Le giuste ragioni di Meloni

giovedì 5 settembre 2024


Agli inizi dello scorso mese di giugno, i giorni 8 e 9, si sono svolte le elezioni per il Consiglio europeo che hanno dato alcuni importanti segnali per la politica, in particolare la debolezza della Francia di Emmanuel Macron per la crescita elevata per il partito della Le Pen, Rassemblement national, che si è confermato il primo partito del Paese con il 32 per cento dei voti – mentre quello di Macron ha realizzato solo il 14,9 per cento dei voti, con una variazione di quasi 17 punti in percentuale. Il presidente dell’Eliseo ha immediatamente convocato le Elezioni nazionali per ridurre il potere contrattuale della Le Pen.

La stessa involuzione l’ha subita Olaf Scholz in Germania, in cui più che una vittoria per il centrodestra e la destra estrema, le Elezioni europee sono state un disastro per le forze di governo, e soprattutto per il cancelliere socialdemocratico, che ha subìto una delle sconfitte più gravi della storia recente, pur essendosi impegnato in prima persona nella campagna elettorale. Attualmente, almeno secondo i risultati delle elezioni, Scholz guida un governo che gode del consenso di meno di un terzo della popolazione, e lui stesso è uno dei cancellieri più impopolari di sempre. Macron, per ridurre il potere politico del Rn ha fatto svolgere le elezioni nazionali che hanno creato un meccanismo di aggregazione funzionale ad arrestare la Le Pen, ma non a governare per la presenza di troppi galli nel pollaio che stanno andando in confusione.

In presenza di questo significativo arretramento dei conservatori si sono svolti i giochi della rielezione della giunta europea e del suo presidente, con la situazione paradossale che coloro che davano le carte erano i perdenti, e avrebbero giocato sulla riconferma delle posizioni precedenti che si stavano dimostrando perdenti nella storia. La giunta di Ursula von der Leyen aveva mostrato una sudditanza pericolosa nei confronti degli Stati Uniti, e nell’appoggio delle loro politiche belliche in Ucraina. In fin dei conti, la politica delle sanzioni ha danneggiato l’Europa, mentre è risultata funzionale agli Usa. Una guerra per procura accesa dopo anni di provocazioni in Ucraina verso il mondo russofono, fino a fare accendere la miccia dell’invasione russa sotto la pressione dei neocon americani, in particolare Robert Kagan e la moglie Victoria Nuland.

Come scrivevo il 26 luglio su l’Opinione e il 23 luglio su Strumenti politici: “In questo clima di crescente ostilità si sono svolte le elezioni del nuovo Parlamento europeo e la nomina del nuovo presidente, in realtà il candidato era uno solo senza alternative rappresentato dal precedente presidente Ursula von der Leyen, già questa situazione dimostra un’incapacità di andare verso il nuovo in un mondo che cambia rapidamente in cui si richiede una nuova anima ed un nuovo pensiero per potere fare fronte alle sfide dell’ambiente fortemente mutevole con una forte dialettica possibile fra le parti, per evitare l’immobilismo catatatonico del precedente Parlamento e del suo rinnovato presidente.

L’Europa ha manifestato nella sua governance un appiattimento verso decisioni esterne che l’hanno resa fortemente dipendente dalla posizione assunta in questi anni dagli Stati Uniti, è venuta meno l’autonomia di pensiero e la creatività politica necessaria per creare un bilanciamento positivo che potesse rendere l’Europa un soggetto politico con una sua identità e non solo un utile esecutore di politiche altrui. Ursula von der Leyen ha impersonificato perfettamente questa sudditanza priva di slanci creativi in grado di fare mettere a terra i problemi veri di un mondo che cambia e non restare su posizioni autoteferenziali perdenti, in questo senso la scelta caduta ancora su Ursula risulta una pericolosa scelta antistorica, volta a replicare una forma di immobilismo dipendente ed insensibile ai cambiamenti necessari per evitare che l’Europa venga trascinata verso una crescente instabilità (…) La crescita dei Brics è stata vistosa ed ha creato una crescente aggregazione di nuovi Stati che si pongono in alternativa come forza di governo alla cultura coloniale dell’Occidente, che ha spesso visto forme non più accettabili di colonialismo imperante. La posizione del mondo pone a confronto una forza che sta crescendo ed una forza antagonista che sta perdendo unità e potere politico.

