martedì 28 maggio 2024
Giorgia Meloni s’interroga sul probabile referendum. Il disegno di legge costituzionale sul premierato presenta numerose insidie. Per queste ragioni, la premier sta cercando di spersonalizzare la possibile battaglia referendaria. L’esempio di Matteo Renzi è la strada da non seguire. Assolutamente. Come scrive Augusto Minzolini sul Giornale, “Meloni dichiara che l’esito del referendum non ha nulla a che vedere con la durata del Governo”. Tradotto: anche se dovesse perderlo resterebbe a Palazzo Chigi. Intanto, Sabino Cassese suggerisce prudenza alla presidente del Consiglio. “Mi auguro – afferma il giurista – che nel confronto parlamentare si allarghi la maggioranza in modo da evitare il referendum che è per sua natura uno strumento plebiscitario. È fatale, infatti, voglia o meno la premier, che si inneschi un processo di personalizzazione. In un sondaggio che studiò le ragioni della sconfitta al referendum della Riforma Renzi, l’80 per cento degli intervistati dichiarò di aver votato contro il capo del Governo, non contro la riforma”.
Un fatto è certo: al di là della propaganda elettorale, l’incognita del referendum pesa molto nell’azione politica della premier. Il piano è evitare, depotenziare o rinviare il referendum. Gianfranco Rotondi, democristiano approdato nelle fila di Fratelli d’Italia, ad esempio, tenterebbe in tutti i modi di allargare la maggioranza. “Bisogna tornare al vecchio schema democristiano – è la sua opinione – di non far coincidere maggioranza delle riforme con quella di Governo. Quindi allargare, allargare il consenso per evitare che un’ipotetica sconfitta sia messa sul groppone di Palazzo Chigi. Per lo scopo abbiamo solo due interlocutori: Renzi o il Movimento 5 stelle visto che il Pd ha fatto del bigottismo istituzionale la sua ideologia”.
Claudio Velardi, sul Riformista, giudica come “segnali di nervosismo, figli dell’errore – politico, non comunicativo – commesso qualche giorno fa a proposito del premierato, quando Meloni ha detto che sulle riforme o la va o la spacca, ribadendo successivamente che un eventuale voto negativo al referendum confermativo non porterebbe a sue dimissioni”. Giorgia Meloni “deve fare tutte le parti in commedia. Perché nella sua squadra nessun altro è in grado di stare sul palcoscenico (salvo Guido Crosetto, cofondatore del suo partito)”. Secondo Velardi, “se Giorgia Meloni non creerà una classe dirigente credibile, solida e soprattutto non dipendente da lei, la sua leadership solitaria non farà mai il salto di qualità necessario per reggere nel tempo”.
di Duilio Vivanti