Ue, Ursula von der Leyen: una nomina antistorica

martedì 23 luglio 2024


Nel mese scorso si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che hanno mostrato una tendenza verso una forma di politica più partecipata. In Francia, la crescita del Rassemblement National di Marine Le Pen ha creato un’opposizione che ha dato luogo a nuove lezioni nel tentativo di bloccarne la corsa verso il premierato. Per realizzare questo obiettivo il presidente Emmanuel Macron ha creato a sua volta un richiamo a tutti i partiti con l’obiettivo di arrestarne la crescita. Il risultato di fermare Le Pen è riuscito ma ha creato un’aggregazione funzionale all’unico obiettivo di bloccarla ma senza nessuna proposta politica condivisa. L’aggregazione ha cominciato così a dare evidenza alle diversità di pensiero che erano state mascherate dall’unico obiettivo, rendendo la Francia difficilmente governabile. Questa divisione avrà effetti sugli equilibri del nuovo Parlamento europeo. Gli altri Paesi hanno mostrato un conflitto interno che ha portato ad aggregazioni di opposizione alla vecchia governance dell’Unione europea. In questo clima di crescente ostilità si sono svolte le elezioni del nuovo Parlamento europeo e la nomina del nuovo presidente. In realtà, il candidato era uno solo senza alternative rappresentato dalla presidente uscente Ursula von der Leyen. Già questa situazione dimostra un’incapacità di andare verso il nuovo, in un mondo che cambia rapidamente e in cui si richiede una nuova anima e un nuovo pensiero per poter fare fronte alle sfide dell’ambiente fortemente mutevole, con una forte dialettica possibile fra le parti per evitare l’immobilismo catatonico del precedente Parlamento e del suo rinnovato presidente.

L’Europa ha manifestato nella sua governance un appiattimento verso decisioni esterne che l’hanno resa fortemente dipendente dalla posizione assunta in questi anni dagli Stati Uniti. È venuta meno l’autonomia di pensiero e la creatività politica necessaria per creare un bilanciamento positivo, che potesse rendere l’Europa un soggetto politico con una sua identità e non solo un utile esecutore di politiche altrui. Ursula von der Leyen ha personificato perfettamente questa sudditanza priva di slanci creativi, in grado di far mettere a terra i problemi veri di un mondo che cambia e non restare su posizioni autoteferenziali perdenti. In questo senso la scelta caduta ancora su von der Leyen risulta una pericolosa scelta antistorica, volta a replicare una forma di immobilismo dipendente e insensibile ai cambiamenti necessari per evitare che l’Europa venga trascinata verso una crescente instabilità.

Il precedente quinquennio ha fatto maturare nel mondo una forma di crescente bipolarismo, con una foggia di collasso del mondo occidentale tenuto fermo da una politica troppo autoreferenziale, che pensa ancora come se fossimo in un mondo unipolare. La crescita dei Brics è stata vistosa e ha creato una crescente aggregazione di nuovi Stati che si pongono in alternativa come forza di Governo alla cultura coloniale dell’Occidente, che ha spesso visto forme non più accettabili di colonialismo imperante. La posizione del mondo pone a confronto una forza che sta crescendo e una forza antagonista che sta perdendo unità e potere politico. In questo senso, la guerra in Ucraina seguita all’invasione da parte della Russia ha dato forma alle diverse aggregazioni tra Occidente e resto del mondo. E ha reso evidente che uno scontro dei due mondi sarebbe fatale più per l’Occidente. I condizionamenti posti dalla politica Usa sono stati scrupolosamente eseguiti da un presidente europeo. Con Ursula von der Leyen che si è comportata come un funzionario della Casa Bianca che prende ordini e li esegue scrupolosamente, senza il minimo dubbio sulla loro funzionalità a risolvere i problemi e non peggiorarli. Questo si è visto con il pericoloso deteriorarsi dei rapporti con la Cina, senza provare a mantenere un equilibrio che consenta di stare a galla in un mare in tempesta di cui sembra che non ci si voglia rendere conto.

Si è venuta a creare una forma di governance autistica e ripetitiva, incapace di quella fantasia funzionale ad attuare alternative decisionali rispetto a una governance americana che cominciava a dare evidenza alle difficoltà del presidente Joe Biden. In tutti questi frangenti, Ursula von der Leyen ha mostrato di avere un modello culturale di rigidità decisionale, di incapacità di muoversi con una sua autonomia, rendendo sempre più l’Europa ostaggio di una governance superiore che la guidava senza resistenza o dibattito e confronto. Questo modello decisionale è inidoneo ad affrontare il mondo che cambia a partire dagli Usa, dove la possibile vincita di Donald Trump potrebbe, per ora a parole, cambiare il quadro complesso dei sistemi decisionali che devono essere affrontati con una cautela creativa in grado di seguire le varie posizioni, senza rimanere ostaggio delle decisioni di altri. Solo così l’Europa può aspirare ad avere una sua autonomia ma le condizioni strutturali del suo presidente e la composizione del nuovo Parlamento saranno più difficili da gestire senza una flessibilità decisionale che Ursula von der Leyen, purtroppo, non ha. E la natura umana difficilmente cambia.

In questo senso, è da apprezzare la decisione della presidente del Consiglio nel mantenere una linea prudente che i prossimi cambiamenti, specie nel mondo occidentale, potranno apprezzare e le consentiranno di avere una posizione di indipendenza rafforzativa. A questo proposito, chi scrive ritiene coerente con i cambiamenti in corso la posizione scelta che va guardata nel lungo tempo e non nel breve. In questa situazione, bisognerebbe seguire il consiglio di Seneca: “Se non puoi governare il vento e non puoi governare il mare devi almeno governare le vele”. Per questo si richiede un’abilità dialettica, di pensiero e flessibilità decisionale che sono carenti nella nuova presidente della Commissione europea e la rendono antistorica, cioè inadeguata a governare le vele di una barca che altrimenti rischia di sbandare.


di Fabrizio Pezzani