venerdì 20 dicembre 2024
Televisione, social, Intelligenza artificiale
Dapprima i social e da ultimo l’Ia (Intelligenza artificiale) hanno diffuso a livello di massa l’apprensione che il processo democratico possa essere adulterato e che, di fatto, lo sia sempre più pervasivamente. Se l’opinione pubblica viene manipolata con la “comunicazione elettronica”, dai semplici dispositivi fino ai megacomputer, sempre più cittadini finiscono per dubitare che la scelta elettorale dei rappresentanti del popolo, ai vari livelli, riesca a mantenersi genuina almeno nei limiti del possibile, cioè che venga determinata dai fattori intrinseci al tradizionale modo di formazione del consenso politico. Non parliamo qui di corruzione del voto, che dalle origini del sistema democratico è stata sempre praticata in forme differenti per qualità e quantità. Come ricordava il premio Nobel Milton Friedman, dove sono i voti c’è compravendita di voti.
La “comunicazione elettronica” (social+Ia) ha sovvertito sia la pubblicità in senso stretto sia la propaganda politica vera e propria. L’incontenibile pervasività e la relativa economicità dei messaggi veicolati dalla rete mondiale (world wide web) costituiscono un pericolo per il “governo rappresentativo”, che designa comprensivamente un sistema politico democratico e libero sotto l’imperio della legge. La competizione elettorale è intrinseca alla democrazia non solo perché coessenziale alla gara per l’accaparramento dei voti, ma anche perché funzionale alla cernita concorrenziale dei governanti graditi, nell’ottimistico sottinteso che faccia emergere i migliori, compatibilmente con il contesto generale delle conoscenze soggettive degli elettori e oggettive sui candidati.
Nell’urna l’espressione del voto riesce a mantenersi uguale, libera, segreta, mentre in pubblico la caccia al voto, nonostante le leggi, non lo è quasi mai. Infatti la campagna elettorale, per quanto ben regolata, nelle democrazie degne del nome rappresenta un’aperta quanto sotterranea “guerra di tutti contro tutti”, combattuta a viso aperto, in modo franco ed esplicito, senza escludere denigrazioni e imbonimenti, ma pure in modo subdolo e clandestino, compresi i colpi bassi. Nondimeno è una lotta che le leggi sulla propaganda elettorale hanno cercato di rendere ad armi pari il più possibile. La par condicio dei candidati pare imprescindibile, almeno in teoria. Gli attori della scena elettorale recitano in pubblico sul palcoscenico della Nazione. Eppure non è facile individuare i veri autori del copione e distinguere le affermazioni proprie dell’interprete dalle battute imbeccategli dal suggeritore nella buca.
Il teatro della democrazia politica, altri dice teatrino per dileggio, rischia seriamente di deflagrare per la bomba atomica della “comunicazione elettronica”. È verissimo. La bomba convenzionale della televisione ha però già inflitto seri danni da molto tempo alla rappresentazione che vi si svolge. A scanso di equivoci e sospetti, meglio lasciare la parola ad un lettore straniero che ha saputo descrivere con esemplare precisione e devastante acume la “comunicazione politica” sciorinata quotidianamente dai canali della tivù pubblica e privata a milioni di spettatori così precipitati in una trance mediatica forse meno ingannevole ed esiziale ma quasi pericolosa quanto la paventata “comunicazione elettronica”.
“In quei pochi giorni all’anno che trascorro in Italia – ha scritto Jacob Kalfort al Corriere il 9 dicembre scorso – assisto ad una poco piacevole esperienza facendo zapping sui primi sette canali del telecomando. I cosiddetti talk show, una sarabanda in salsa italiana, tra liti, urla, risolini, strafalcioni, slogan, frasi fatte, guelfi e ghibellini da film che neanche negli anni Settanta. E non è commedia dell’arte. Mi chiedo se gli italiani si meritino questa offerta televisiva, dove gli invitati sono sempre gli stessi, sai già cosa diranno, tanto che quella volta all’anno che sono in Italia e guardo qualche talk show ho il dubbio di vedere un programma registrato un anno prima. Gli italiani, con la loro cultura inimitabile, si meritano altro, ne sono certo”.
Le quotidiane giaculatorie sull’inadeguatezza della classe politica, recitate dentro e fuori la televisione dagli stessi “ospiti in servizio permanente” (Andrea Minuz), sono più che paradossali. Irrorano la “comunicazione politica” nei talk show e rimangono stupiti dei cavoli che vi spuntano.
di Pietro Di Muccio de Quattro