Meno male che c’è Mattarella

lunedì 4 novembre 2024


In tempo di guerra, e questi sono tempi di guerra anche se per gli italiani non ancora guerreggiata, rifarsi alla vita, all’opera, ai discorsi di Winston Churchill costituisce di per sé un balsamo morale e una guida per l’azione. All’inizio del 1946, il 5 marzo, Churchill (non più primo ministro perché gli inglesi, pur osannandolo come il “Gigante vittorioso”, nelle elezioni del 1945 diedero la maggioranza e il Governo ai laburisti) fu invitato dal Westminster College di Fulton, cittadina del Missouri, a tenere un discorso, passato alla storia sotto il titolo La cortina di ferro. Fu indubitabilmente il suo più importante e influente discorso postbellico, al quale tuttavia fu Churchill stesso a dare un titolo diverso, I tendini della pace, certo non meno espressivo dell’altro. In quell’occasione, sebbene egli fosse un privato cittadino, il presidente degli Stati Uniti Harry Truman, in persona, volle presenziare e onorarlo presentandolo all’uditorio.

Churchill disse, fra l’altro, che le famiglie devono essere poste al riparo “dai due spettrali predoni della guerra e della tirannia” e aggiunse: “Da quel che ho visto durante la guerra, mi sono convinto che i nostri amici e alleati russi non ammirano nulla più della forza e di nulla hanno meno rispetto che della debolezza, specialmente la debolezza militare”. Nel difendere con audacia e coraggio la libertà, assicurò: “Predichiamo ciò che pratichiamo, pratichiamo ciò che predichiamo”. Mentre l’aggressiva tirannia del nazismo era stata sconfitta, la Russia sovietica calava sul continente europeo una cortina di ferro da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, ovunque tentando di ottenere un controllo totalitario. Iniziava così la “Guerra fredda” tra mondo libero e mondo comunista. Si apriva “la spaccatura tra il comunismo e il resto dell’umanità”. E la “guerra calda” riprendeva ad aleggiare con lo “spettrale predone” del bolscevismo.

In un altro discorso, pronunciato al Massachusetts Institute of Technology il 31 marzo 1949, richiamò la prolusione di Fulton e ricordò che “in molti, sia qui sia nel mio Paese, rimasero sorpresi e persino turbati da ciò che dissi. Ma gli avvenimenti hanno reso giustizia ai moniti che ritenni mio dovere lanciare a quel tempo, inverandoli fin nei minimi dettagli” (Churchill, Anni memorabili, Edizioni Università di Macerata, 2021, pagina 87). Rilevò che nessuno avrebbe saputo modificare “così drasticamente” il sentire di Stati Uniti, Gran Bretagna, Europa se non fosse stato per la “sbalorditiva politica” del Governo sovietico. E con il suo straordinario acume sottolineò: “Viene spontaneo allora chiedersi perché i sovietici, per tre lunghi anni, abbiano agito di tal sorta da far coalizzare i Paesi del mondo libero contro di loro. La ragione non è certo dovuta alla mancanza, nelle loro fila, di uomini competenti e capaci. Perché allora lo hanno fatto? A questo enigma vorrei offrire una mia personale risposta. Ebbene, essi temono l’amicizia dell’Occidente più di quanto non ne temano l’ostilità”.

Inoltre, tenne a precisare: “Non proviamo ostilità nei confronti del popolo russo, né nutriamo desiderio alcuno di negare i suoi diritti legittimi e la sua sicurezza. Il mio auspicio era che i russi fossero ovunque accolti come fratelli in seno alla famiglia umana. Questo rimane a tutt’oggi il nostro scopo e in nostro ideale. E conclusivamente affermò: “Poco conta che le leggi, giuste o sbagliate, indirizzino le azioni degli uomini, che le tirannidi frenino o limitino la loro libertà di parola, che la macchina della propaganda riempia le loro menti di menzogne e neghi loro la verità per generazioni. Per risvegliare l’anima umana, in tal sorta anestetizzata o raggelata in un lungo e tenebroso sonno, sarà sufficiente una scintilla, venuta Dio solo sa da dove. E in un attimo l’intera compagine di falsità e oppressione viene denunciata e messa sotto accusa. Non disperino dunque i popoli ridotti in servaggio”.

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Parrebbe proprio che dopo decenni, cambiato pure il secolo, siamo a un punto storico analogo a quello mirabilmente descritto e vissuto da Churchill, benché nel biennio 1989-1991 la Russia sovietica e il totalitarismo collettivista siano finiti “nella pattumiera della storia”, come profetizzò Ronald Reagan. Infatti, all’inizio del XXI secolo, dopo qualche vagito di libertà la Russia, ingabbiata e aggiogata da una oligarchia di cleptocrati sottomessi a un dittatore sanguinario, ha ripreso a praticare la stessa passata sbalorditiva politica che del pari oggi ha modificato “così drasticamente” i suoi rapporti con i paesi liberi e liberati, anche dal suo giogo asfissiante. La devastante aggressione dell’Ucraina è l’ultima delle guerre di conquista scatenate, dichiarate o soltanto praticate, dalla Russia di Vladimir Putin per riportare sotto controllo Stati e popoli che vi si erano sottratti. Notare bene: in aiuto della martoriata Ucraina, che eroicamente resiste, sono intervenute quasi tutte le democrazie del mondo libero mentre le più consolidate e spietate dittature sono schierate con l’aggressore russo, fornendogli uomini, armamenti, logistica.

