Cittadinanza: formale o sostanziale?

martedì 27 agosto 2024


Comunque vada a finire la contesa politica in merito alla concessione della cittadinanza italiana ai figli di immigrati, il dibattito in corso pone in luce una diffusa incomprensione circa la natura di questo istituto giuridico. In particolare, da parte di vari commentatori e politici – ma credo che l’atteggiamento possa essere esteso anche a larga parte della popolazione – si sostiene che la cittadinanza dovrebbe essere riconosciuta solo nel caso in cui il richiedente esibisca una chiara integrazione con i valori culturali italiani. Si tratta di una formula apparentemente razionale che, in realtà, nasconde aspetti molto rischiosi e poco lungimiranti. Il termine cultura, nella sua versione originale, introdotta verso la fine del XIX secolo da Edward Tylor e poi adottata da tutta la tradizione di ricerca antropologica, è l’insieme di credenze, conoscenze, stili di vita e valori che caratterizzano una popolazione, insomma una vera e propria personalità collettiva. Cosa ha a che fare tutto questo con l’ottenimento della cittadinanza?

La questione può essere dipanata attraverso l’impiego di una analogia: la cittadinanza sta alla cultura come la democrazia formale sta alla democrazia sostanziale. In altre parole, la cittadinanza formale è un attestato che non garantisce in alcun modo l’adesione a valori culturali ma semplicemente l’accettazione esplicita delle leggi dello Stato che l’ha concessa. La cittadinanza sostanziale, invece, consiste nella piena e tangibile assimilazione da parte di una persona della cultura di una società nazionale. In questo senso, potremmo persino rilevare persone dotate di una forte cittadinanza sostanziale ma ancora prive di quella formale. Chi pretende dal richiedente la inequivoca dimostrazione della sua assimilazione culturale mostra di non capire che, in questo modo, si istituisce una sorta di totalitarismo culturale chiuso e ottuso grazie al quale, fra l’altro, l’emigrazione italiana ed europea verso gli Stati Uniti non sarebbe stata in alcun modo possibile.

Ciò che lo Stato, per esempio quello italiano, ha il diritto e il dovere di pretendere è semmai il rispetto della Costituzione e delle leggi vigenti. È su questa base formale che, nonostante la propria cultura lo ammetta o addirittura lo imponga, un padre che punisca o persino uccida una figlia, che non intende aderire ad un matrimonio combinato, viene senz’altro perseguito. L’integrazione culturale con la società ospite è tutt’altra cosa e, se la consuetudine con il rispetto formale delle leggi si mantiene nel tempo, la forma finisce per divenire spontaneamente sostanza. Si tratta di un processo che esige tempi lunghi, ed è per questo che le normative di tutti i Paesi si basano innanzitutto sulla quantità di anni di permanenza sul territorio. Le modalità dell’adattamento, inoltre, sono decisamente complesse e nessuna commissione o burocrazia può giudicare se e quanto si sia realizzato nei vari casi specifici ed è per questo che, quando la trasgressione è palese, la rigorosa e inflessibile applicazione delle sanzioni rimane l’unica strada efficace da percorrere.

Va da sé che la probabilità di una integrazione ottimale è fortemente correlata alla crescita di un ragazzo che frequenti l’intero arco scolastico dell’obbligo, e dunque il cosiddetto ius scholae è del tutto ragionevole così come lo è l’insieme delle diverse norme che in tutti i Paesi del mondo regolano questo processo. Ma, almeno nel mondo occidentale, nessuna norma prevede che, per la concessione della cittadinanza, il richiedente dimostri la propria sintonia profonda con i valori e dunque la cultura locale. Al più, e in termini peraltro ambigui, si fa riferimento, come in Svizzera, alla dimostrazione di una sufficiente familiarità – che non significa approvazione entusiastica – con le tradizioni locali oppure, come negli Usa, alla conoscenza della storia americana.

E poi, siamo sinceri, quali sarebbero i valori della cultura antropologica italiana, ammesso che ve ne sia una sola? Ho molti dubbi che, da un questionario in cui si ponessero domande decisive in tema di valori e di cultura distribuito a due gruppi di scolari, uno italiano e uno di immigrati, saremmo in grado di distinguere gli uni dagli altri.


di Massimo Negrotti