giovedì 3 ottobre 2024
Nel contesto italiano, una delle principali ostilità alla piena espressione delle potenzialità economiche è rappresentata dall’inefficienza del sistema giudiziario. Il fenomeno della malagiustizia si manifesta in diverse problematiche: dalla prolungata durata dei procedimenti alla mancanza di prevedibilità delle sentenze, fino al diffuso problema della corruzione.
Dal nostro punto di vista tali inefficienze non costituiscono semplici ostacoli burocratici, bensì influiscono in maniera diretta e tangibile sull’economia del Paese. Secondo il World Justice Project, l’Italia occupa il 31° posto su 140 Paesi in termini di efficienza del sistema giudiziario. Nonostante alcuni miglioramenti rispetto al passato, i tempi di risoluzione delle controversie civili si collocano tra i più elevati in Europa.
Il Rapporto 2022 del Consiglio d’Europa riporta che la durata media di un procedimento civile di primo grado in Italia è di circa 527 giorni, rispetto a una media Ue di 233 giorni. Se si considerano anche i gradi di appello, questo intervallo temporale può triplicare, con controversie che si protraggono fino a otto anni.
Questi ritardi hanno effetti devastanti, in particolare sulle piccole e medie imprese (Pmi), che costituiscono il 99 per cento del tessuto produttivo nazionale.
Un esempio emblematico riguarda le controversie commerciali: per un’impresa in attesa di riscuotere un credito, un’attesa prolungata per una sentenza significa immobilizzare liquidità essenziale. In settori come quello delle costruzioni, il tempo medio per risolvere una controversia di appalto si attesta intorno a 1.210 giorni. Ciò ha indotto numerose imprese edili a rifiutare lavori pubblici, temendo che i costi legali superino di gran lunga i profitti attesi. Per sfuggire a tali ritardi, molte aziende ricorrono a transazioni extragiudiziali, spesso accettando compromessi svantaggiosi, il che genera distorsioni nel mercato e avvantaggia chi è disposto a negoziare sulla base della forza economica piuttosto che sul diritto.
La mancanza di fiducia degli investitori internazionali nei confronti dell’Italia è ampiamente documentata. Nel rapporto annuale del World Economic Forum, l’efficienza del sistema giudiziario italiano è identificata come una delle principali ragioni per cui il Paese fatica ad attrarre investimenti diretti esteri (Ide). Nel 2022, l’Italia ha ricevuto 24 miliardi di dollari in Ide, ben lontana dai 54 miliardi della Spagna e dagli oltre 100 miliardi della Germania.
Un fattore cruciale è l’incertezza associata alla tutela dei diritti contrattuali e alla lentezza dei procedimenti. Un sondaggio condotto dall’Associazione degli Investitori Immobiliari Europei (Inrev) ha rivelato che il 67 per cento degli intervistati è riluttante a investire in Italia a causa dei prolungati tempi di risoluzione delle controversie immobiliari, spesso superiori ai cinque anni. Molti investitori preferiscono dirottare i propri capitali verso paesi come Polonia o Portogallo, dove i tempi per una decisione giudiziaria risultano più rapidi e prevedibili.
Un altro aspetto critico concerne il settore della giustizia amministrativa. In Italia, i contenziosi tra imprese e Pubblica amministrazione possono durare anni, bloccando appalti e investimenti strategici. Secondo il Rapporto 2022 dell’Ance, circa il 35 per cento dei grandi progetti infrastrutturali approvati è ostacolato da ricorsi amministrativi. Solo nel settore delle opere pubbliche, nel biennio 2021-2022, il valore delle gare sospese a causa di contenziosi legali ha superato i 15 miliardi di euro. Tali ritardi hanno un impatto diretto sull’occupazione e sulla crescita economica, poiché cantieri bloccati significano meno lavoro e meno investimenti sul territorio.
Un caso emblematico è rappresentato dal progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, dove le dispute legali tra lo Stato e le imprese appaltatrici hanno causato non solo un ritardo di oltre dieci anni, ma anche un aumento vertiginoso dei costi, da 6 a 8,5 miliardi di euro. Questi rallentamenti rendono l’Italia meno competitiva nel settore delle grandi opere rispetto a Paesi come Francia e Germania, dove le controversie vengono risolte più rapidamente grazie a un sistema giudiziario più snello.
