lunedì 7 ottobre 2024
Nei forum filoisraeliani ai tempi della Seconda intifada, quando esplodevano scuole, bar e ristoranti a Tel Aviv e altrove – allora non c’era Netanyahu! – i giovani ebrei chiamavano il quotidiano Il Manifesto con l’epiteto “Il Nazifesto”. Un errore, forse motivato dalle posizioni di quel giornale, nel momento in cui il terrorismo di massa della intifada dava una sponda ulteriore all’ondata jihadista che esplodeva ovunque a inizio Anni zero, en pendant col putinismo. Quello stesso quotidiano domenica ha “celebrato” il ricordo del 7 ottobre 2023 con un piglio leninista. Questo è un assioma, e quindi dovrò esporre meglio la questione. Tutta la prima pagina sembrava costruita per accusare soltanto Israele, ma così si giustifica la strada iraniano-hamasiano-hezbollinica. Ciò a partire dal titolo Vigilia di sangue, che rovescia il contesto semantico, spostandolo da azioni naziste (sventrare una madre incinta davanti a figli e marito, tagliarle la testa, trascinarla per i piedi sulle strade di Gaza) alle bombe contro Hezbollah in Libano (dopo aver avvertito la popolazione). C’è differenza tra stuprare e decapitare civili innocenti e combattere contro i responsabili di quegli stessi massacri, nascosti sotto abitazioni civili. Di Hezbollah ricorderei i missili lanciati su un campo di calcio dove si stavano confrontando due squadre di ragazzini, assassinati.
La prima pagina de Il Manifesto del 6 ottobre 2024 prosegue coi rovesciamenti di realtà. I partecipanti alla manifestazione – non autorizzata – diventano 10mila, invece dei 5.000 riportati da altri organi di informazione. Queste tecniche comunicative rischiano di deformare l’opinione di chi, in nome della pace, manifesta involontariamente contro la pratica della pace. Del resto la Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, che è anche capo del clero sciita di derivazione khomeinista, ha dichiarato “legale” il massacro del 7 ottobre. In questo periodo arrivano in continuazione idee, sobillazioni, complottismi. Eppure molte persone a sinistra distinguono il marcio (Hamas e dintorni) dagli errori compiuti da Benjamin Netanyahu. Ce ne sono altre, però, che producono disastri nell’opinione pubblica con molte parole e qualche sampietrino. Infine c’è chi – come Il Manifesto – che vive in un passato stile anni Settanta, allora giustificato dal post-colonialismo, ma oggi difficile da comprendere nella sua voglia di essere insieme rivoluzionario e democratico, senza avere cognizione di quale rivoluzione si vuole alzare la bandiera. Se non di quella bolscevica, quale?
E quale sistema economico vuole promuovere Il Manifesto? Se non quello post-capitalista, quale ha dato ricchezza, anche alle classi meno agiate? Quello cubano e venezuelano, quello iraniano o russo? Aggiungiamo che le masse hanno smarrito ogni cognizione della storia, grazie a una scuola ancora modellata su una didattica orientata al proselitismo politico più o meno bicefalo. La storia dice che chi attacca e invade è il responsabile della guerra, non chi reagisce agli attacchi e alle invasioni. Ci dice che la guerra ha delle regole minime di civiltà, e che tra queste c’è l’obbligo di evitare al massimo le uccisioni di civili nel corso di bombardamenti o combattimenti su terra. Infine, la guerra ha delle regole: chi perde paga un prezzo. Perde territori. Nel caso di Israele questa cosa non funziona: lo attaccano, vengono sconfitti, ma nulla deve cambiare per le oche del Campidoglio sempre pronte a quackerare quando arrivano due fraticelli, e sempre zitte quando sul Campidoglio siedono tronfi gli eserciti dei Lanzichenecchi.
