giovedì 17 ottobre 2024
Il capitalismo ha ancora lunga vita. In questa lunga prospettiva di vita, se dovessimo accorgerci che solo il capitalismo può garantire le irrinunciabili libertà economiche, dovremmo ben sperare ch’esso possa durare e irrobustirsi sempre di più. Al netto di ogni utopia collettivistica che costa troppo cara alle umane libertà materiali e immateriali, non essendoci condizioni oggettive di crisi capitalistiche irreversibili, e non essendoci condizioni soggettive di coscienza di “classi” in movimento per un realizzabile sistema alternativo, dobbiamo curare la salute del nostro capitalismo, rendendolo un capitalismo libertario popolare, accessibilista, terreno fertile per l’ingegno umano, utile alle produzioni e alle invenzioni: (in una sola espressione) un capitalismo demolibertario. Mi “definisco” demolibertario. Il mio demolibertarismo, neorepubblicano e umanista liberale, è un pensiero che trascende il capitalismo, essendo ancora più ampio e generale, ma è un pensiero con cui di volta in volta un sistema di produzione e circolazione della ricchezza può sposarsi, e il capitalismo – sempre storicizzabile – si sposa bene. Ma non basta. Il mio demolibertarismo, pur nel suo equilibrio di alleanze a tratti post-democristiano, a tratti moderato e a tratti liberalradicale, è vocato esso stesso al cambiamento.
Il demolibertario non prende mai pace in sé: vinta una battaglia, ne cura gli effetti positivi unitamente agli aspetti propositivi per ulteriori battaglie. Consci che – come direbbe Emma Bonino – “i diritti non sono mai per sempre o una volta per tutte”, dobbiamo difendere ogni giorno la certezza di quei diritti. Il demolibertario fa qualcosa di ancora più complesso, agendo su più fronti in modo sempre strategico e mai in modo ortodosso radicale. Anche i diritti liberali delle economie di libero mercato concorrenziale necessitano di nuovi sforzi di conservazione, sulle nuove creste delle ondate di statolatria o di cartelli anticoncorrenziali che di volta in volta ne minacciano l’equilibrio. Bisogna, quindi, curare la salute della nostra economia sociale di libero mercato. Una volta la Bonino disse che occorrerebbe una Greta Thunberg del debito pubblico. Io, invece, dico che occorre un altro passo, che vada ancora più a monte della questione del debito pubblico, in modo libertario-popolare, mai populista-dirigista: serve un movimento dal basso, trasversale ai piani “alti” della governance, con il dichiarato fine sociale di liberazione ed espressione liberale dei capitali umani, immobiliari, monetari e più in generale mobiliari.
All’interno del mercato libero, la gestione equa della concorrenza sarà il compito delle politiche e delle istituzioni antitrust. Il diritto antitrust a tutela reale della concorrenza dal basso, insieme a robusti ascensori socioeconomici e insieme a una sempre maggiore sussidiarietà orizzontale dei soggetti economici privati accanto o al posto di quelli pubblici, potranno rappresentare il nuovo versante dei diritti sociali nelle economie liberali. Come dissi a settembre 2020 in una trasmissione di Mr-Tv, la web-tv del Movimento Roosevelt che mi volle intervistare per il mio attivismo nazionale antitetico al taglio numerico dei parlamentari durante la campagna referendaria di allora: il diritto antitrust deve diventare il nuovo versante della socialità e delle opportunità, dei diritti economici per tutti. La lotta globale per una liberazione dei capitali umani, mobiliari e immobiliari contro ogni sorta di consorteria privata aggressiva e contro ogni sorta di statolatria pan-tributarista, la quale ultima toglie l’aria alla libertà produttiva e agli investimenti di persone e famiglie, è una lotta globale che la nostra nazione deve portare avanti. L’Italia, in un villaggio globale ferito dal suo stesso inevitabile globalismo, sia patria e musa ispiratrice di libertà produttive. I momenti di battaglia sono i momenti in cui le libertà e le solitudini – che quelle libertà concretamente comportano – si uniscono, riconoscendoci tutti diversi e con pari dignità, capaci ognuno nel suo, e audaci.
di Luigi Trisolino