Europa tra mito, sogno e realtà

martedì 3 settembre 2024


Il nome Europa nasce nella mitologia greca, e sta a significare “occhi grandi”. Secondo il mito, Europa era la figlia di Agenore, re di Tiro, una antica città cananea e colonia greca in area mediterranea-mediorientale. Quando Europa era giovane, venne notata da Zeus che se innamorò, per poterla conquistare e rapire il padre degli dei si trasformò in uno splendido toro bianco e, coricato sulla spiaggia, si lasciò avvicinare da Europa e la rapì, portandola a Creta attraversando il mare. Dalla loro unione nacquero tre figli: il leggendario Minosse, il coraggioso Radamante ed il saggio Sarpedonte. L’immagine del toro sarebbe salita al cielo dando vita all’omonima costellazione. Europa si sposò poi con il re di Creta, Asterione, che adottò i tre figli. Alla sua morte gli succedette Minosse, che fondò la civiltà cretese-minoica. In suo onore i greci dettero il nome di Europa al continente che si trova a nord di Creta.

Il termine Europa non sarà usato dai romani, ma diventerà una realtà concreta con Carlo Magno. Nel corso dei secoli gli Stati, imperi e monarchie europee si sono affrontate con guerre sanguinose e fratricide, fino alla Seconda Guerra mondiale, dove hanno bruciato nel fuoco le loro ardenti ed illusorie passioni. Solo dopo il drammatico e doloroso tempo della guerra tra nazionalismi esasperati, come la storia insegna, ha cominciato a prendere forma l’idea di un’Europa unita, su cui durante l’esilio di Ventotene nel periodo fascista – 1941-1944 – avevano lavorato Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Nel 1948, viene firmato il Trattato istitutivo dell’Unione Europea Occidentale e nel 1950 la dichiarazione di Shuman porterà alla costituzione della Comunità del Carbone e dell’Acciaio (la Ceca). Per venire ai giorni nostri, nel 1992 viene definito il trattato di Maastricht, e dall’anno 2000 viene introdotta la moneta unica, l’euro, sostitutiva delle divise locali. La Costituzione europea si fonda sul principio di solidarietà.

Il processo descritto in estrema sintesi è stato lungo, e ogni Paese partecipante di volta in volta ha sottoposto le decisioni inerenti l’Unione europea a formule referendarie, in modo tale che la partecipazione rappresentasse quanto più possibile la volontà di un popolo. Oggi, le Nazioni dell’Ue sono 27, ma se stiamo a perimetro geografico dell’Europa occidentale ed orientale i Paesi potenzialmente toccati sono 47. La stessa Russia ha profonde radici nella storia e cultura europea, ed il suo processo di occidentalizzazione è iniziato a partire da Pietro il Grande. La sua tradizione letteraria fa parte della nostra cultura ed esprime un alto senso spirituale e religioso, che ha raggiunto il suo apogeo nel XIX secolo con Gogol, Ivan Sergeevič Turgenev, Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj. Nell’iconografia si ritrova l’idea della teologia che le icone fossero opera di Dio stesso e dovevano trasmettere un messaggio spirituale. La Russia è anche espressione di legami storici con la Germania: la grande Caterina di Russia era tedesca e la porta di Brandeburgo è rivolta all’est. Eppure, oggi, gli Stati Uniti sono riusciti a farci mettere contro dimenticando il senso della storia.

Si può dire che il progetto di un’Unione europea rappresenta la sfida di aggregazione sociale più ardita, sfidante e lungimirante mai fatta nell’intera storia dell’uomo, e rappresenta la base per la costruzione di un ordine mondiale condiviso. Il sogno di potere unire sotto l’egida della cooperazione Stati che per millenni si sono sanguinosamente combattuti è la conferma di quale passaggio nella storia dell’uomo rappresenti la costituzione di un’unione. È attraverso il dolore che l’uomo acquista saggezza.

Arnold J. Toynbee, nella sua visione di evoluzione e declino delle civiltà, pensava ad un percorso di progressiva condivisione delle civiltà e società esistenti verso un ordine mondiale in cui non ci sia più una sola entità-Stato dominante. A regnare deve essere un principio di cooperazione che, partendo dalle singole entità che   compongono il sistema, salga fino a diventare ordine mondiale. Lo storico parlava di “bene comune”, verso cui tutte le Nazioni dovrebbero convergere, superando le naturali controversie. Perché una vera civiltà di ordine superiore può essere possibile solo con la cooperazione dei cittadini e la loro volontà di superare i loro interessi privati verso il bene comune.

