venerdì 29 novembre 2024
Il disegno di legge presentato dalla senatrice Erika Stefani (Lega), all’esame della Commissione giustizia del Senato, introduce un procedimento che, per la sua semplicità e immediatezza, potrebbe essere definito quasi rivoluzionario. Ma nel rivolgersi alla riforma del procedimento monitorio, esso si confronta con due grandi tensioni che attraversano il nostro sistema giuridico: l’esigenza di efficienza e la tutela delle garanzie fondamentali del giusto processo.
La centralità riconosciuta all’avvocato, chiamato a intimare il pagamento di crediti liquidi senza necessità di un immediato intervento giudiziale, evoca un’antica figura della giurisdizione: quella del privato come primo attore nell’affermazione del diritto. L’avvocato, in questo contesto, non è più solo difensore, ma custode di una giustizia anticipata, chiamato a operare con equilibrio e diligenza. L’articolo 656-bis del Codice di procedura civile, se accolto, trasforma l’intimazione di pagamento in una sorta di “atto-ponte” tra la fase stragiudiziale e quella giudiziale. Non si tratta di un atto esecutivo, eppure porta in sé la solennità di una formale diffida che, ove non contrastata, può condurre alla tutela effettiva del credito senza oneri processuali aggiuntivi.
Questa innovazione, tuttavia, non è priva di rischi. L’avvocato viene investito di una responsabilità che, se da un lato risponde al principio di sussidiarietà del diritto, dall’altro richiede un’attenzione scrupolosa per evitare abusi e superficialità. La previsione di una responsabilità civile e disciplinare per dolo o colpa grave è una misura necessaria, ma non sufficiente: occorrerà un rigoroso controllo etico da parte degli ordini professionali e una chiara disciplina dei limiti operativi. Rimane intatta, nel sistema delineato, la possibilità per il debitore di opporsi, riportando la controversia nel perimetro della giurisdizione ordinaria. Questo passaggio garantisce il rispetto dei principi costituzionali di cui agli articoli 24 e 111 della Carta fondamentale, proteggendo il diritto alla difesa e la parità delle parti.
Eppure, non si può non notare come questa riforma tenda a relegare il giudice a un ruolo di “arbitro eventuale”. Un procedimento che mira a ridurre il contenzioso rischia, nella sua stessa essenza, di sottovalutare il valore della decisione giudiziale come atto che non solo risolve una lite, ma afferma e consolida il diritto. Significativa è l’esclusione dal nuovo procedimento dei crediti derivanti da contratti bancari o dalla loro cessione. Una scelta che, se da un lato limita l’ambito operativo della riforma, dall’altro rivela una prudenza necessaria di fronte alla complessità delle relazioni economiche sottostanti a tali crediti.
Per contro, la semplificazione relativa agli onorari professionali, con l’allegazione obbligatoria della parcella e del parere dell’associazione professionale, appare un passo verso una maggiore trasparenza, che potrebbe contribuire a sanare una delle zone più grigie del contenzioso civile. Il disegno di legge Stefani, se dovesse vedere la luce, si colloca in un’epoca che aspira a ridurre i tempi della giustizia e a rendere il diritto un alleato dell’economia. Tuttavia, ogni semplificazione porta con sé il rischio di smarrire quella complessità che è la cifra della giustizia stessa.
In fondo, il diritto non è soltanto un meccanismo per risolvere conflitti, ma un sistema che vive di equilibrio tra regole e valori. Toccherà alla saggezza del legislatore vigilare affinché questo nuovo procedimento non si trasformi in un mero strumento di pressione economica, ma resti fedele alla sua promessa: rendere il diritto più accessibile, senza per questo svuotarlo della sua anima.
di Giovanni Gagliani Caputo