Non si può affrontare il tema della malagiustizia in Italia senza considerare la questione della corruzione. Secondo Transparency International, l’Italia si colloca al 41° posto a livello mondiale per percezione della corruzione, peggio di molti dei suoi partner europei. Questo fenomeno è intimamente legato alla lentezza del sistema giudiziario: quando i procedimenti si prolungano e risultano complessi, si crea un terreno fertile per pratiche corruttive. Un esempio esemplificativo è fornito dai processi per corruzione, che in Italia possono durare anche otto-dieci anni.
Il caso del Mose di Venezia, in cui è emerso un vasto sistema di tangenti, è significativo: a oltre dodici anni dall’avvio delle indagini, il processo è ancora in corso. Questa lentezza non solo ostacola la giustizia, ma disincentiva le autorità a intraprendere nuove indagini, erodendo la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Inoltre, la corruzione rappresenta un costo diretto per l’economia, con stime della Corte dei conti che indicano un costo annuo superiore ai 60 miliardi di euro, una cifra che sottrae risorse vitali per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
In questo contesto desolante, risulta evidente che riformare la giustizia non è solo una necessità etica, ma una priorità economica.
I recenti sforzi governativi, come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), prevedono un investimento di oltre 2 miliardi di euro per digitalizzare il sistema giudiziario e ridurre i tempi dei processi. Si stima che la piena attuazione del piano potrebbe abbattere i tempi medi dei procedimenti civili del 40 per cento entro il 2026, generando un incremento potenziale del Pil superiore allo 0,6 per cento annuo. In aggiunta, è cruciale potenziare i tribunali specializzati, in particolare quelli dedicati alle imprese e alle controversie amministrative. Il Tribunale delle Imprese di Milano, ad esempio, ha dimostrato di essere un modello di efficienza, con tempi medi di risoluzione delle controversie inferiori ai 300 giorni. Espandere questo modello a livello nazionale rappresenterebbe un passo significativo per migliorare l’attrattività del nostro Paese.
Mi pare evidente che il nostro Paese non dovrebbe essere ostaggio di un sistema giudiziario inefficiente. Se desideriamo attrarre investimenti, promuovere la concorrenza leale e stimolare la crescita, è imperativo agire senza indugi anche a costo di prevedere norme speciali per l’attuazione del programma d’innovazione.
Le riforme attualmente in atto rappresentano un primo passo importante ma non risolutivo, ma è necessario un impegno costante e condiviso per garantire tempi rapidi e certi, una giustizia trasparente e accessibile a tutti.
Per affrontare efficacemente la crisi della giustizia, il Governo Meloni dovrebbe oltre che seguire sulla strada dello snellimento delle procedure e la riducendo i tempi dei processi, anche tramite l’implementazione di tecnologie digitali e la semplificazione delle norme, nonché procedere ad incrementare il personale sia giudicante che amministrativo, anche prevedendo un inserimento agevolato per avvocati con esperienza. Inoltre, investire nella formazione e aggiornamento dei magistrati e del personale è essenziale per garantire un sistema più efficiente e competente. Inoltre, la promozione di sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, come mediazione e arbitrato, potrebbe contribuire a risolvere le dispute in modo più rapido e meno costoso.
Manca inoltre un sistema di monitoraggio indipendente per valutare sia l’efficacia delle riforme che garantire una maggiore trasparenza nell’attività giudiziaria, così come è necessario sviluppare sinergie con enti locali e Ong per affrontare problematiche sociali che influenzano la giustizia.
Infine, una corretta campagna di sensibilizzazione per informare i cittadini sui loro diritti e sul funzionamento del sistema giudiziario può aumentare la fiducia nelle istituzioni. Queste misure potrebbero contribuire a migliorare la situazione attuale e a costruire un sistema giudiziario più efficiente e condiviso e costituire la chiave di volta per imboccare una via d’uscita alla crisi attuale, che rammentiamolo è, come visto, anche d’immagine.
(*) Economista
di Enea Franza (*)