Nel blocco degli sfratti c’è il degrado del diritto

venerdì 28 giugno 2024


Il blocco degli sfratti ci dice molto della situazione generale in cui ci troviamo. Se la crisi economica causata dalle misure introdotte con l’obiettivo di contrastare il diffondersi del Covid-19 è servita da pretesto per impedire la riconsegna degli immobili ai legittimi titolari, questo ha avuto luogo in quanto il diritto si trova in grave difficoltà.

Dietro, quindi, alle più che fondate ragioni economiche che sono invocate da quanti criticano il blocco degli sfratti (che colpisce il risparmio, disincentiva ogni iniziativa, accresce l’incertezza, dissuade dal restare in Italia e investire da noi), ve ne sono di propriamente giuridiche.

Come tra gli altri rilevò Frédéric Bastiat, ormai la proprietà è solo il prodotto della legislazione. Per questa ragione si ritiene che, se una legge ci riconosce titolari dei beni che sono nostri, un’altra legge può limitare tutto ciò, e un’altra ancora può espropriarci. Se il diritto è solo costruito perché coincide con la libera volontà del legislatore, ormai il nostro titolo è del tutto fragile e privo di fondamenta.

Proprio per respingere questa prospettiva Bastiat sostenne con forza che: “Non è perché ci sono le leggi che ci sono le proprietà, ma è perché ci sono le proprietà che ci sono le leggi”. Se egli difese questa prospettiva, fu proprio perché era consapevole di quello che era successo: di come un diritto tradizionalmente nutrito di evoluzione storica e di principi ritenuti immortali fosse stato svuotato dalla semplice volontà del potere sovrano (l’auctoritas facit legem di cui parlava Thomas Hobbes).

Nel quadro del positivismo giuridico, in effetti, ogni nostro “diritto” (se vogliamo continuare a usare questo lessico) non è altro che una costruzione legale: il frutto di una decisione assunta dal ceto dominante nel momento in cui si veste da legislatore. Nel più influente teorico del diritto del secolo scorso, Hans Kelsen, questo progressivo svuotamento dei diritti individuali emerge con chiarezza quando egli sottolinea che la proprietà esiste soltanto come autorizzazione dell’ordinamento: come concessione dello Stato.

In questo senso, è pure significativo che in uno dei testi più influenti della filosofia politica progressista del nostro tempo (The Myth of Ownership. Taxes and Justice, del 2002), Liam Murphy e Thomas Nagel abbiano negato che possa esserci un qualche problema di ordine etico dinanzi alla tassazione, dal momento che – a giudizio di questi studiosi americani – la proprietà non sarebbe altro che una costruzione dell’ordinamento legale e che di questo ordinamento, ovviamente, il diritto tributario rappresenta una parte importante. In definitiva, con l’Agenzia delle entrate lo Stato viene a toglierci una quota di quella ricchezza che quel medesimo Stato, con il diritto privato, ci aveva consegnato.

A ben guardare, in una simile prospettiva tutto è dello Stato, che poi decide a chi deve assegnare l’uno o l’altro bene. Nel momento in cui si decide un blocco degli sfratti, per giunta, la dissoluzione della proprietà coincide con il dissolversi dell’altro pilastro fondamentale della società liberale: il contratto. Se abbiamo decisioni dell’autorità governativa che permettono il mancato rispetto degli impegni assunti, è chiaro che l’autonomia negoziale è ormai un ricordo.

Uno sfratto può avere luogo a seguito di una situazione di morosità oppure per fine locazione: in un caso è evidente che il conduttore non ha tenuto fede alla parola data e nell’altro caso dovrebbe essere chiaro a tutti che lo scadere dei termini andrebbe rispettato. Nella prima come nella seconda circostanza, se lo sfratto non ha luogo l’arbitrio s’impone sul diritto, dato che l’ordinamento si schiera contro quanti dovrebbero lasciare la casa o il negozio in cui si trovano.
Quando il contratto viene meno, a dissolversi è quell’eguaglianza dinanzi al diritto che ne è il presupposto. A questo punto, un soggetto gode della facoltà di violare gli impegni assunti, mentre l’altro deve subire le conseguenze di tutto questo.

Le ragioni di una tale deriva sono numerose. Senza dubbio la nostra cultura continua a essere prigioniera di logiche – in senso lato – marxiste, dal momento che la difesa dell’inviolabilità degli impegni assunti tramite un negozio giuridico di carattere contrattuale implica che si riconosca a ogni persona – quale che sia il genere, l’età, la condizione economica, l’etnia e via dicendo – la facoltà di decidere della propria vita e di assumere obbligazioni. Purtroppo, non è più così, soprattutto a seguito del successo delle tesi marxiste in tema di libertà formale.