In questo senso la guerra in Ucraina, seguita all’invasione da parte della Russia ha dato forma alle diverse aggregazioni tra Occidente e resto del mondo ed ha reso evidente che uno scontro dei due mondi sarebbe fatale più per l’Occidente. I condizionamenti posti dalla politica Usa sono stati scrupolosamente eseguiti da un presidente europeo, Ursula von der Leyen, che si è comportata come un funzionario della Casa Bianca che prende ordini e li esegue scrupolosamente, senza il minimo dubbio sulla loro funzionalità a risolvere i problemi e non peggiorarli. Questo si è visto con il pericoloso deteriorasi dei rapporti con la Cina, senza provare a mantenere un equilibrio che consenta di stare a galla in un mare in tempesta di cui sembra che non ci si voglia rendere conto.

Si è venuto a creare una forma di governance autistica e ripetitiva, incapace di quella fantasia funzionale a creare alternative decisionali rispetto ad una governance americana che cominciava a dare evidenza alle difficoltà del presidente Joe Biden. In tutti questi frangenti, Ursula von der Leyen ha mostrato di avere un modello culturale di rigidità decisionale, di incapacità di muoversi con una sua autonomia rendendo sempre più l’Europa ostaggio di una linea superiore che la guidava senza resistenza o dibattito e confronto”.

Proprio per queste considerazioni affermavo che la possibile riconferma della presidente Ue si sarebbe rivelata una scelta antistorica, ma le forze conservatrici non hanno voluto vedere il cammino possibile della storia e così si è mostrato un deciso accanimento contro Giorgia Meloni, per la saggia decisione di non appoggiare la presidente uscente. Il Fatto Quotidiano in particolare, ma anche alcune forze di governo hanno attaccato la premier per questa scelta funzionale in una logica di medio-lungo tempo e non nel breve o brevissimo tempo, come hanno fatto le controparti.

Era evidente che il mondo stava cambiando ed anche le posizioni politiche avverse al governo europeo mostravano una crescente stanchezza nel seguire le direttive unilaterali sempre più perdenti. Oggi, dopo i voti regionali in Turingia ed in Sassonia che hanno dato la vittoria al partito di destra (AfD) e dopo la comunicazione del nulla di fatto in Francia per la composizione del governo, la presidenza di von der Leyen risulta più fragile ed in contrasto con i tempi e con una maggioranza che non rispecchia i sentimenti di molti cittadini della Germania, e forse non solo (come volevasi dimostrare).

I tedeschi, inoltre, si trovano di fronte ad una pesante crisi economica che ha portato la Volkswagen a pensare di chiudere una fabbrica, la prima dopo 88 anni. Il problema di fondo della Germania è legato alla crisi energetica che si è venuta a creare con le sanzioni alla Russia, e non è casuale che i vincitori delle regionali chiedano la sospensione degli aiuti all’Ucraina e l’apertura di un dialogo con Mosca. Ora, la premier Meloni, se saprà interpretare la storia ed il suo evolversi, potrà vedere che la sua scelta di non appoggiare le Ursula von der Leyen non le sembrerà così sbagliata come la volevano fare sembrare prima. Ma in questi frangenti la storia si muove molto velocemente e potrà giocare meglio le sue carte, in un gioco che si fa sempre più liquido, ma interpretabile. Magari le riconoscono una posizione favorevole per il suo candidato Raffaele Fitto. Va ricordato a suo merito che il viaggio in Cina è stato molto positivo per come è stato giudicato dai cinesi. Infatti, il presidente Xi Jinping, che normalmente dedica non più di mezz’ora agli ospiti anche di riguardo, ha tenuto la premier italiana più di un’ora e mezza. Conoscendo la millenaria storia dell’impero cinese, è un segnale importante.

(*) Professore emerito dell’Università Bocconi di Milano


di Fabrizio Pezzani (*)