lunedì 10 giugno 2024
L’articolazione dello Stato in entità territoriali è conosciuta anche in altri Paesi. È il caso della Spagna che, nella Costituzione nel 1978, ha previsto l’istituto delle Regioni facoltative, la cui attuazione è rimessa alle decisioni delle comunità locali. Non è, invece, Stato regionale la Francia, che pure essendo dal 1982 articolata in 17 Regioni, rimane una forma statale centralizzata: infatti le Regioni francesi non hanno alcuna autonomia legislativa, che è riservata solo al livello centrale. L’ordinamento del Regno Unito è caratterizzato dalla cosiddetta “devolution”, un processo mediante il quale il centro concede, con specifiche norme, maggiori autonomie ai territori: si fa riferimento allo Scotland Act del 1998 e alle leggi del Parlamento inglese che hanno attribuito poteri normativi ed esecutivi alle comunità territoriali. Per quanto riguarda l’Italia il regionalismo nasce da molto lontano. Già nel periodo risorgimentale, Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari si facevano sostenitori di uno Stato federale. Non si procedette a una simile realizzazione, certamente perché l’unificazione del Paese era costata anni di guerre e di grandi sacrifici. Poi il regionalismo ha preso più piede. Già nel 1896, Giuseppe Toniolo nel II Congresso cattolico, di scienze sociali, faceva riferimento ad organismi locali quali mezzo di più efficace tutela dei cittadini e delle comunità.
Una menzione particolare deve essere fatta della posizione di Don Sturzo e del suo “appello ai liberi e forti” del gennaio del 1919, che, a questo punto, richiamava la necessità del riconoscimento delle funzioni del Comune, della Provincia, della Regione in funzione della realizzazione dei diritti dei cittadini. L’autonomia delle Regioni accolta nella Costituzione italiana è stata applicata per quelle a Statuto ordinario, solamente con la Legge 281 del 1970. L’esercizio delle deleghe fu attuato con Decreto del presidente della Repubblica numero 616/1977. La Legge costituzionale numero 1/1999 ha accentuato il processo regionalistico, con la previsione della elezione diretta dei presidenti della Giunta regionale e nell’autonomia statutaria delle regioni ordinarie. Con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 sono stati introdotti elementi propri del federalismo. Ora viene proposto il regionalismo differenziato; questa figura trova il suo fondamento nella citata riforma del Titolo V; essa prevede l’attribuzione di competenze differenziate in base alle caratteristiche dei territori e al merito delle Regioni, fermo restando le competenze delle Regioni a statuto speciale. Sul piano teorico quest’ultimo tipo di regionalismo ha una sua validità e fondatezza, ma ogni riforma va contestualizzata nella realtà del Paese. Un’analisi obiettiva porta a constatare che, in generale, l’introduzione dell’ente Regione non ha dato i risultati aspettati; si è assistito a un aumento della burocrazia, quanto sempre si è gridato che questa costituisce un ostacolo allo sviluppo del Paese. Un’altra grave situazione si è dovuta registrare: la contrapposizione tra Regione e Stato centrale basata non su questioni degli effettivi interessi rappresentati, ma sul colore politico dei Governi regionali e centrali.
Un regionalismo corretto ed efficace deve avere al suo fondamento il principio di leale collaborazione; ed è invece un dato di fatto che taluni governatori inscenano frequentemente manifestazioni di protesta contro il Governo centrale; come se le Regioni non siano una articolazione dello Stato come sancisce l’articolo V della Costituzione, che parla di una Repubblica una e indivisibile scandita in Regioni, Province e Comuni. Quando si parla di autonomia differenziata bisogna, inoltre, tener presente che le Regioni si trovano in situazioni diverse sotto molteplici aspetti che affondano radici nella loro storia, donde la necessità di adeguate misure di compensazione per evitare ulteriori sperequazioni. Bisogna precisare in maniera chiara i rapporti fra lo Stato centrale e le entità regionali secondo linee che favoriscano azioni coordinate nell’interesse del Paese. Lo Stato centrale deve avere, cioè, il potere d’intervento per correggere eventuali distorsioni e inadempienze delle Regioni e di effettuare controlli contabili efficaci ed organici sui capitoli di spesa. Occorre ridefinire le competenze degli uffici in maniera da semplificare i rapporti con l’utenza. Lo Stato centrale, ancora, deve essere l’unico attore nelle questioni e nelle attività che riguardano la vita dell’intero Paese: politica economica e fiscale, difesa, istruzione, giustizia, ordine pubblico, rapporti con gli altri Paesi. I regionalisti attuali, che spesso indulgono a particolarismi ed egoismi, devono tener presente l’insegnamento di Carlo Cattaneo, che vedeva nel federalismo l’assetto di Stato più idoneo a realizzare lo sviluppo e la libertà dei popoli.
di Antonio Contaldi