lunedì 7 ottobre 2024
Un viagra politico demolibertario per ravvivare l’Occidente
I tempi e gli spazi delle sfere mediatiche ci richiedono sintesi, anche nel rispetto di chi ci legge o di chi ci ascolta. Persino sul conflitto tra Israele e Hamas non possiamo venir meno a tale esigenza; deve trovarsi tuttavia un tempo peculiare, comunque sintetico, idoneo per andare oltre il semplicismo delle tifoserie da stadio. Un tempo, nel complesso, per provare a dettagliare le sfumature delle complessità, in modo semplice, democratico e – perché no – militante. Un anno fa c’è stato un devastante pogrom contro gli ebrei, perpetrato dall’organizzazione geoterroristica Hamas, politicamente nazislamista senza se e senza ma. Il 7 ottobre 2023 è uno spartiacque ulteriore, tra un prima e un dopo nei già difficili equilibri storici in Medio Oriente. Il 7 ottobre odierno, nel 2024, ci arriva ruvido, ruvidamente connesso a battaglie fra civiltà che per le proprie ideologie o post-ideologie tenterebbero di eliminarsi vicendevolmente. L’aspirazione dei due fronti opposti è quella di adottare lo stesso alfabeto tecno-bellico, anche ricorrendo alle tecnologie guerriere di gruppi militarizzati paralleli e di Stati amici.
DA QUALE PARTE STARE?
Chi siamo noi per giudicare se vale di più la vita degli ebrei d’Israele, specchio della vita degli ebrei in diaspora in ogni angolo del mondo, da un lato, o dall’altro lato la vita dei palestinesi innocenti che muoiono sotto i bombardamenti di Benjamin Netanyahu. La vita degli innocenti è vita che vale parimenti. Le nostre radici cristiane attraversate da umanesimo quattrocentesco, illuminismo sei-settecentesco e femminismo novecentesco ce lo insegnano, o dovrebbero insegnarcelo carsicamente, attraverso le sensibilità culturali con cui veniamo generalmente educati (in teoria). Da quale parte stare? Se questo scontro è uno scontro di civiltà, senza dubbio, pur criticando profondamente le tattiche e gli strumenti del presidente israeliano Netanyahu, dovremmo essere tragicamente dalla parte della lotta liberal democratica contro l’oscurantismo nazislamico di Hamas, e dei suoi surrogati. Ricordiamo che Hamas tiene in ostaggio fisico, spirituale e culturale (ma anche economico) intere popolazioni palestinesi, usate troppo spesso come scudi umani negli attriti bellici con Israele.
Se invece questo scontro fosse una resa dei conti sulla storia, su chi o cosa c’era prima in determinati territori, dovremmo metterci d’accordo sul millennio da cui partire o, se si volesse rimanere negli ultimi 100 anni, dovremmo intenderci sul decennio da cui far partire la memoria storica. Sarebbe però un po’ anacronistico, ormai, anzitutto per le necessità urgenti d’occuparci di sicurezza e libertà umane nel nostro pezzo d’Occidente, oltre che per la necessità d’occuparsi in generale del forse possibile futuro liberal democratico in Medio Oriente.
Le colpe degli occidenti, da quello anglo-statunitense a quello euro-continentale, ci sono state ed anche attraverso quelle colpe storiche dobbiamo maturare il nostro senso – nonché il nostro slancio – critico, sul divenire storico e dialettico della trans-nazionalità dopo la fine del miraggio paradisiaco sulle globalizzazioni. Ma ciò non toglie luce all’ossigeno che proprio i nostri occidenti eurotransatlantici possano unificarsi in un Occidente umanista e libertario, dove ad essere senza se e senza ma sia la difesa della nostra sicurezza e dei nostri stili di vita caratterizzati socialmente, culturalmente, giuridicamente, politicamente dalle libertà individuali per tutte, per tutti. Se per rispondere alla domanda “da quale parte stare?” volessimo metodologicamente seguire l’approccio dell’arrembaggio storico, dovremmo pensare alle operazioni di Israele nel 1948, alla penetrazione israeliana in territorio arabo del 1967 con la modifica dei confini fino a quel periodo definiti per la Cisgiordania e la Transgiordania. Il dolore dei palestinesi di quegli anni non dobbiamo obliarlo, ma sulla base di quel dolore non possiamo decostruire la nostra visione occidentale, libertariamente democratica ove non sempre democraticamente libertaria, sul presente.
