martedì 3 settembre 2024
Ci troviamo sull’orlo estremante affilato di una lama che conduce a una guerra mondiale e tutti sono troppo interessati al pettegolezzo di palazzo o ai fatti propri per accorgersene, come invece dovrebbero. Tuttavia, questa pièce teatrale vede come attori principali il ministro dei Beni culturali Gennaro Sangiuliano e la poliedrica (e mobilissima, vista la facilità con la quale si sposta da un evento ad un altro, rapidità che ammiro) Maria Rosaria Boccia, in una pochade al limite del farsesco, quasi da film anni Settanta con Alvaro Vitali, Bombolo ed Enzo Cannavale (indimenticati compagni di risate politicamente scorrette della nostra giovinezza), nella quale non siamo più nel mero campo del gossip e neanche del pettegolezzo da corridoio ministeriale. Non voglio assolutamente fare la cronistoria di questa vicenda, che è invece facilmente leggibile per chiunque sul sito di Dagospia, dal quale provengono tutte le fonti redazionali. Invece, vorrei analizzare meglio alcuni elementi che avevano già in loro stessi, in nuce, in pectore, annidata nel seno da tempo, la situazione poco gradevole nella quale adesso si viene a trovare la nostra premier Giorgia Meloni, e di conseguenza il governo tutto. Purtroppo, dovrete donarmi un po’ della vostra pazienza, perché mi è necessario partire un po’ ab ovo, e fare una spero non noiosa ma necessaria premessa.
La destra attuale – non quella nella quale sono cresciuto io, mille anni fa in termini di tempi politici – ha un problema (tra i tanti) che si trascina da almeno trent’anni, ma forse di più, ed è quello di essere sempre stata ai margini del vero potere politico, simile ad una sorta di “fortilizio” – un po’ come il fosso di Helm ne Il Signore degli anelli – circondato da torme di nemici (e Dio sa quanti morti innocenti sono costati in anni terribili come i Settanta e gli Ottanta). Pertanto, chi viveva in quell’ambiente si è abituato a “fidarsi” soltanto ed esclusivamente del proprio simile, anzi del proprio (un tempo si diceva oggi non più) “camerata”, e da lì ne discende una sorta di enclave, di “famiglia allargata” fatta non soltanto di legami di sangue (purtroppo anche versato in omicidi ancora irrisolti) ma anche, o soprattutto, di vincoli di “militanza”. Insomma, non ti puoi fidare di nessuno che non sia un tuo congiunto, un parente o qualcuno che ha rischiato con te le sprangate dai compagni in qualche sede periferica della Capitale.
In tutto ciò non ci sarebbe nulla di male se questa sorta di “fratellanza” non si fosse irrigidita all’estremo, sclerotizzandosi un una testuggine corazzata che sì non fa entrare il nemico, ma neanche l’eventuale amico che porta viveri, rifornimenti e aiuti freschi, “amico” che dunque viene visto con sospetto ed escluso perché “ignoto”, quasi alieno. Psicologia spicciola la mia? Forse, del resto non faccio lo strizzacervelli ma mi occupo d’arte e di cultura da una vita. Però, ho una dote che a questa destra manca ed è sinora mancata: la capacità, chiamatela sensibilità, intuito, naso, fiuto o come volete, di capire chi mi trovo davanti a prescindere se sia un mio “simile” o meno.
L’improvviso raggiungimento del potere politico, il tanto agognato governo, i più alti scranni di Montecitorio, da parte di questo partito ipertroficamente cresciuto troppo in fretta, con il più alto seggio destinato alla Meloni, ha portato questo modus operandi tipico delle sezioni di partito direttamente nella gestione amministrativa dello Stato, e dunque ha influito enormemente nelle scelte della distribuzione dei ministeri (e delle persone che sarebbero andate ad occupare i vari dicasteri). L’improvvisa “ebbrezza” (siamo sinceri chi non si sarebbe sentito almeno un po’ euforico dopo anni passati nelle “fogne” o come dice qualcun altro nelle “pozzanghere”) del potere reale, ottenuto con così tanti sforzi – e la Meloni si è dimostrata veramente capace in questo – unita con l’atavica diffidenza verso l’esterno, insieme con la solidarietà fraterna e militante ha purtroppo creato gli attuali problemi.