Dobbiamo tornare alla risoluzione 181 Onu “Due popoli, due Stati”, che fu rifiutata non da Bibi Netanyahu, ma da Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano che, il giorno dopo la nascita dello Stato di Israele del 15 maggio 1948, dopo aver rifiutato la spartizione della Palestina, invasero il nuovo Stato israeliano. La storia dice anche che Israele ha vinto (era obbligata a farlo, pena la sua fine) tutte le altre guerre, e ha dovuto affrontare anche continue azioni terroristiche. Ricordiamo che ben prima del 1948, ci furono sanguinari pogrom contro gli ebrei che già allora vivevano nell’attuale Israele. La Storia di Gaza insegna che la restituzione del Sinai, perduto dall’Egitto in guerra, portò a una pace duratura, mentre la restituzione di Gaza ai palestinesi dell’ala dura di Hamas, è servita ad armarli con l’aiuto iraniano.
Cosa scrive Il Manifesto del 6 Ottobre? “I manganelli non fermano la piazza”? Quello è il titolo a commento della manifestazione di quella parte di sinistra che sostiene la pace e la non violenza in maniera stramba. Il Manifesto cita i quattro feriti dalla parte dei manifestanti, mentre i 34 feriti tra gli agenti di polizia diventano “24 contusi”. Eppure avevano i “manganelli”, come ci dice il titolo. Inoltre i pacifici pacifisti, solo a “fine livori” si sarebbero scagliati contro le forze dell’ordine. Per non parlare degli slogan. Viene da pensare a quanto male questa parte di sinistra faccia alle proprie stesse voglie di vittoria, reiterando stilemi che piegano la realtà più che analizzarla. Chi scrive da ragazzo ha navigato in quelle acque di certezze. Oggi mi piacerebbe aver compreso meglio le ragioni della parte laico-liberale che – come Marco Pannella – non accusava ma lavorava per i diritti sociali e dei popoli, a forza di idee e non di sampietrini, a colpi di scioperi della fame e non di un posto a Montecitorio.
Invece in un Occidente che ha smarrito il senso della storia ne uccide più la parola che la spada di Israele. Invece i russi, gli iraniani, i cinesi, i nordcoreani, non hanno spade, secondo Il Manifesto: il merito di quei regimi è essere anti-americani, ciò basta. Così quella parte di sinistra che segue il “conte Vladi” Lenin, padre del nuovo Vladi oligarchico, cioé Vladimir Putin, non sa che il Venezuela bolivarista, invece di essere comunista, era ed è nazi-comunista, per via di alcuni legami del caudillo Hugo Chavez (ex colonnello dei parà) con la Giunta militare Videla.
E quindi quelle 10mila persone (non 5.000: il post-marxismo non riesce a prescindere da una vocazione messianica, che moltiplicando i pani e i pesci, rinsalda il proprio credo con un rigore morale che diventa rigor mortis politico), finiscono per comprendere le “ragioni” di Hamas. Perché attaccare Matteo Salvini e tacere su Khamenei? Perché c’è una matrice teocratica persino nei più laici e “progressisti” che suona con questo assioma: “Noi siamo dalla parte del bene: gli altri sono mostri del male”. Ora, noi liberali almeno sappiamo che la destra a volte trascura la questione morale. Ebbene, sappiamo però che lo fa anche la sinistra anti-liberale che usa le parole giuste per fare cose sbagliate. Del resto, ai tempi della questione morale berlingueriana (gli anni Ottanta), il Pci continuava a prendere soldi da Mosca, mentre però la stampa definita progressista accusava la Dc di prendere “stecche” dagli Stati Uniti, e lo faceva a ragione, ma anche a torto, visto che la mostrificazione del presidente della Repubblica Giovanni Leone fu un errore clamoroso quanto immorale.
Ebbene, cosa dice Il Manifesto? Che i 7.500 (facciamo una media) accorsi a mani non nude contro i manganelli della polizia, lo hanno fatto perché vogliono fermare la carneficina in corso a Gaza. O dici almeno che la “carneficina” è bilaterale, oppure è logico che poi ti riduci a sfilare in 7.500 in nome di una pace che – così come profilata da chi usa la storia per distorcerla con l’ideologia – significherebbe dare a Teheran una vittoria catastrofica.
di Paolo Della Sala