lunedì 2 dicembre 2024
Il diritto di sciopero è uno strumento fondamentale in una società libera, ma il suo abuso o uso distorto rischia di minare la coesione sociale, ledendo la libertà di chi non vi partecipa e trasformandolo in un mezzo di lotta politica anziché di contrattazione.
Il diritto di sciopero rappresenta uno degli strumenti principali per i lavoratori al fine di ottenere miglioramenti contrattuali o tutelare condizioni di lavoro. Tuttavia, come ha evidenziato Bruno Leoni, non è esente da critiche, soprattutto quando viene esercitato in modi che violano i diritti altrui o si trasforma in abusi.
In particolare, lo studioso torinese ha affrontato il tema con una lucidità che rimane di grande attualità. Egli ha criticato l’idea che l’interruzione dell’attività lavorativa potesse essere considerata un diritto illimitato, sottolineando come la sua elevazione a diritto costituzionale rischiasse di minare la libertà contrattuale, uno dei pilastri fondamentali del liberalismo. A suo avviso, lo sciopero raffigura una violazione degli obblighi contrattuali assunti dai lavoratori nei confronti dei datori di lavoro. Il che comporta che, quando uno di essi si astiene dal prestare la propria opera, non adempie a un impegno liberamente assunto, e questa condotta, pur legittimata dalla legge, contraddice il principio di responsabilità individuale che dovrebbe regolare ogni rapporto contrattuale.
In una società aperta e libera, basata sull’economia di mercato, la libertà contrattuale è infatti fondamentale. Nel suo ambito, ogni individuo ha il diritto di negoziare le proprie condizioni di lavoro e allo stesso tempo il dovere di rispettare gli accordi stipulati. Ebbene, quando lo sciopero viene utilizzato per interrompere arbitrariamente il rapporto contrattuale, si introduce una forma di coercizione che danneggia non solo i datori di lavoro, ma anche i colleghi che non partecipano all’astensione e, soprattutto, la collettività. È questo il punto centrale affrontato dal grande pensatore liberale, che ha innanzi tutto difeso il mercato e il carattere pacifico dello scambio e del contratto, opponendosi alle logiche conflittuali di visioni sindacalistiche influenzate dal marxismo e dall’ipotesi di un conflitto tra capitale e lavoro. Quindi ha rilevato che, se non esercitato con responsabilità, l’astensione dal lavoro diventa un mezzo per imporre una volontà, violando i diritti di chi non vi partecipa, minando “alla base ogni relazione contrattuale e, di conseguenza, la stessa società liberale”.
A parte ciò, un altro aspetto particolarmente problematico è l’uso dello sciopero come strumento di lotta politica, come nei casi in cui le organizzazioni sindacali proclamano astensioni generali contro decisioni del governo o per esercitare pressioni su politiche pubbliche. In tali circostanze, l’indicato diritto esce dal perimetro della contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro, per trasformarsi in un’arma politica che nulla ha a che vedere con le condizioni lavorative dei dipendenti, spostando il conflitto dai luoghi di lavoro alle piazze. Un esempio è quello generale proclamato recentemente da Cgil e Uil contro la manovra finanziaria del governo, che ha coinvolto settori chiave come i trasporti pubblici, scuole, sanità, poste, giustizia e negozi. La precettazione parziale disposta dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, riducendo la durata dello stop da 8 a 4 ore nel settore dei trasporti, ha cercato di limitare i disagi per i cittadini, ma ha anche suscitato polemiche e accuse di limitazione del diritto in questione. Siffatta dinamica rischia di ripetersi, aggravandosi ulteriormente, nel mese di dicembre, in cui sono stati annunciati altri 15 scioperi, che coinvolgeranno nuovamente settori nevralgici come i trasporti e i servizi pubblici, moltiplicando così il rischio di paralisi per l’intero Paese. Di fronte a detta escalation, il medesimo Ministro ha dichiarato di essere pronto a intervenire con ulteriori misure di regolamentazione per garantire il funzionamento dei servizi essenziali e ridurre i disagi per i cittadini.
In buona sostanza, lo sciopero, per mantenere la sua legittimità, deve essere circoscritto al rapporto tra lavoratori e aziende, siano esse pubbliche o private, coinvolgendo esclusivamente coloro che vi partecipano. Non può essere quindi utilizzato come meccanismo di pressione contro la maggioranza governativa o per ottenere concessioni politiche, atteso che finisce per tradire la sua funzione originaria: detto diritto, come tutti i diritti, non può essere esercitato in modo da violare quelli altrui, ed è pertanto inaccettabile che chi vuole lavorare o spostarsi sia costretto a subire le conseguenze di scioperi che bloccano servizi essenziali, come i trasporti o la sanità. Diventa così un abuso che non solo mina la sua legittimità, ma rischia addirittura di trasformare un’azione legittima in uno dispositivo di coercizione collettiva. A tale effetto, sempre Bruno Leoni ha insistito sulla necessità di una regolamentazione dello sciopero che garantisca il rispetto degli accordi contrattuali e dei diritti individuali. Una disciplina equilibrata dovrebbe prevenire gli abusi, salvaguardando sia i diritti dei lavoratori sia quelli dei datori di lavoro, senza dimenticare l’interesse della collettività. La protesta non può essere utilizzata per impedire il lavoro di chi non è interessato a parteciparvi o per creare disagi sproporzionati rispetto alle rivendicazioni avanzate.
In definitiva, è quanto mai necessario riconsiderare il ruolo del già menzionato strumento in una società che valorizza la libertà individuale e la responsabilità personale. Pur riconoscendo l’importanza storica dello sciopero come mezzo di rivendicazione, è decisivo garantire che sia esercitato in modo responsabile e conforme ai principi di libertà individuale e contrattuale. Solo così potrà continuare a essere un diritto legittimo, efficace per migliorare le condizioni di lavoro senza ledere i diritti altrui o compromettere il funzionamento della società.
di Sandro Scoppa