lunedì 27 maggio 2024
A poco meno di due settimane dalle elezioni europee, la premier Giorgia Meloni prende posto nello studio di Rai 3 e in una lunga intervista a In mezz’ora condotta da Monica Maggioni snocciola le questioni più calde della campagna elettorale. Dalla sfide di politica estera alla vicenda giudiziaria ligure. Passando per i conti pubblici. La presidente del Consiglio non si sottrae e torna a insistere sul cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia. Sulla “madre di tutte le riforme”, così come ha già definito quella sul premierato, Meloni scioglie ogni dubbio. A chi le chiede se l’eventualità di un referendum possa impensierirla, la premier risponde con fermezza. “Se la riforma non passa – taglia corto – chi se ne importa. Mi chiedono se sono pronta a dimettermi qualora venisse bocciato il referendum: no, io arrivo alla fine dei 5 anni e chiederò agli italiani di essere giudicata”. Minimizzando col “chissene”, la premier prova a slegare il suo destino politico da quello della riforma costituzionale. Spiega di non aver nessun timore del referendum. “Non è su di me – precisa – ma sul futuro del Paese”.
Passando dalle faccende italiane a quelle europee, la Meloni non manca l’occasione di fare un passo in avanti in tema di alleanze a Bruxelles. Quando viene incalzata sulle possibili intese con l’estrema destra, non chiude: “Non sono abituata a dare patenti di presentabilità”. In vista della formazione della futura Commissione Ue, la premier conferma l’impegno nel costruire una “maggioranza alternativa di centrodestra”. E aggiunge: “Non sono disposta a farla con la sinistra, tutto il resto si vede”. Premierato ed equilibri europei sono al centro del confronto negli studi televisivi. La premier, sulla riforma costituzionale, tiene a precisare che non “tocca i poteri del presidente della Repubblica”. Richiama il tentativo di dialogo con le altre forze politiche e ribadisce: “Non capisco l’opposizione della sinistra”. “Qualcuno si vuole opporre con il corpo” a questa riforma, dice volendo punzecchiare la segretaria del Pd Elly Schlein. “Propongono di raddoppiare i senatori a vita – aggiunge – ma non vogliono che i cittadini scelgano chi governa”.
E sulle questioni che più impensieriscono la maggioranza, non si tira indietro. A partire dal caso giudiziario che coinvolge il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. Avvicinando la questione, Meloni premette: “Non possono passare mesi tra la richiesta e l’esecuzione di una misura cautelare”. Quindi si muove con cautela. “Solo Toti – dichiara – è nelle condizioni di dare una risposta compiuta perché solo lui conosce la verità ed è nella posizione di valutare cosa sia meglio per i cittadini”. La presidente dice di non poter rispondere sulle eventuali dimissioni, finché non avrà “tutti gli elementi”.
Quadro chiaro invece sui conti pubblici. La premier attacca frontalmente “il disastro dei 220 miliardi di buco” del Superbonus. Cita “chi diceva gratuitamente”, riferendosi al leader M5s Giuseppe Conte, e afferma che in ragione di quella misura “oggi ci troviamo in difficoltà su moltissimi altri fronti”. Il governo, rassicura, “farà di tutto per mantenere i suoi impegni e concentrerà le risorse sulle cose importanti”. Fissa quindi gli obiettivi: “Crescita e politica seria di bilancio”. E il Patto di stabilità non sembra impensierirla. Lo definisce “sostenibile sulla carta” e “sicuramente migliore delle regole precedenti”. Meloni difende il Patto negoziato dal suo governo e torna sui rapporti con i vertici Ue. Definisce Ursula von der Leyen “pragmatica”, ma attacca le “scelte ideologiche” di una Commissione “che ha sbagliato molto”: dalla direttiva sulle case all’immigrazione. E parlando di migranti, risponde alle recenti critiche di “una sinistra nervosa”. Il protocollo Italia-Albania, annuncia, “sarà operativo tra non molto”. Poi la stoccata agli esponenti del Pd, “che prima ci attaccavano perché stavamo costruendo una Guantanamo e ora si lamentano dei ritardi nella costruzione”. Per la presidente, insomma, il progetto “funzionerà e farà da apripista per le politiche migratorie in Ue”. La linea resta chiara: “L’opera più umanitaria che possiamo fare è distruggere le reti dei trafficanti”.