La società liberale ha sempre rigettato ogni prospetto di eguaglianza sostanziale, ma l’ha fatto in nome della necessità di trattare tutti in egual modo dinanzi a norme giuste. Quando Tizio e Caio sottoscrivono un contratto e assumono obbligazioni, poco importa quale sia il loro profilo personale, sociale, professionale o di altro tipo. Questo, però, non è vero nella società contemporanea e specialmente in Italia.

Come già aveva visto Bruno Leoni, da tempo ci si sta dirigendo verso una rifeudalizzazione dell’ordine sociale, dal momento che potremmo trovarci ad avere tre o quattro migliaia di diritti nel paese – uno per padroni di casa, uno per inquilini, uno per datori di lavoro, uno per lavoratori, ecc. Questo è esattamente quello che sta accadendo oggi in molti paesi occidentali, dove si rispetta ancora, a parole, il principio della rule of law e perciò “l’uguaglianza davanti alla legge”.

La tesi di Leoni è che in nome di diritti inesistenti si finisce per minare i diritti autentici, fino a dissolvere l’ordine giuridico e creare una rete di nuova iniquità.

Al fine di sostenere una delle parti (e cioè quella considerata più debole, che nel contratto di lavoro sarebbe il lavoratore dipendente, mentre in questo caso sarebbe l’inquilino) si finisce per privare tutti della possibilità di fare diritto in maniera autonoma e originale. Quel diritto dei privati a cui aveva dedicato pagine importanti Widar Cesarini Sforza è ormai assorbito da una regolazione statale che converte ogni cosa in amministrazione, proprio sulla linea già indicata da Kelsen stesso.

Tutto questo avviene perché il trionfo del welfare State e il sempre più ampio intreccio tra economia pubblica ed economia privata fa sì che in molti casi, come in questo, si arrivi a caricare l’onere di una solidarietà imposta sulle spalle di risparmiatori e proprietari.

Tutto ciò viene per giunta giustificato dalla situazione eccezionale in cui ci si trova, dato che in questo “stato di eccezione”, di cui di non si vede la fine, il governo ha bloccato molte attività e in tal modo ha inaridito le fonti di entrata per quanti operano sul mercato. Molti esercenti che oggi sono morosi, in effetti, sono tali perché le scelte compiute dal governo hanno impedito loro di lavorare e in varie circostanze senza una logica: basti pensare all’intero comparto delle palestre, prima obbligate a significativi investimenti per adeguarsi alle normative e poi chiuse d’imperio.

Da molti decenni l’intreccio tra Stato ed economia privata si realizza a vari livelli. Esso ha luogo nell’affermarsi di un crony capitalism (capitalismo clientelare) che vede taluni grandi gruppi industriali e finanziari trarre beneficio dall’ampliarsi del potere governativo, anche in questa funzione assistenziale che il potere ha imposto ad alcuni soggetti privati (i risparmiatori che hanno investito nel mattone), caricando loro di una funzione che nello Stato assistenziale tradizionale era assolta direttamente dai poteri pubblici.

Il medesimo Stato che ha distrutto tanti inquilini imprenditori, oggi si sottrae agli obblighi che quelle scelte dovrebbero comportare e scarica su terzi, i proprietari, l’onere di venire in aiuto di chi è stato messo fuori mercato. Quello che si va delineando, così, è una sorta di welfare delegato, nel quale lo Stato impone le regole, mentre tocca ai privati sostenere i costi.

In sostanza, quello che si è costretti a constatare è che lo stato di emergenza in cui ci troviamo ha annullato ogni diritto fondamentale (a partire dalla proprietà), che quindi non è più riconosciuto tale dall’ordinamento. Se però un diritto è riconosciuto come cruciale, è perché esso deve essere rispettato proprio in circostanze come questa.

Oggi constatiamo che ogni nostro presunto diritto è solo una concessione di quanti ci governano, ma in questo degrado dell’ordinamento quella che sta venendo meno è la stessa possibilità di cooperare.

(*) L’articolo di Carlo Lottieri è tratto dalla pubblicazione del saggio “Controllare gli affitti, distruggere l’economia” a cura di Sandro Scoppa


di Carlo Lottieri (*)