L’Italia fa parte della cerchia dei soccorritori dell’Ucraina, sebbene con l’assurdo divieto all’uso delle armi contro le postazioni nemiche in territorio russo. Fin dal primo momento, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha condannato l’attacco proditorio e violento dei russi. La sua prima dichiarazione pubblica sull’aggressione russa contro l’Ucraina fu il 25 febbraio 2022, il giorno dopo l’invasione, durante il viaggio a Norcia. Con parole nobili, potenti, memorabili, il presidente Mattarella affermò: “Benedetto, figlio di Norcia, figura di riferimento per l’Europa, come lo sono per la parte orientale d’Europa Cirillo e Metodio, lancia ancora da questa sua casa, con questa lampada, con la fiaccola, un messaggio di pace, mentre ieri si è abbattuta sull’Europa una nuova tragedia. Una tragedia che si è abbattuta con violenza, non su un solo Paese ma sull’intera Europa, mettendo in pericolo pace e libertà. Non riguarda un Paese lontano”.

“Quanto è avvenuto riguarda direttamente ciascuno di noi. Non possiamo accettare che la follia della guerra distrugga quel che i popoli d’Europa sono stati capaci di costruire e realizzare in questi sette decenni in termini di collaborazione, di pace, di ricerca di obiettivi comuni nel nome dell’umanità. Non ci si è limitati in Europa, allora, a sollevarsi dalle macerie della guerra, dagli orrori delle guerre fratricide, ma si è compiuto un grande sforzo, con successo, per realizzare un mondo che fosse ispirato e fosse composto e costituito di reciproco rispetto, di cooperazione, appunto, della ricerca di obiettivi comuni. Il mondo che ha saputo superare la Guerra fredda, questo mondo non intende vedere calpestati i principi della convivenza internazionale. I popoli d’Europa non possono essere e non sono disposti a piegarsi alla violenza della forza, oggi utilizzata per sottomettere un Paese indipendente come l’Ucraina, ma domani non sappiamo per quali altri obiettivi. L’Europa rischia di precipitare in una spirale di guerra, in un vortice di conflitti dei quali appare impossibile prevedere sviluppo, coinvolgimenti, estensioni. Nessuno potrebbe essere certo di restarne del tutto immune. La pace è in pericolo. Per essa, per la pace, per l’affermazione dei valori di libertà gli italiani devono essere e saranno certamente intransigenti, determinati, uniti nel nostro Paese”.

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha mantenuto il Governo sulla linea del capo dello Stato. Con il passare dei mesi, mentre in Parlamento affioravano i primi distinguo, talvolta sfociati in dissensi così aperti da sembrare fiancheggiamenti della Russia, e nei media trovavano ospitalità ignobili e sfrontati pseudo pacifismi, il presidente Mattarella non ha perso occasione, in patria e all’estero, per ribadire la posizione politica della Repubblica in nome del diritto e della giustizia, tenendo inequivocabilmente la barra sul sostegno incondizionato all’Ucraina, finché servirà.

Da ultimo, parlando il 10 ottobre 2024 al “vertice Arraiolos” di Cracovia, il presidente Mattarella ha rimarcato che la Russia ha lanciato la sfida geopolitica perché “l’Unione europea sarebbe un ostacolo non insuperabile”. Sicché, con concetti evocanti il senso impresso da Churchill nel discorso di Fulton, il presidente della Repubblica ha affermato in modo chiaro e fermo: “Cosa può dissuadere la Russia? Il deterrente è una Unione con adeguate capacità militari che soltanto una vera Difesa comune può assicurare. Garantendo, al contempo, un forte mantenimento dell’Alleanza Atlantica, perché, in piena complementarietà, ne verrebbe rafforzata la Nato”. Ed infine ha ammonito italiani ed europei con queste parole: “Ci troviamo di fronte al tentativo di introdurre il principio che gli stati confinanti o anche soltanto prossimi a uno stato più grande e forte hanno due sole strade: l’allineamento politico, economico, culturale o l’invasione. La sfida non si traduce, banalmente, soltanto in quantitativi di spesa ma riguarda il conseguimento di capacità militari”.

Sappiamo dalla storia che esistono “popoli caldi” e “popoli freddi” ovvero, come altri dice, popoli che sacrificano ad Apollo e popoli devoti a Marte. Fatto sta che, generalmente parlando, di fronte ai conflitti i popoli freddi s’infervorano e mantengono l’ardore nell’infuriare della battaglia, mentre i popoli caldi, dopo le fiammate iniziali, durano fatica ad alimentare la vampa e nella lotta intiepidiscono. Grazie al presidente Mattarella la temperatura del sostegno italiano all’Ucraina ha potuto mantenersi al massimo grado, per modo che l’Italia, smentendo certe annose cattiverie di stranieri sul nostro popolo, debba restare con onore accanto all’Ucraina fino alla fine. Non era scontato, all’inizio. Il merito è tutto del presidente della Repubblica, la cui risoluta ed inequivocabile determinazione di schierare l’Italia con l’Ucraina collimante con il nostro interesse nazionale, deve aver variamente sorpreso gl’Italiani, sia quelli che non se l’aspettavano sia quelli che non l’avrebbero voluto. È doveroso riconoscerlo: meno male che c’è Mattarella. Perciò, volgendo in positivo un’affermazione pronunciata in negativo da Churchill ai Comuni il 5 ottobre 1938 nel discorso Una sconfitta totale e assoluta contro l’euforia generale per l’appeasement (il “terribile evento” di Monaco), il presidente della Repubblica merita parole di completa approvazione: “È stato pesato sulla bilancia ed è stato trovato giusto”.


di Pietro Di Muccio de Quattro