Oggi la realtà ci porta con i piedi per terra, a confrontare i desideri con i problemi dell’uomo e dei suoi nazionalismi. La debolezza dell’Unione europea dipende dalla sua incapacità di provare a superare gli interessi economici, perché questi sono messi in primo piano e dettano l’agenda delle priorità della società. Se leggiamo la storia e proviamo a sperimentare l’idea che la società, invece, è fondamento dell’economia, potrebbe apparirci chiaro che una rinuncia a un interesse particolare, oggi può avere una maggiore ricompensa domani. L’ottimo del singolo non coincide mai con l’interesse del sistema, e questo vale anche per l’Ue e per i singoli che vi aderiscono. Oggi, gli Stati possono pensare alla massimizzazione del loro interesse personale in una logica di breve termine, ma nel lungo periodo solo la crescita del sistema è il bene per tutti. Ma forse sarà ancora la paura di perdere tutto che ispirerà la virtù del popolo europeo ad andare avanti.

Il tema della tenuta dell’euro, quindi, va ben al di là del solo problema economico e finanziario ma rappresenta una sfida sociale – nel momento in cui la storia ci sta chiedendo di scrivere una nuova pagina del suo libro – le ancestrali tendenze dalla natura umana sembrano continuamente oscillare fra aggressività e socialità. E come sempre la verità sta nel mezzo. Alcuni Paesi, come il nostro, dal momento dell’entrata nell’euro hanno fatto una politica di spesa pubblica dissennata, correndo dietro la ricerca del consenso nel breve tempo aggravando continuamente la spesa corrente anche in modo illecito, ma questo lo vedremo nelle prossime pagine. Però è bene ricordare che all’inizio dello scorso decennio il nostro debito era di 1.350 miliardi di euro e ora ce lo ritroviamo – nonostante tutte le manovre – a 3.000 miliardi, avendo comunque usufruito di tassi d’interesse prossimi all’1 per cento. Se dovessimo calcolare un tasso medio degli ultimi 20 anni avremmo in soli 10 anni raddoppiato il debito, ma sembra che le responsabilità debbano sempre ricadere sulle spalle di altri. la classe politica che ha governato in questi 20 anni dovrebbe essere tenuta a confrontarsi con la realtà dei fatti ed assumersene le responsabilità, che sarebbero molto gravi.

La guerra finanziaria scatenata da Wall Street e dal suo modello socioculturale ha avuto facile presa su un terreno così maldestramente preparato, ed ha sollevato i conflitti di fronte a cui ci troviamo, tutti pronti a cercare un responsabile, ma come dice Toynbee “cercare di addossare agli altri le proprie responsabilità nei tempi avversi è ancora più pericoloso che il credere in una sempiterna prosperità”. La sfida si gioca su un modello sociale non solo economico ed il suo andamento è visto con due diversi modelli culturali. Infatti, gli studiosi di matrice anglosassone che mettono la finanza come primo valore, e giudicano secondo l’ottimo del singolo nel breve tempo – la cultura del mercato – hanno sempre sostenuto che la Germania aveva l’interesse ad andarsene da sola fuori dalla zona euro. E così da tempo descrivevano come inevitabile l’uscita della Grecia, del Portogallo e così via. Ma la visione degli studiosi europei meno condizionati dalla cultura finanziaria americana è sempre stata più incline a vedere il problema in un ottica più ampia, e non solo finanziaria (la cultura della sussidiarietà). Certamente, l’azione di forza verso la moneta europea ha altre motivazioni che non la sola sostenibilità finanziaria, e lascia aperta l’idea di un pregiudizio nelle valutazioni delle agenzie di rating. Infatti, alla luce dei dati sopra esaminati sulla situazione economica, finanziaria e sociale degli Stati Uniti, l’assegnazione a loro della tripla A da parte di dette agenzie è oggettivamente irrealistica e, a questo punto, anche strumentale.

Ma l’idea di una uscita della Germania dall’Europa va contro la sua storia. Sempre il grande Toynbee, nel 1949, in Civiltà al paragone, scriveva a pagina 201: “In un’Unione europea che escluda tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione sovietica – e questo ex hypothesis è il punto di avvio per tentare di costruire una Terza grande potenza europea – la Germania deve venire fuori e al sommo, presto o tardi, in un modo o in un altro anche se questa Europa unita dovesse presentarsi all’inizio con una Germania disarmata, decentralizzata o addirittura divisa (…) In qualunque forma la Germania fosse inclusa, di tale Europa essa diverrebbe, a lungo andare, la padrona: e quando la supremazia non potuta raggiungere con la forza in due guerre, fosse venuta alla Germania, sia pure, questa volta per vie pacifiche e graduali, nessun europeo non tedesco potrà credere che i germanici, col potere a portata delle loro mani, avrebbero la saggezza di trattenersi dal ricominciare ad agitare la frusta e a giocare di speroni”. A fare tali considerazioni era un inglese, la sua era una delle Nazioni vincitrici della Seconda Guerra mondiale, ma a distanza di anni sembrano scritte oggi. Può essere nel destino della Germania l’abbandono dell’Europa? Ci può essere un’Unione senza i tedeschi? Ad entrambe le domande la risposta è negativa.

