martedì 10 dicembre 2024
Dai uno sguardo al viso dell’ex senatore dem Stefano Esposito e capisci subito che lui non è un manigoldo, né tantomeno un cerca-tangenti compulsivo. È vero, talvolta l’apparenza può ingannare, ma Esposito è stato “ostaggio” della magistratura per ben 2.589 giorni che, calcolatrice alla mano, significano sette anni di gogna giudiziaria alla quale è stata sottoposta una persona perbene.
L’altro giorno è stata messa la parola fine a quel calvario che ha previsto, tra l’altro, ben 500 intercettazioni compiute abusivamente. In altre parole, Esposito è tornato a essere totalmente estraneo a ogni accusa mossagli. Sui dettagli dell’inchiesta è stato già scritto molto e non vogliamo in questa sede ritornare sull’argomento. Ci limitiamo a evidenziare che, proprio in queste ore, la Commissione disciplinare del Csm è chiamata a giudicare i comportamenti del pm Gianfranco Colace e della gip Lucia Minutella, i protagonisti di questa incredibile vicenda giudiziaria. Indirettamente collegato alla quale c’è il centro sociale Askatasuna, uno dei centri più “duri e puri” del territorio nazionale, di certo il più violento del Torinese. L’ex senatore del Pd, pro-Tav convinto, è stato un fiero avversario (piuttosto solitario) di quel centro sociale tanto da finire sotto scorta per le minacce ricevute.
“Ci sono sempre quelli di Askatasuna – ha detto in un’intervista Esposito – dietro tutte le azioni violente che si svolgono a Torino”. Il centro sociale, del quale l’ex dem ha chiesto più volte la chiusura, ha in qualche modo inciso nella vicenda Esposito. “Quel centro sociale – spiega – non ha i figli del popolo. È invece frequentato da figli di imprenditori, avvocati, magistrati, alti papaveri e alti gradi militari. Per questo – prosegue – osteggiarli costa sempre caro. Ci si mette contro un po’ della Torino che conta”. Ma c’è un altro aspetto che emerge dalla vicenda dell’ex senatore e che riguarda lo stesso Partito democratico che non perde l’occasione per dimostrare il suo giustizialismo e la conseguente incapacità di guardare le vicende giudiziarie con un minimo di occhio garantista. “Dobbiamo incidere nel nostro Dna che non esistono presunti colpevoli, ma presunti innocenti. Ricordo loro – conclude Esposito – che coltivare il dubbio è il primo comandamento di un garantista. E invece oggi l’unico dubbio che viene coltivato è sul grado di colpevolezza dell’indagato. E per me questo è un livello di barbarie inaccettabile”.
di Gianluca Perricone