Ursula von der Leyen, il nuovo volto del socialismo

venerdì 19 luglio 2024


Il programma del rinnovato commissario Ue è un inno all’interventismo del potere politico

E alla fine con 401 voti a favore, 284 contrari e 15 astenuti, oltre a 7 schede nulle, Ursula von der Leyen è stata rieletta alla guida della Commissione europea per prossimi cinque anni. Succede così a sé stessa, con l’obiettivo di portare avanti il programma che ha illustrato dinanzi alla plenaria di Strasburgo, nel discorso che ha pronunciato per la richiesta del voto. Un programma ambizioso, complesso e articolato, che è destinato a interferire con i meccanismi di funzionamento del mercato, prevedendo interventi in numerosi settori: dall’ambiente agli affitti, dall’agricoltura all’industria, dal digitale alle tecnologie strategiche, dalla difesa e sicurezza al risparmio, al lavoro. Prevede altresì la predisposizione di piani di intervento, l’adozione di provvedimenti legislativi e, persino, la nomina di commissari. Come, per esempio, quello “con responsabilità diretta per gli alloggi”, in quanto “l’Europa si trova ad affrontare una crisi abitativa che colpisce persone di tutte le età e famiglie di tutte le dimensioni”, ha osservato la presidente, sottolineando che “le persone faticano a trovare case a prezzi accessibili”. Ma anche un commissario per il Mediterraneo, la cui regione “deve ricevere un’attenzione totale” e “un commissario per la Difesa, che lavorerà a stretto contatto con il prossimo Alto rappresentante in conformità con il Trattato”. A parte, va menzionata la nomina di un “vicepresidente per l’implementazione, la semplificazione e le relazioni interistituzionali”, che ha promesso di effettuare, dichiarandosi favorevole a “meno burocrazia e più fiducia, una migliore applicazione e autorizzazioni più rapide”. Last but not least, soprattutto una “legge Ue sul clima”, che avrà come obiettivo quello “di tagliare le emissioni di gas serra del 90 per cento entro il 2040, sarà scritto nella nostra legge Ue sul clima”. Su tale ultimo punto si è espressa nel senso che occorre attenersi “agli obiettivi del Green deal europeo”, anche perché “i giovani non ci perdoneranno l’inazione sul clima”. Un nuovo Deal industriale green per industrie competitive e posti di lavoro di qualità nei primi 100 giorni del mandato.

Non ci vuole molto per capire, e bisogna dirlo senza mezzi termini, che quello proposto è senz’altro un programma interventista, la cui eventuale realizzazione non porterà affatto a una terza via tra socialismo e capitalismo, bensì a un’economia dirigista-socialista. Esso asseconda in pratica la perniciosa illusione, che si è fatta strada nella cultura politica europea, ormai pervasa da logiche variamente socialiste e stataliste, che il potere pubblico possa risolvere ogni problema, mascherando il tutto con la “formula magica” del “bene comune”, unilateralmente deciso dalla mano pubblica, ossia dai politici al potere, dei gruppi sociali che li affiancano e dei burocrati, destinati di conseguenza all’ulteriore espansione. “I governi – ha scritto Ludwig von Mises – non sono mai liberali per tendenza. È nella natura degli uomini usare l’apparato di costrizione e coercizione per sopravvalutare il suo potere d’azione e sforzarsi di assoggettare tutti i campi della vita dell’uomo alla sua immediata influenza. Lo statalismo è la malattia professionale di governanti, militari e burocrati”.

In particolare, le iniziative che il rinnovato commissario Ue intende mettere in atto condurranno, inevitabilmente, all’ulteriore rafforzamento del Super-Stato europeo e all’espansione degli apparati politici e burocratici, che finiranno per sopprimere ogni autonomia politica. E, quindi, per rappresentare un grave tradimento all’identità dell’Europa, la quale per secoli è stata tanto viva – tanto dinamica e tanto inventiva – grazie al suo essere un’area economicamente e culturalmente integrata, ma al tempo stesso politicamente divisa.

Ciò determinerà inoltre il restringimento sempre più marcato del territorio della scelta individuale e della cooperazione sociale volontaria, che si trasformerà in coercitiva, affidando al potere pubblico la soluzione dei problemi della vita individuale e collettiva. Siffatto potere, come ha giustamente osservato Karl Raimund Popper, porterà “a situazioni in cui non si possono più ricercare gli errori. Anche se supponiamo che quanti hanno il potere siano ispirati da puro altruismo (piuttosto che dall’intenzione di rimanere in carica), il loro dominio tenderà a prevenire la ricerca e la correzione critica dell’errore”. L’impiego delle risorse, a sua volta, non seguirà poi la logica competitiva – che fa emergere ciò che è opportuno fare e ciò che non lo è, e le canalizza verso i settori più produttivi – ma quella politica. La stessa porta alla diversa allocazione verso i gruppi più “vicini” alla mano pubblica e da questa protetti, nonché alla dilatazione della spesa pubblica e al mantenimento in vita, a spese dei cittadini e della prosperità, di attività inefficienti che, affaristicamente, prevalgono nella lotta politica finalizzata all’acquisizione di protezioni e privilegi.

Al di là dei proclami di von der Leyen e dei suoi proponimenti, bisogna rilevare, in conclusione, che una società europea impaludata nell’interventismo non sarà in grado di rispondere alle sfide di un mondo aperto e di operare a un contesto di competitività globalizzata, in cui c’è un continuo aumento della produttività e in cui il ritmo di crescita degli altri (Cina, India, Usa in primis) può marginalizzare l’Europa e i singoli Paesi che la compongono. Né potrà assicurare un futuro alle più giovani generazioni, al cui benessere dobbiamo tenere, voltando le spalle alle vecchie mitologie e affidandoci a quanto sappiamo fare per gli altri, eliminando gli ostacoli frapposti alle libertà individuale di scelta e al mercato, che sono due aspetti della stessa realtà. Ossia una ricchezza che un processo sociale davvero aperto può produrre.


di Sandro Scoppa