venerdì 28 giugno 2024
Nel corso della storia si è consolidata l’idea che essa sia fondamentale per avere una società ben ordinata e libera
È stato dato spazio dalla stampa, e si può anche sostenere, più di quanto in realtà sarebbe stato giusto, alle esternazioni di Ilaria Salis, neodeputata europea di Alleanza Verdi Sinistra. Autoproclamata paladina delle occupazioni abusive delle case, si è persino spinta sino al punto di sostenere che: “Chi entra in una casa disabitata prende senza togliere niente a nessuno, se non al degrado, al racket o ai palazzinari. Affermare il contrario è bassa retorica politica”. A suo dire, inoltre, gli abusivi sono persone che abitano uno “spazio precario e faticosamente”, che si adoperano per “trasformarlo in un luogo che si possa chiamare casa, cercando di sistemarlo con i pochi mezzi a disposizione che si hanno”.
A seguire, Nicola Fratoianni, deputato e segretario di Avs, ha poi aggiunto: “Il movimento per la casa ha posto un problema, la negazione del diritto all’abitare: rivendicare questo diritto deve essere superiore anche rispetto alla speculazione. Ogni forma di ribellione è ricondotta nel circuito del penale, del reato. Ma chi si batte, anche con modalità come queste, per porre e per risolvere un problema, andrebbe considerato in altro modo”.
Si tratta a ben vedere di dichiarazioni imbevute di demagogia spicciola e di odio viscerale anti-proprietario, che non solo inneggiano alla commissione di reati e di un assetto istituzionale favorevole all’illegalità, del quale è vieppiù assente qualsiasi progetto politico, ma che non tengono neppure conto dei rudimenti della teorica economica. Soprattutto del fatto che promuovere le occupazioni abusive o difendere coloro che le commettono, a parte i danni economici e morali provocati ai proprietari di immobili, è necessariamente pregiudizievole anche per gli affittuari. L’aumento dei costi derivante dall’incremento del rischio di abusi riduce infatti la redditività della fornitura di alloggi, che a sua volta limita la fornitura stessa di alloggi, con conseguente minore disponibilità e costi più elevati per gli affittuari.
Né considerano che non è imputabile ai proprietari di case l’assunta crisi abitativa, la quale è piuttosto diretta conseguenza dell’interventismo statale e della politica di controllo degli affitti, che non ha fornito gli esisti attesi e ha peggiorato le condizioni anziché migliorarle, producendo la contrazione dell’offerta di immobili in affitto, un aumento dei canoni, a fronte di una domanda in crescita, e limitato la mobilità degli affittuari.
In tale contesto è pertanto necessario e ineludibile combattere ogni abuso e tutelare nel contempo la proprietà privata, che è fondamentale per il progresso della civiltà e la prosperità economica. Invero, non si può vivere, tanto meno vivere bene, senza procurarsi dei beni. E le persone generalmente non saranno propense a dedicare tempo, sforzi e risorse alla produzione di beni a meno che non traggano beneficio da simile investimento. Come ha scritto Aristotele: “Di quel che appartiene a molti non si preoccupa proprio nessuno perché gli uomini badano soprattutto a quel che è proprietà loro, di meno a quel che è possesso comune o, tutt’al più, nei limiti del loro personale interesse”.
Ovviamente, quando si mina la sacralità della proprietà, ne discende una progressiva distruzione dell’autonomia individuale e di ogni possibile giustizia, oltre che un notevole impoverimento dell’intera società. La storia ha infatti mostrato, e gli esempi sono innumerevoli, il fallimento di qualsiasi tentativo di fondare, sulla base della volontà popolare o con la forza, uno Stato e una comunità abolendo la proprietà privata.
“Se la storia potesse provare e insegnarci qualcosa ̶ ha mostrato Ludwig von Mises – questo qualcosa sarebbe che la proprietà privata dei mezzi di produzione è un requisito necessario della civiltà e del benessere materiale. Tutte le civiltà sino ai giorni nostri si sono basate sulla proprietà privata. Soltanto le nazioni che hanno fatto proprio il principio della proprietà privata si sono sollevate dalla penuria e hanno prodotto scienza, arte e letteratura”.
La proprietà privata, che riflette il primato dell’individuo, non può essere sacrificata, nemmeno in nome di un assunto interesse generale, che finirebbe per immolarla sull’altare di un’ideologia: proprietà individuale e i diritti comunitari, infatti, si escludono a vicenda. In argomento, tornano alla mente le parole del grande giurista inglese del XVIII secolo, William Blackstone, secondo cui: “È poi così grande il rispetto da parte del diritto nei riguardi della proprietà privata che non sarà autorizzata la sua violazione; no, neppure per il bene comune dell’intera comunità” ponendosi detto diritto come “unico e dispotico dominio che un uomo reclama ed esercita sulle cose esterne del mondo, in totale esclusione del diritto di qualsiasi altro individuo nell’universo”.
Il diritto di proprietà comprende, quale conditio sine qua non della sua esistenza, quello di esclusione, che esprime altresì la facoltà di disporre liberamente di sé e dei beni detenuti legittimamente. E ciò vale anche per sottolineare che solamente il proprietario e in base alle sue preferenze soggettive può stabilire quale uso dei suoi beni, e, specificamente, degli immobili e delle case, sia oggettivamente corretto ed efficiente. È di palmare evidenza che, se lo stesso decide di non utilizzare il suo immobile, di lasciarlo libero e vuoto per un periodo, anche lungo, di tempo, è indiscutibile che abbia stabilito ciò che corrisponde alla linea di condotta più redditizia, sia essa redditizia in termini di guadagno monetario o in termini di profitto psichico. Nessun pianificatore o giudice governativo può determinare al suo posto come utilizzare al meglio la proprietà, né la “società” o i terzi, addirittura gli occupatori abusivi, possano sostituirsi all’avente titolo e decidere in sua vece.
Il proprietario non è neppure tenuto a essere presente, ispezionare o visitare il suo immobile, non è vincolato, cioè, a un utilizzo attivo, e tale comportamento, quand’anche protratto e non interrotto, non può essere affatto inteso come abbandono del bene o, peggio, come rinuncia al diritto dominicale. Quest’ultimo, una volta acquisito nei modi consentiti dalla legge, a titolo originario o derivativo, è riportato nei documenti ufficiali e non ha alcuna scadenza, anche se il proprietario è fisicamente assente, e può essere ceduto, dismesso o limitato solo con il consenso del titolare. Il che esclude che lo stesso sia obbligato a fittare o cedere in altro modo la disponibilità del suo bene, in ordine al quale, qualora dovesse invece decidere di collocarlo nel mercato, non si differenzia affatto da qualsiasi altro fornitore di merci di qualunque genere e dovrà quindi sottostare al gioco della catallassi.
di Sandro Scoppa