C’è un tempo per ogni cosa

venerdì 25 ottobre 2024


L’espressione è tratta dagli scritti sapienziali dell’Antico Testamento a cui, in particolare, il mondo occidentale riserva una scialba attenzione. È il caso del conflitto russo-ucraino, in corso da trentadue mesi, dove la sprovvedutezza umana non avverte che, ormai, spira il vento del cambiamento. Naturalmente, molti ma non tutti, politici e promotori di ambedue gli schieramenti, artefici del disastro, pur comprendendo il mutamento, per le più svariate ragioni, sono costretti a fingere e sperare che il vento si risolva in bonaccia, ma come spesso accade nei processi storici in pochi avvertono la gravità delle situazioni. Nell’ultima settimana avendo avuto l’opportunità di colloquiare con conoscenti di veccia data, tra loro sconosciuti, residenti l’uno nei dintorni di Leopoli, l’altro in un sobborgo di Kiev, abbiamo, metaforicamente, toccato con mano il disastro economico-finanziario, urbanistico-strutturale, il turbamento psichico, morale, e la disfunzione cognitiva sul futuro, in un quadro complessivamente di estrema depressione. Eziologia e cause?

Un incomprensibile conflitto con prospettive di vittoria certa, di fatto, sull’orlo di un disastro. Con questa esposizione entreremo, sicuramente e con la malizia di tanti, nel registro dei filorussi, un registro a doppio indice in cui si potrebbero includere anche i sostenitori politici, i fornitori di armi, i finanziatori a vario titolo, i ciarlieri su una presunta amicizia con il popolo ucraino. A loro poco importa della scomparsa di una generazione, del cumulo di macerie fisiche, intellettive, di speranza e di sogni sul futuro di una Terra di cui si professano paladini, non dando segni d’interesse sulla desertificazione urbanistica ma ancor più umana e demografica. Di fatto, una sorta di ballo in maschera in cui il melodramma dispiega tutte le sue angolazioni in cui convivono ingenua buonafede, raffinate contorte strategie, una scala complessa di obiettivi al cui vertice troviamo l’assunto, ante conflitto, di George Soros, del globalismo finanziario, dell’Intellighenzia di Davos riducibile alla necessità di smembrare la Russia anche in considerazione della non lontana crisi di Taiwan e quindi dell’opportuno indebolimento delle alleanze di Pechino.

Tralasciando le implicazioni dell’internazionalità del conflitto, ritorniamo al vento del mutamento che spira in terra ucraina. Un popolo e un Paese allo stremo in cui un quinto del territorio è occupato dai russi. La gente è stanca di una guerra che non ha più ragion d’essere, dicono i nostri conoscenti, “100mila morti sono un peso insostenibile per questo Paese” in cui la popolazione è in continua diminuzione. Migliaia le persone fuggite in Ungheria attraversando il grande affluente del Danubio, il Tibisco, il cui guado ha procurato un imprecisabile numero di annegati. Tempo addietro la leva obbligatoria è stata abbassata da 27 a 25 anni intensificando così l’esodo dei giovani verso la Romania. Negli ultimi mesi qualche migliaio di soldati ha disertato e alti ufficiali dell’esercito hanno pubblicamente espresso la preoccupazione per l’assottigliamento delle truppe e il loro calo di convinzione, in linea con la perdita di consenso per il presidente. Se ne parla nelle famiglie e tra amici, non apertamente, vi è un clima pesante, la polizia militare, in veste di reclutatore, pattuglia borghi e cittadine per incontrare uomini in età di leva e condurli ai centri di arruolamento dell’esercito.

Con le varie scelte-possibilità l’Ucraina ha perso 14-15 milioni di cittadini e questo incide sulla coesione sociale, sul consenso, sull’oggi, dove non è ammesso il dissenso, e sul futuro di cui non s’immagina l’architettura. La corruzione, altro grande neo, così diffusa, dall’alto del potere politico agli strati popolari. Tralasciando il primo aspetto, abbiamo compreso che tutti corrompono tutti, tanto da poter parlare di un circuito compensativo. Si corrompono i medici, le strutture sanitarie i funzionari locali e quelli statali, il rilascio di certificati e autorizzazioni, passaporti e reclutamento alla leva, e così via. Siamo rimasti sorpresi, in settembre, apprendere da un importante giornale italiano, tutti filo-ucraini, che: “Nelle serate a Kiev non mancano le ostriche – due euro l’una, e di prima scelta – né lo Champagne”. Evidentemente il fiume di dollari ed euro, transitati in portata alluvionale in questi anni di salvataggio della democrazia, ha consentito a sostanziosi affluenti di deviare verso allevamenti di ostriche di produzione e pertinenza politica. Del resto, in 2 anni e mezzo di guerra solo l’Unione europea ha contribuito con circa 200 miliardi. Un’ulteriore spia delle condizioni che mutano l’abbiamo avvertita nelle scorse settimane quando Volodymyr Zelensky, al Congresso Usa, non ha ricevuto la stessa calorosa accoglienza del 2022. In particolare, i parlamentari repubblicani non hanno fatto mistero delle contrarietà e perplessità nutrite per gli imponenti aiuti all’Ucraina. Negli Stati Uniti, il maggior sostenitore, l’antirusso per eccellenza, c’è ancora chi comprende che c’è un tempo per ogni mutamento, a riprova di un sistema politico, malgrado tutto, dinamico e vitale. Diversamente da una catatonica Unione europea capace di schierare le proprie ancelle, Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, in abbracci più che fraterni, in ossequio a chi non ha futuro, né in caso di vittoria né di sconfitta, in preda ad una scomposta agitazione, espressione di tragicomica certezza per il suo ingresso nella Nato, supportato da Bruxelles, e non affatto intenzionato a comprendere che anche per la sua gente e il suo Paese c’è un tempo per ogni cosa.

(*) Direttore Società Libera


di Vincenzo Olita (*)