giovedì 30 maggio 2024
Gli scontri tra bande criminali giovanili nella periferia e nel centro di Milano, quindi le rapine e le aggressioni che le stesse infliggono alla parte borghese e remissiva della cittadinanza, stanno nuovamente portando in auge il dibattito su dove porre il confine pratico tra libertà e sicurezza.
Un discorso che in tanti ritenevano archiviato tra i dibattiti intellettuali del Novecento; Eric J. Hobsbawm e Norberto Bobbio si erano notoriamente confrontati sulle quattro libertà fondamentali per l’umanità: la libertà di parola e d’espressione, la libertà di culto religioso, la libertà dal bisogno e, non ultima, la libertà dalla paura. Libertà che fino a prima della pandemia del 2019 consideravamo ormai conquistate e inalienabili, perché davamo per assodato che le quattro insieme fossero alla base dei nostri diritti fondamentali civili, politici e sociali.
Pensavamo fossero inscindibili, e perché questo ci hanno ripetuto dal 1945 al 2019 i teorici del neo-costituzionalismo: dottrina a mezzo tra il politico ed il giuridico sbocciata in Occidente con le costituzioni varate nel dopoguerra.
Hobsbawm e Bobbio concordavano su un aspetto, ovvero che l’estrema sicurezza sottrae enormi spazi alla libertà, sia individuale che collettiva. Ed in questi tempi bui e di estremo controllo sui cittadini, ci domandiamo se i “comitati per la sicurezza e l’ordine pubblico” di città come Roma e Milano s’ispirino più ai padri costituenti, come anche al dibattito tra Hobsbawm e Bobbio, oppure alle moderne metodiche di polizia e sicurezza nella Parigi della Sûreté di François Vidocq.
Domanda lecita e giusta, visto che la platea politica borghese è evidentemente divisa tra chi rimpiange il “coprifuoco” e chi ritiene che la libertà del cittadino abbia già subito duri colpi e restrizioni. Una platea ovviamente spaccata tra chi ritiene il “coprifuoco” un deterrente alle bande criminali, utile a garantire l’assoluta sicurezza, e chi ne ravvede uno strumento repressivo che limiterebbe soprattutto la libertà di innocui cittadini. A questi ultimi, dopo un certo orario e per tutta la notte, verrebbe impedito di prendere una boccata d’aria, di raggiungere l’amante, di cenare in trattorie dopo le 23, di farsi una passeggiata in auto e moto quando la gente sedata dorme.
Cari lettori, vi sembra giusto che, per il nostro bene, un Grande Fratello ci mandi tutti a nanna e ci vieti di uscire? Questa domanda forse se la pongono sempre meno rappresentanti istituzionali, robustamente convinti che il primo valore occidentale debba essere solo e soltanto la sicurezza. Per convincerci della bontà di un coprifuoco, e dell’utilità di chiusure e limitazioni, vari giornali e siti web in contatto con i vari “comitati per la sicurezza” ci propongono video di guerriglie urbane e sassaiole nell’hinterland milanese, come anche aggressioni a passanti presso la Stazione centrale. Immagini girate da residenti e gente in buona fede.
Ricordiamo tutti il video virale girato dai residenti di piazza Garibaldi a Pioltello in merito all’ennesimo episodio di violenza sotto le finestre della gente normale: si trattava di una rissa scoppiata nella tarda serata tra due gruppi, poi definite “bande egiziane”, che si contendevano la piazza di spaccio della droga. Quindi altri video che ritraevano scontri nel cuore di Milano. Immediatamente i gestori dell’ordine si sono posti il problema di eventuali emergenze, ovvero le probabilità che possano verificarsi cortocircuiti in grado di scatenare una guerriglia urbana prossima ad una sorta di guerra civile: l’ipotesi sarebbe quella di eventi che portino una città ad essere contemporaneamente in balia di bande criminali giovanili, gruppi organizzati di tifoserie richiamate da un derby, manifestanti politici e non ben chiari facinorisi. Queste simpatiche ipotesi vengono buttate in pasto alla gente come esempi di “tempeste perfette”, e la pavida borghesia opta per rinunciare a pezzi più o meno grandi di libertà pur di avvertire il senso di sicurezza. Così le città si riempiono di telecamere pubbliche e private, tra loro in reciproca collaborazione sull’identificazione facciale del viandante, soprattutto sul dossieraggio e raccolta dati nei riguardi di chiunque colto a passeggiare.
Ma questo non basta, e così qualcuno rammenta quanta sicurezza c’era per le strade durante l’emergenza Covid, e perché le polizie fermavano e identificavano tutti. Qualche addetto ai lavori, più militarista di altri, ci dice che il “coprifuoco” sotto Covid è stato operato in maniera buonista, alla carlona e che, se fosse stato fatto seriamente (secondo il Codice militare), chi veniva colto a circolare dopo il “coprifuoco” avrebbe dovuto subire la consegna in caserma (un vero e proprio arresto nelle ore di “coprifuoco”).
Ovviamente non manca mai l’italiano rigorista e manettaro che sogna un bel “coprifuoco”, perché lui non ha nulla da temere e la sera rincasa sempre prima del tramonto per sortire di buonora solo per andare a lavorare. È il “seguro”, e non certo Seguro (Segur, frazione di Settimo Milanese), ma il “tranquilo” o “silencio” imposto agli abitanti delle grandi città spagnole fino al 1976.
Certo, i residenti sono esasperati e chiedono l’intervento deciso delle istituzioni. I media ci dicono che la situazione non è più tollerabile nemmeno per la “gente bene” che vive al centro di Milano. L’escalation di violenza spaventa tutti, soprattutto i più pavidi, che temono di essere coinvolti, di andarci di mezzo, di ritrovarsi le bande in casa. Così qualcuno vorrebbe più militari in politica, più sicurezza e, ovviamente, un “coprifuoco” nelle cittadine con più di centomila abitanti.
Detta in soldoni, ci priviamo della libertà per curare nemmeno l’uno per cento della popolazione. E il perbenismo rompe ogni argine, ed in maniera trasversale, quando ravvisa nel “coprifuoco” un modo per debellare la movida, i giovani che gironzolano di notte, la gente che si attarda tra bar e pizzerie, i raduni notturni di buontemponi in moto, chi si fa una partitella a calcetto di notte, chi fa un salto al mare, chi corre con una bottiglia di champagne dall’amante.
Tutti s’aspettavano che il generale Roberto Vannacci spezzasse una lancia a favore del “coprifuoco” serio e non alla Figliuolo: ma intelligentemente il paracadutista non si è fatto trascinare nella polemica, e perché chi scrive libri e fa politica sa bene che le limitazioni della libertà lasciano il segno. Soprattutto chi invoca in maniera generalizzata manette e “coprifuoco” non s’accorge di gettare a mare l’acqua con tutto il bambino: quest’ultimo è nato dopo millenni di limitazioni, di servitù della gleba, di schiavitù, di giustizia per censo.
di Ruggiero Capone