venerdì 5 luglio 2024
Si è alzato un gran polverone sui ragazzi di Gioventù Nazionale. Molti hanno già commentato ma forse qualcosa sfugge nella valutazione del metodo. Per prima cosa, ci tengo a sottolineare che il giornalismo d’inchiesta, imparziale e credibile, è ossigeno per una sana democrazia: è un lavoro difficile, impegnativo che comunque va rispettato. Ma come si può verificare l’imparzialità e la credibilità? Osservando, nel tempo, l’eterogeneità delle inchieste degli autori (o dell’editore) che, appunto per essere imparziali e credibili, devono riguardare tutte le zone della mappa della società civile (politica, economica, culturale, relazioni con altri Stati). Se invece, si prendono di mira più frequentemente alcune zone della mappa della società civile, le inchieste restano sì valide ma forse perdono, in parte, imparzialità e credibilità.
Poi, attenzione: a mio avviso, in ogni contesto che viene considerato privato dai partecipanti, anche per ingenuità, possono uscire fuori frasi inopportune, opinioni sgradevoli, condannabili, riprovevoli che eventualmente, qualora fossero attuate, potrebbero essere persino illegali. Allora? Questo sono convinto può capitare in ogni realtà.
Queste frasi inopportune possono essere di singoli o di molti, che comunque non rappresentano il pensiero ufficiale. E quindi vanno prese in considerazione come espressione privata, singola o di qualche gruppo: non ufficiali, perciò, dell’organizzazione nella quale il gruppo appartiene. Provvederanno poi, eventualmente, i responsabili del gruppo di appartenenza a disporre internamente delle azioni di allineamento e a commentare, esternamente, come meglio crederanno. I commenti pubblici dei responsabili saranno le uniche considerazioni per l’uomo assennato da prendere in considerazione.
Detto ciò, i gesti e le parole dei ragazzi – e degli uomini – di Gioventù Nazionale vanno condannati penalmente? Non lo so, spetta alle autorità competenti valutare ed eventualmente condannare. A me, senza farla tanto lunga, non piacciono assolutamente, per il semplice convincimento che i valori del dialogo, della solidarietà e della libertà, producono più rispetto umano, gioia di vivere e benessere di quelli dei totalitarismi. Badate bene: c’è anche il totalitarismo dovuto all’ignoranza. Tutto passa per lo studio serio. Corrado Augias racconta una prima lezione di filosofia, nella quale il suo professore diceva qualcosa del genere: l’ignoranza è un carcere perché là dentro non capisci e non sai che fare… Dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?
E pensare che in passato anche questi valori positivi venivano coltivati egregiamente nelle parrocchie verso i genitori e gli insegnanti che li veicolavano ai ragazzi; ora ci sono i social e c’è meno studio! È il momento di un nuovo centro politico aggregante, baricentrico di valori umani, sociali, perequativi, di civiltà, di solidarietà, di trasparenza, prima che economici ed organizzativi.
Ma c’è un altro episodio singolare di fuoriuscita di frasi inopportune. Durante l’assemblea della Cei (Conferenza episcopale italiana) il Papa disse, così almeno riportano i giornali: “C’è troppa frociaggine”. Ecco che l’interpretazione inclusiva corretta, forse, è qualcosa del genere: la dottrina cattolica prevede, per i futuri sacerdoti, la castità indipendentemente dalla loro attrazione; siete in seminari per prepararvi alla vita consacrata, siate pertanto coerenti o almeno tentate per voi e per non disturbare (molestare) altri. Certo, estrapolando solo la frase “c’è troppa frociaggine”, i malpensanti potrebbero vedere nel Papa, sbagliando di grosso, un omofobo.
Come interpretare, peraltro, i concetti di alcuni deputati relativamente all’occupazione di case sfitte? Hanno dichiarato, sul tema, qualcosa del genere: “Un’alternativa reale e immediata all’isolamento sociale e alla guerra tra i poveri”. E anche “l’occupazione di immobili abbandonati non dovrebbe essere reato”. È forse istigazione a qualcosa o apologia di qualcos’altro? Se sì, non sono frasi raccolte di nascosto ma rilasciate pubblicamente, con concetti ampiamente espressi con chiarezza ed eletti, forse, a slogan politici. Ora mi chiedo: sono più gravi frasi inopportune espresse da coloro che rappresentano nessun altro che loro stessi (e che saranno marginalizzati) o quelle dei politici che sono in qualche Parlamento e che quindi rappresentano il proprio elettorato?
di Fabrizio Pini