La reazione dei palestinesi a quelle aggressioni del 1948 e del 1967, a loro volta successive alla formalizzazione della fine del mandato britannico in quella terra, è diventata nel corso del tempo un’aggressione metodologicamente terroristica, antitetica alla nostra civiltà occidentale. C’è chi giustifica l’odio. Io invece penso che molto pragmaticamente, più che di giustificazionismi da tavolino o da piazza, dovremmo occuparci di sicurezza e di tutela delle vite individuali nonché sociali dei nostri popoli liberi. Di dirottamenti d’aerei e di attacchi kamikaze nelle nostre città europee ci possono raccontare bene coloro che ancora portano i segni di quell’odio di reazione, spostato su scala globale fuori dai binari di uno scontro geopolitico ben delimitato e fattosi anarchico nei mezzi, anti-liberal democratico nei fini. Dobbiamo proteggere la nostra identità giuspolitica di diritti, doveri, responsabilità e libertà. Dobbiamo tutelare il nostro ordine pubblico occidentale liberale, ed auspicabilmente demolibertario.
Dobbiamo proteggere gli ebrei dai punti oscuri della storia umana che spesso li hanno visti soggiogati e discriminati ingiustamente, nonché barbaricamente. E dobbiamo al contempo fare in modo che anche gli altri non diventino i “nuovi” ebrei della storia. Per far tutto ciò ci occorrono spalle identitarie occidentali forti, chiare e trasparenti nei movimenti muscolari, sempre connessi ad un cervello capace d’ideare posizioni occidentali necessariamente militarizzate in difesa e mai in attacco. Non possiamo lasciare che ancora una volta cresca l’odio antisemita mascherato dai rancori antisionisti, da più parti accolti e intellettualmente coccolati. Il mezzo per far ciò non è la repressione del dissenso, ma la prevenzione degli attacchi e dei disordini, sia se questi partano da cellule mediorientali sia se essi vengano progettati da estremisti esaltati di centri sociali o di gruppi eversivi occidentali.
Se volessimo rifarci alla storia del secolo scorso, comunque, dovremmo necessariamente adottare una lente di storicizzazione che definisca le differenze tra il Novecento e l’attualità successiva all’11 settembre 2001, nonché successiva all’epopea dello Stato islamico o Isis, con il conseguente pullulare di potentati di Hamas e di Hezbollah plusborghesisticamente in giro per il mondo. Queste plusborghesie illiberali – e quindi, in un certo senso, falsamente borghesi – lasciano i campi di guerra e le polveriere alle schiere dei loro emissari fedelissimi, e ai poveracci, che di conseguenza mangiano pane e odio su più fronti e per più motivi.
Già Oriana Fallaci negli anni Settanta del secolo scorso, in seguito ad una delle sue interviste a Hussein di Giordania, che pur senza aver mai criticato il diritto d’Israele ad esistere aveva permesso ai fedayyín palestinesi le loro guerriglie anti-israeliane dell’epoca, osservò quanto segue: “Come tutte le guerre, la resistenza palestinese si segue con alterne fasi di ammirazione e di indignazione, di simpatia e di rifiuto: dipende dagli episodi e dalle persone in cui ti imbatti”. La stessa Fallaci, quindi, nelle sue pagine chiosò sostenendo che “su un piano umano, e anche storico, i palestinesi hanno ragione: sono diventati davvero i nuovi ebrei della Terra. Ma allora, e per i medesimi motivi, hanno ragione gli ebrei che non possono trasformarsi a loro volta in palestinesi. Però guai se lo affermi: rischi di buscarti una pallottola in capo, o una bomba sul letto, o un veleno nella minestra. Bè, io lo dico lo stesso. Anche il veleno nella minestra è il prezzo con cui si paga a volte l’agire secondo la propria coscienza. Il prezzo della libertà”.
