martedì 3 dicembre 2024
Le lodi sperticate dell’Economist di questi giorni a Javier Gerardo Milei, per gli effetti risananti sull’Argentina del suo indirizzo di Governo, liberale e liberista, oltre il limite dell’anarco-capitalismo, richiamano alla mente gli aspetti ideali, dati dai protagonisti, alla recente visita di Stato della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella nazione latinoamericana. Visita dovuta, se non altro in quanto il grande letterato di là, Jorge Luis Borges, definì gli argentini stessi: “Quelli italiani che credono di parlare spagnolo”. Tuttavia, il contesto ideale è anche di partecipazione di entrambi alla stessa organizzazione: quell’Unione democratica internazionale, voluta nel 1983 da Margaret Thatcher. I partiti aderenti hanno due anime: l’una conservatrice liberale, l’altra di destra nazionale. Javier Gerardo Milei è oggi il rappresentante più “rampante” della prima, come Giorgia Meloni lo è della seconda.
Eppure tutti e due, assorbiti nell’impegnativo tentativo di risollevare le loro nazioni dalle dilapidate economie, vuoi del peronismo, vuoi del giustizialismo di sinistra, non dedicano lo spazio dovuto all’intestarsi di queste due posizioni nella struttura thatcheriana. La cosa sarebbe oltremodo opportuna, invece, in un momento di grande confusione ideale nel pianeta. In Italia, poi, potrebbe dare una mano alla battaglia dei principi il centenario Partito liberale italiano in via di riorganizzazione. Nella sua magnifica pagina Facebook compaiono, come riferimento, sia le posizioni di Javier Gerardo Milei che i contributi di pensiero del compianto Roger Scruton, citato spessissimo da Giorgia Meloni come ispiratore della sua visione. Però il Partito liberale italiano è tra i fondatori dell’Internazionale liberale, fondata al Wadham College di Oxford nell’aprile del 1947, sotto la presidenza di Salvador de Madariaga, durante una riunione in cui il Pli fu rappresentato da Benedetto Croce e Luigi Einaudi.
Giovanni Malagodi ne fu presidente diverse volte a partite dal 1958. Nel Manifesto di Oxford vennero riaffermati i principi del liberalismo classico, e a essi si mantenne fedele quell’internazionale fino a che, negli anni novanta, ambienti “liberal” radical chic si imposero coll’ingresso di nordamericani, i quali aprirono ad argomenti più “alla moda”. Il Pli ne fece parte fino alla crisi dissolutoria del 1994, dando ivi man forte ai fedeli al liberismo classico. Da allora vi sono liberali italiani in ordine sparso. In genere facenti capo alla Fondazione Luigi Einaudi di Roma o al gruppuscolo “liberal” di Critica liberale. Eppure, tra i partiti facenti parte, v’è una buona rappresentanza di formazioni liberali classiche e liberalconservatrici. Tra queste ultime, però, vi sono anche quelle che hanno disertato l’Internazionale liberale per confluire nella thatcheriana Unione della democrazia internazionale, come il Partito liberale australiano che, con Brian Loughnane, ne esprime oggi il vicepresidente. Una scelta del ricostituito Pli è urgente, perché nel mondo è in corso anche un confronto ideale, e menti pensanti possono essere utilissime a corpi politici più pesanti.
di Riccardo Scarpa