Problemi dunque derivati in primo luogo dall’aver scelto le persone in base appunto alla “fedeltà” e alla militanza, o comunque a una sorta di ubbidienza che non avrebbe dovuto – non avrebbe, ma non è stato così – “disturbare il manovratore”, ripagandoli in tal maniera. In dispetto alla tanto declamata meritocrazia, si è dunque preferito scegliere gli amministratori della cosa pubblica tra gli amici, i fedeli, i seguaci, i militanti e via così dai più alti ordini sino all’ultimo fattorino. Tutto ciò ha una sua logica. Il fatto che poi questa logica paghi, è da vedere.
Così presumo, la stessa Giorgia Meloni e qualche altro consigliere suo, magari hanno optato per un Sangiuliano dal curriculum tutt’altro che scarno o insufficiente. Però è mancato loro quel quid, quel sesto senso, che avrebbe dovuto far capire a chi lo ha scelto che forse non era quella la soluzione migliore. Di questo ne sono assolutamente convinto, anche perché (con buona pace dei soliti detrattori che sostengono che la destra non abbia uomini di cultura) in realtà la destra aveva un bellissimo carnet a sua disposizione di ottimi intellettuali viventi e in buona salute, tra donne e uomini di grande cultura che però, non essendo considerati fedelissimi militanti, sono stati ritenuti difficilmente gestibili o imbrigliabili. E pensare che proprio quelle doti avrebbero fatto, oggi, la differenza.
Così, comunque sia andata, è stato scelto Sangiuliano – certo fossi al posto di Giorgia io un mini-corso base di programmazione neuro linguistica lo farei e lo farei fare d’obbligo a tutti i miei collaboratori, lo dico con affettuosa simpatia da “vecchio camerata” – e da lì tutto il resto è conseguenza. Cosa succederà adesso? Siamo in prossimità di un evento di importanza notevole come il G7 della cultura, e il ministro partenopeo (che molto sta facendo, giustamente, per la sua splendida e antichissima città e la sua bellissima regione, tanto da condurre gli illustri ospiti stranieri nella straordinaria Pompei) questo lievissimo inconveniente, che lo vede protagonista, lo avrebbe dovuto e voluto sicuramente evitare.
Certo, viste le innumerevoli gaffe nelle quali il ministro è scivolato lungo tutti questi mesi (quisquilie, pinzillacchere avrebbe detto il grande Totò), visti i fischi in pubblico, l’esser divenuto simpaticamente oggetto di meme e di ironia sui media, visto soprattutto una certa sua tendenza all’istrionicità – forse dovuta comunque alle sue origini napoletane – che gli perdoniamo volentieri, si potrebbe pensare a una sostituzione del tutto indolore che favorisca ed esalti le migliori virtù di Sangiuliano.
Magari il Nostro, anzi ne sono certo, a fronte di una sinistra sempre più bolsa e monotona, monocorde e monotonale, potrebbe tolkienianamente fare grandi cose nella sua regione d’origine troppo a lungo lasciata in mani progressiste. Ci vorrebbe un futurista in Campania e Gennaro Sangiuliano potrebbe essere l’uomo giusto per lanciare la sua sfida alle stelle. O almeno a Vincenzo De Luca!
E chi mettere quindi al suo dicastero così ambito e tanto complesso? Ah io lo saprei benissimo, ma naturalmente non lo rivelerò certamente qua, mi limiterò a farvi sapere che ci vedrei bene una donna. Una donna molto capace, colta, anche bella il che non gusta mai, ma soprattutto competente. C’è, ma purtroppo anche se di destra, di destra vera, non so se accetterebbe.
di Dalmazio Frau