – come Pier Luigi Bersani – rimasti alla comunicazione democristiana e togliattiana, viene da piangere. Se pensiamo a Caracciolo viene da incavolarsi per come tutti i dibattiti finiscono alla mentula canis del noto proverbio. E se pensiamo che tra i nostri “esperti di geopolitica” vi sono Travaglio, Orsini, Bersani, per non parlare delle redazioni de Il Manifesto e de L’Avvenire, viene la depressione del Mar Morto (-443 metri), o quella del Mar Caspio, le cui acque si trovano una trentina di metri sotto il livello del Mediterraneo.
Ai tempi del proto Bersani avevamo l’ombrello americano che ora forse non c’è più, anche se in realtà l’Ucraina ha retto l’ennesima invasione russa in Europa grazie al Regno Unito, Stati Uniti e (un po’) alla Francia, mentre i socialqualunquisti del Partito democratico e della Spd tedesca pensavano a vendere Bmw agli oligarchi e a comprare gas da un nemico che si era già palesato quando Vladimir Putin rase al suolo la Cecenia. Gli stessi partiti che hanno depresso l’economia europea, mentre il Trump (definito “un fallito di successo” dalla stampa di insuccesso nei giorni della Befana) presiederà una Nazione che è saldamente la prima al mondo per tecnologia e ricchezza.
Nel frattempo infatti l’Europa in mano a troppi plutocrashisti è l’unica area al mondo dove l’industria mineraria è crollata del 19 per cento tra il 2000 e il 2018, e le miniere oggi sono quasi tutte dedicate alle terre rare, presenti anche in Ue. Nel frattempo in Asia il settore miniere è cresciuto del 104 per cento e in Oceania del 135 per cento. Nel frattempo negli Stati Uniti Nyse e Nasdaq insieme rappresentavano nel 2024 circa il 40-45 per cento della capitalizzazione di mercato globale. L’anno trascorso il Nyse col Nasdaq hanno gestito capitali per circa 46 trilioni di dollari. L’Unione europea invece con Euronext, che è la somma delle borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Dublino e Oslo aveva una capitalizzazione intorno ai sette trilioni di dollari, mentre la Deutsche Börse tedesca vale circa 2,5 trilioni di dollari. Quanto alla Cina lo Shanghai stock exchange e lo Shenzhen stock exchange insieme valevano circa 12 trilioni di dollari. E l’Hong Kong stock exchange aggiunge circa 4,5 trilioni di dollari. L’India è in forte crescita è un anno fa ha totalizzato col Bse (Bombay stock exchange) più il Nse (National stock exchange) una capitalizzazione di circa 4 trilioni di dollari.
Se poi Trump volesse davvero conquistare Panama, Groenlandia e Canada, ciò sarebbe un golpe planetario che io contrasterei in ogni modo. Ma un politico si giudica dai fatti, non dalle parole. Altrimenti gli esponenti del Pd sarebbero i re eterni del Sistema solare, tante sono le belle parole – gratuite e scampate in aria – che emettono a ogni fiatata. Ma questo i genialisti e gli esperti evocati dai media dalle fosse della guerra fredda non lo sanno o non vogliono saperlo. Importa incitare l’odio per l’Occidente e silenziare le malefatte dei dittatori russi o cinesi, continuando a celebrare la gloria dello statalismo nazionalista che è – comunque la si pensi – lo zar e il becchino europeo per eccellenza.
Comunque tiriamo innanzi, non senza aggiungere che, se vogliamo fare le pulci a Donald Trump o Elon Musk prima ancora che questi comincino a grattarsi, allora non ci si deve rivolgere a Lucio Caracciolo o ai direttori di giornali che sono comprati a stento ma a persone come Ian Bremmer, fondatore di Eurasia Group, diventato non a caso membro dell’Advisory board di Eni S.p.A. Eurasia Group si occupa seriamente di ricerca e consulenza sul rischio politico a livello globale. Definito anni fa dal The Economist il “guru emergente” nel campo del rischio politico, tiene corsi alla New York University e ha scritto testi importanti come Us vs. Them: The Failure of Globalism. Bremmer (di madre italiana) ha fondato Eurasia Group nel 1998 con soli 25mila dollari. Nel 2018 la società aveva uffici a New York, Washington, San Francisco, Londra, San Paolo, Singapore e Tokyo, con una rete di esperti e risorse in 90 Paesi. Bremmer è anche è il creatore del primo indice sul rischio politico globale (Gpri) di Wall Street.
Consiglio ai nostri lettori la lettura di un importante articolo edito in questi giorni sul sito di Eurasia Group. Si tratta di una analisi sui “top risk” del 2025.
di Paolo Della Sala