“Telemeloni” e l’egemonia culturale

martedì 23 luglio 2024


Dai giornalisti e maître à penser della sinistra, il tormentone di attacco e critica al Governo attuale è sempre, invariabilmente lo stesso: la destra non ha figure culturali di spicco. Mai che varino sul tema, ripetendo la loro stessa banalità ad libitum. D’altro canto, ovviamente gli “intellettuali organici”, i giornalisti allineati e i pensatori da think tank istituzionale, per rispondere alla solita facezia sinistrorsa, replicano snocciolando un lungo, corposo e anche variegato elenco di illustri nomi di illustri filosofi, poeti, scrittori, qualche musicista e alcuni pittori assortiti, la cui chiara fama li colloca certamente in un’aera che oggi si direbbe conservatrice. Insomma, uno a uno, palla al centro. Nessuno dei due schieramenti riesce realmente a prevalere sull’altro. Questo perché se noiosamente mistificante e provocatoriamente obsoleta è l’affermazione dei progressisti, altrettanto inefficace si rivela la risposta da destra che di fatto non travalica il mero ricordare nomi e personaggi ma senza poi incidere nella realtà culturale in alcun modo. La cultura per la destra italiana, si sa, è da sempre un terreno poco frequentato, politicamente parlando, non certo da belle e luminose menti che vi si sono distinte in ogni campo ma che vengono costantemente ignorate dagli amministratori stessi, i quali si limitano a ricordare i soliti noti del Novecento italiano con quale incursione esterofila, vedi sempre John Ronald Reuel Tolkien o Ezra Pound.

Troppo poco e insufficiente, se lo lascino dire i nostri politici e comunicatori, per contrastare un attacco così scontato e debole. A tutt’oggi non abbiamo ancora capito – o almeno chi scrive non ha capito – quale sia il progetto, la visione culturale nei vari campi del patrimonio dell’anima più nobile di questo Paese, da parte dell’attuale Governo. Quale sia la linea armonica che guidi o che dovrebbe guidare le arti, i musei, i luoghi deputati alla bellezza e soprattutto quale sia il pensiero degli incaricati a questo. Dopo tanti anni di “fogna” e di “pozzanghere” avremmo voluto vedere un moto di rivalsa e di orgoglio con la riscoperta, o scoperta tout court di artisti, pensatori, scrittori, filosofi, e quant’altro la destra ancora mantiene nascosti a sé stessa in un “sottobosco” fertile, libero, vitale, variegato e multiforme ma sempre sottobosco. Le proposte che vediamo sono sempre le stesse: da Filippo Tommaso Marinetti al Vate, con qualche variante patriottica come Goffredo Mameli. Ora, non credete ci sia forse anche qualcos’altro da “ripescare” come fulgido esempio in almeno duemila anni di storia patria? Prendiamo in analisi quello che ancor oggi è lo strumento principe della divulgazione mediatica: la televisione. Sì, perché la tanto bistrattata tivù, sia quella di Stato che qualcuno si ostina a chiamare “Telemeloni”, sia quella privata, ancora nel fulgore giovanile della rete Internet, è la vera corazzata del potere e così anche di quello culturale.

Chi controlla le televisioni controlla non l’universo, ma questo piccolo Paese a forma di stivale e che secoli or sono portò la luce della propria civiltà nel mondo. Rimpiango i tempi grandiosi e magnificamente immaginifici della Rai di Ettore Bernabei che produsse capolavori come le vite di Caravaggio e di Leonardo da Vinci, l’Odissea e l’Eneide. Una Rai che persino si osò affrontare L’Orlando furioso sino alle ricostruzioni risorgimentali di Luigi Magni o a grandi coproduzioni internazionali che videro lo splendore de I Borgia, con la Bbc e di Marco Polo, con ingenti capitali americani. Certo avevamo grandi registi ed eccellenti attori allora. L’ultima grande produzione di questo livello fu Cellini, una vita scellerata di Giacomo Battiato regista risale al 1990. Dopo di questo, il nulla. Se l’attuale produzione televisiva è “egemonia culturale” allora la sinistra ha poco o nulla di cui preoccuparsi in un palinsesto che non parla che in minima parte di libri, di arte, di musica, di cinema e di teatro se non per pochi minuti alla settimana. Temo che quindi non soltanto non vi siano una visione, un progetto, ma se anche ci fosse sarebbe frammentato in tanti particulari autonomi e autoreferenti ai gusti di ciascuno, in un mosaico che alla fine risulta confuso e vago. Per questo credo che l’unica via possibile, per un futuro che non sia tristemente cupo, risieda nel nostro più inclito passato. In una storia aurea da conservare e soprattutto da trasmettere. Da non dimenticare. Ma bisogna conoscerla e soprattutto saperlo fare.


di Dalmazio Frau