Il periodo fiorente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina è finito. Resta Hamas nella Striscia di Gaza, resta Hezbollah che dal Libano spalleggia particolarmente la causa anti-israeliana declinandola in generale in funzione anti-occidentale e anti-liberale. Resta uno scontro fra capitalismi senza liberalismi, se visti dal lato hamasiano-hezbollahiano. Non possiamo svenderci. Né al terrore geopolitico nazislamico, né ai mezzi disumani e aprioristicamente uccidi-tutti di Netanyahu, a sua volta certamente non liberaldemocratico. Spieghiamo, cortesemente, queste complessità a tutti quei collettivi studenteschi di estrema sinistra in Italia e in generale in Europa, ma anche a tutte quelle associazioni accademiche statunitensi che di fatto si pongono nello spettro politico come filo-hamasiane. Spieghiamolo, a coloro che lasciano infiltrare i gruppi scioccamente anarchici e insurrezionalisti nei raduni romani, come è accaduto sabato 5 ottobre nella capitale italiana (alla faccia della non violenza di Francesco d’Assisi che abbiamo celebrato tutti insieme il 4 ottobre).
Proteggiamo la stella di Davide con orgoglio, ma proprio in nome del nostro orgoglio occidentale demolibertario che verrà – se avremo competenze e coraggio per farlo venire – valorizziamo il nostro Dna umanista, teniamo ferma e dura la nostra umanità politica. Mai, mai, mai più 7 ottobre 2023, e anzi serve un esercito federale europeo per difenderci e prevenire gli attacchi terroristici, come già scrissi più volte negli scorsi anni e come già dissi nel primo video della mia videorubrica Il Graffio di Trisolino su L’Opinione, video che non casualmente girai a Roma nel rione ebraico a Via del Portico d’Ottavia. e che pubblicai proprio a un mese esatto da quella data dolente, su cui volgiamo energicamente tutti i nostri mai-più. Mai più 7 ottobre 2023, e agiamo per un 7 ottobre 2025 più a misura di un Occidente demolibertario, umanista, sicuro e militarizzato in funzione difensiva, culturalmente nonché giuspoliticamente militante. Contro ogni forma e surrogato di nazislamismo geopoliticamente imperialista. Sapete perché parlo al 2025? Perché i mezzi dei bombardamenti sui tanti civili e le indisciplinatezze della guerra a cui siamo giunti in questo 7 ottobre 2024 non devono ripetersi più. O si va via terra ad individuare Hamas per annientarne i capi e gli esecutori, o si rischiano ingiuste e disumane carneficine pigliatutto. Occorre spiegare questo alle piazze europee e statunitensi.
Le azioni violente degli anti-occidentalismi occidentali di sabato 5 ottobre a Roma, dove purtroppo ben 34 persone appartenenti alle forze dell’ordine sono rimaste ferite, dimostrano che una parte del nostro Occidente è autolesionista, disfattista, incosciente, ma soprattutto impotente. L’anti-occidentalismo di alcuni occidentali soffre una disfunzione erettile e non riesce a penetrare il senso della nostra attuale missione demolibertaria, di fronte a noi stessi – anzitutto – oltre che nel mondo. Contro quelle disfunzioni erettili, e contro l’impotenza anti-occidentale di alcuni occidentali, dobbiamo ideare un Viagra politico. Materie prime siano una sana identità liberale e uno spiccato buon senso evolutivo. Sono aperte le sperimentazioni.
di Luigi Trisolino