mercoledì 30 ottobre 2024
Alla fine arriva Polly è una commedia con tre ottimi protagonisti: Ben Stiller, Jennifer Aniston e il grande Philip Seymour Hoffman. Polly è bella, un poco scalcinata ma senza trucco e senza trucchi, e riaccenderà l’amore in Ben Stiller, assicuratore. Poi c’è la moglie patinata di Ben Stiller, che lo tradisce in piena luna di miele a Cabo San Lucas (Baja California, Messico) con uno skipper mezzo figaccione. La Polly(tica) delle elezioni liguri è senza dubbio Marco Bucci, il neo governatore della Liguria che ha ridato la vittoria a un centrodestra che pure era stato non poco silurato e autosilurato dalle vicende giudiziarie dell’ex governatore Giovanni Toti.
L’elettorato è Ben Stiller, la cui moglie infedele rappresenta il campo largo guidato dal Partito democratico, un Pd che fa da capo senza coda, dal momento che il “campo largo” è un buco nero vampirizzato dal partito erede della fu Invincible Armada del comunismo italiano. Chi vi si avvicina è destinato a rimpicciolirsi o a entrare in devoluzione (Matteo Renzi e Carlo Calenda) o a svaporarsi (il Movimento 5 stelle). Ho seguito da vicino la campagna elettorale di queste regionali anticipate, abitando in Riviera. Farò una premessa necessaria: non parliamo più dell’astensionismo come di un “voto di protesta”: è una bufala. All’elettore che diserta le urne o non gliene frega niente del voto, oppure si tratta di persona che ritiene che nel Duemila e rotti gli affari (inclusi quelli suoi personali, per bagatelle che siano) non si facciano più nelle sedi di partito, ma nelle sedi di impresa. Parliamo di affari leciti, ma anche di quelli meno leciti. Per fortuna non sono molti i popolani che hanno bisogno di rivedere un piano regolatore, o di fare una veranda nel giardino, anche se quasi nessuno può dirsi innocente.
Non vanno a votare perché – a torto a a ragione – ritengono che i propri affari, o una raccomandazione per dare lavoro a un parente si sistemano meglio davanti a una persona influente che davanti a un politico. Qui dovrò fare una scomoda osservazione sul partito guidato da Elly Schlein e (anche) da Andrea Orlando. Ricevendo i comunicati stampa dai vari partiti nel corso della campagna elettorale, ho notato un passo del gambero a sinistra e una certa fermezza, per quanto instabile, a destra. A sinistra è in atto da anni un incremento dei difetti storici del Pci, ora Pd: si sentono “razzialmente superiori” e quindi si ergono come dei Savonarola pronti a incendiare i “fascisti” (così ritengono tutti coloro che non stanno con loro), i “liberisti”, gli “amerikani e sionisti” e via discorrendo. Han cercato di mandare al rogo anche Matteo Renzi, danneggiando loro stessi invece di Italia viva.
A furia di muovere guerra agli altri, incendiandoli con parole, qualche offesa, e qualche escamotage di cui non è il caso di dissertare, continuano ad auto-affondarsi o darsi fuoco da soli. Sputtanando l’avversario, inevitabilmente finiscono per sporcarsi anche loro. Ritenendosi gli unici interpreti del libro della vita sociale, quasi come gli integralisti della sharia afgana, hanno perso di vista una società che non è più quella del Novecento. Utilizzando al posto della dialettica politica l’insulto politico, danno un’idea passatista, ci dicono che se pure sono sopravvissuti alla Democrazia cristiana, appaiono comunque inadeguati di fronte a una società che è cambiata (in meglio o in peggio non importa). Il Pd ancora deve capire se essere post marxista o liberale, se lo Stato deve dirigere l’economia come ai tempi di Lenin e Stalin, o se deve limitarsi al controllo delle irregolarità, alla maniera delle Nazioni liberal-democratiche.
Insistere con la formula socialdemocratica in salsa bismarckiano-tedesca non porta a molti risultati, guardando alla Germania di oggi, perché non è né carne né pesce, e come tale appare anche agli occhi di chi poco e niente sa di economia e politica: sono cose che traspaiono, traspirano, si intuiscono. La sinistra quindi organizza le sue campagne elettorali di ogni giorno attaccando il “nemico”, ma così produce danni a tutta la politica e società: è una sindrome di Sansone (“Muoia Sansone con tutti i filistei”) in cui Sansone è per giunta un lillipuziano gracile e anziano, però dotato di grandi amplificatori, grazie ai quali le invettive continuano a produrre voti, buoni per sopravvivere ma non per vivere e per far (meglio) vivere il popolo.
Qualcuno obietterà: Eh, ma anche a destra insultano. Vero, ma insultano meno e con meno arte. E poi, se ti senti superiore, dovresti utilizzare argomenti concreti e non parole denigratorie. Quest’errore è alla base di una vittoria insperata del centrodestra, che pure era considerato perdente col -5 per cento (si parlava persino di sinistra avanti di sette punti). Una vittoria ristretta ma non meno significativa, visto il contesto giudiziario degli ultimi mesi.
Merito anche di Marco Bucci, certamente. L’ho incontrato brevemente un paio di volte, e l’ho trovato non supponente, attento alle persone, concreto. I comunicati delle liste per Bucci parlavano di quali infrastrutture sveltire, di come intervenire sulla Sanità, di come migliorare il porto di Genova che dà lavoro a decine di migliaia di persone. Solo in parte i bucciniani replicavano alle sfide a duello lanciate dall’altra parte, dove si trovava oltre al disprezzo anche l’ovvio e l’ottuso (per citare un titolo del semiologo Roland Barthes), e poche proposte, se non il solito “soldi per tutti”, senza poi specificare come ottenerli.
Sono queste le ragioni che danno torto a chi ha perso le regionali liguri. Il Pd ha bisogno di smettere di cantare all’infinito “stessa spiaggia, stesso mare”, canzone novecentesca interpretata da Piero Focaccia (nomen omen). Ha bisogno di cambiare, tanto e forse troppo. Dietro l’orizzonte le regionali di Umbria ed Emilia-Romagna, dove ci sarà un popolo incavolato per ragioni concrete e pratiche come l’acqua alta, e non a Venezia ma a Bologna dove di norma non si bagnavano neppure i pesci del laghetto dell’amore nei giardini Margherita.
di Paolo Della Sala