Ma per esserci – e ci deve essere per il destino del mondo, una grande Europa. è necessario che mantenga la sua unità. Per quanto difficile possa oggi sembrare. Anche perché tale coesione sociale avrebbe un ruolo determinante nel processo di costruzione di un bene comune globale. L’Europa è oggi l’unica istituzione in grado di dialogare con tutti i Paesi del mondo senza prevenzioni di sorta, cosa che non è possibile agli altri soggetti a livello globale. L’azione di indebolimento della sua unità è grave e pericolosa, anche nell’interesse di chi la promuove. D’altro canto, la preoccupazione di un’Europa unita era stata espressa anche dall’ex presidente americano Richard Nixon, che la vedeva come temibile concorrente. Nell’attuale cultura egemonica degli Usa, il timore può essere fondato, ma se l’orientamento va verso una forma più collaborativa, anche loro non possono fare a meno di questa Europa. Infatti, per il bene del pianeta è necessario che l’America si apra al mondo, per renderlo più sicuro, e per farlo ha bisogno di un’Ue forte, che sia vicino, ma non più in posizione di sudditanza come è stata pensata fino ad ora. Perché i tempi sono cambiati.

È vero che l’Europa ha perso la sua supremazia nel mondo, ma il globo si è in un qualche modo europeizzato: Europae si monumentum requiris, circumspice, se cerchi il monumento dell’Europa, guardati intorno. Il lascito dei grandi pensatori, a partire dai greci antichi, è parte imprescindibile della cultura dell’uomo, qualunque esso sia. Proprio a questa eredità si deve la formazione del pensiero che ci ha portato ad una forma di unione. Il ruolo e il compito  dell’Europa, per questo motivo, sembrano determinanti nel futuro dell’uomo, come era stato splendidamente descritto da Romano Guardini nel discorso tenuto in occasione del conferimento a lui del “Praemium Erasmianum” a Bruxelles, nel 1962, in cui si richiamava alla potenza acquisita dall’uomo tramite la sua conoscenza scientifica, e al rischio che di tale potenza la civiltà ne potesse fare un uso terribile. Così affidava all’Europa il compito di riportare la saggezza nella storia dell’uomo.

“Perciò io credo che il compito affidato all’Europa sia la critica della potenza. Non critica negativa né paurosa né reazionaria, tuttavia ad essa è affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi ma come destino che rimane indeciso dove condurrà. L’Europa è vecchia. Oggi sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere ad una nuova gioventù, certo grandiosa ma anche pericolosa. L’Europa ha creato l’età moderna, ma ha tenuto ferma la connessione con il passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica – benché naturalmente farà anche questo – ma nel domare questa potenza. L’Europa ha prodotto l’idea della libertà – dell’uomo come della sua opera – Ad essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà di fronte alla sua propria opera” (Europa. Compito e destino, pagina 26).

Allora, come si evolverà il tempo di quest’unione, e se sarà in grado di rispondere ai compiti che Guardini pensava le fossero attribuiti, è difficile dirlo. Ma scomodando ancora una volta la speranza nei tempi della storia, speriamo che essa ci possa portare avanti su questa strada, anche se con grandi sacrifici. Ma questo è il destino dell’uomo. D’altro canto, l’umanità ha il fato nelle sue mani. E l’essere umano deve decidere se lasciarsi prendere dalle passioni e precipitare nel baratro oppure ricordare che “come dicevano gli orfici è anche figlio del cielo stellato. Sebbene il suo corpo sia insignificante e debole in confronto alle grandi masse del mondo astronomico, pure egli è in grado di rispecchiare questo mondo, è in grado di spaziare con l’immaginazione e con la conoscenza scientifica sugli abissi dello spazio e del tempo. Quando mi lascio trasportare dalla speranza che il mondo  emergerà dalle sue tribolazioni attuali e che un giorno imparerà ad affidare la direzione delle proprie faccende non a ciarlatani crudeli – oggi diciamo anche incapaci, volgari e fatui – ma a persone dotate di saggezza e coraggio mi si presenta una luminosa visione: un mondo dove nessuno soffre la fame e pochi sono vittime di malattie, dove il lavoro è gratificante e non eccessivo, dove i sentimenti di benevolenza sono abituali e dove la mente affrancata dalla paura, crea per il diletto degli occhi, delle orecchie e del cuore” (Bertrand Russel, Un’etica per la politica, pagina 215).

Forse la ricerca di un'unione Europea, fondata veramente sul principio di solidarietà, come è nella sua Costituzione, potrebbe essere un primo passo nella storia dell’uomo per realizzare i compiti affidatigli da Guardini, e per dare concretezza ai sogni di Bertrand Russell.

(*) Professore emerito dell’Università Bocconi di Milano


di Fabrizio Pezzani (*)