“Consiglio a Stoltenberg maggiore prudenza”. Giorgia Meloni, con queste parole, ribadisce la posizione dell’Italia sul dossier Ucraina: il governo resta impegnato al fianco di Kiev contro l’aggressione russa, ma vuole scongiurare un’escalation, perché la Nato non è in guerra con Mosca. Al contrario, l’appello del segretario generale a consentire agli ucraini l’uso delle armi occidentali per colpire oltreconfine rischia di andare nella direzione opposta al principale obiettivo: “Raggiungere la pace”. Per una pace, ma alle condizioni dell’Ucraina, lavora anche Volodymyr Zelensky, che punta molto sul summit di giugno in Svizzera, tanto da aver invitato a partecipare i leader delle due principali potenze mondiali, Joe Biden e Xi Jinping. Sul fronte opposto torna invece a sventolare minacce il falco Dmitry Medvedev, evocando una “guerra mondiale” nel caso di un maggiore coinvolgimento degli alleati dell’Ucraina. L’appello di Stoltenberg a togliere il divieto all’uso delle armi Nato in Russia (opzione su cui sta riflettendo anche la Casa Bianca) era rivolto ai partner che considerano prioritario assicurare agli ucraini una capacità difensiva per contenere l’invasione, senza spingersi oltre. L’Italia è uno di questi, tanto che la premier ha espresso sorpresa per le dichiarazioni del segretario generale. “Non so perché Stoltenberg dica una cosa del genere. Sono molte le dichiarazioni discutibili, ricordo Emmanuel Macron, io consiglio maggiore prudenza”, ha sottolineato Meloni, riferendosi anche alla recente fuga in avanti dell’Eliseo sul possibile invito di truppe occidentali sul terreno. Per Roma non è in discussione che la Nato debba “mantenere la sua fermezza senza segni di cedimento”, ma allo stesso tempo “è importante” che l’Alleanza “continui a mantenere il sostegno all’Ucraina per raggiungere la pace”. Una posizione di fatto condivisa con Berlino, che si è rifiutata di fornire i Taurus a lunga gittata a Kiev, e che attraverso il cancelliere Olaf Scholz ha ribadito: “Abbiamo concordato regole chiare con l’Ucraina per le consegne di armi. E funzionano”. Ovvero, non possono essere usate in Russia.
Nel governo italiano Matteo Salvini è stato ben più duro nei confronti di Stoltenberg: “O ritratta o chiede scusa o si dimette”, la richiesta del segretario della Lega, mentre il suo partito si è detto pronto “a depositare un ordine del giorno o una interrogazione” in Parlamento “finalizzate a censurare” queste “parole di guerra”. Con il suo candidato alle Europee, il generale Roberto Vannacci, che parla di “rischi di non ritorno”. Gli ucraini in questa fase del conflitto faticano a rallentare l’avanzata del nemico nel Donbass e a Kharkiv, con i russi che la notte scorsa hanno lanciato un massiccio attacco utilizzando anche due missili ipersonici, mentre nella seconda città del Paese si è aggravato il bilancio delle vittime del raid di sabato contro il megastore: almeno 16 morti e un’ottantina di feriti. In questa difficile situazione Zelensky tenta anche la strada della diplomazia, puntando sulla conferenza di Lucerna il 15 e 16 giugno, a cui avrebbero aderito circa 70 Paesi. Kiev non si aspetta che si concordino i termini di una pace complessiva, anche perché Mosca non è stata invitata, né riconosce la legittimità dell’evento, ma l’obiettivo minimo è creare consenso intorno ad alcuni punti: la libera circolazione nel Mar Nero per l’export di grano, lo stop ai raid russi sulle reti energetiche ed il rimpatrio dei bambini. E più in generale, convincere i Paese finora rimasti neutrali a fare pressione sul Cremlino a cessare le ostilità. Il summit assumerebbe contorni ben diversi con la partecipazione di Biden e Xi, che Zelensky ha invitato formalmente, ma la Cina lo ha già escluso, perché considera la presenza della Russia necessaria in un tavolo di negoziati. Quanto a Biden, non sono ancora arrivati segnali da Washington. A Mosca invece l’ala più dura del regime rimane concentrata nello sfidare i Paesi che insistono sulla linea dura contro la Russia. Medvedev, rispondendo ad un’intervista del ministro degli Esteri polacco, che invitava gli alleati a non mettere linee rosse a Kiev, neanche sull’utilizzo delle armi della Nato, ha replicato così: “Colpire i nostri obiettivi da parte degli americani significa iniziare una guerra mondiale, e un ministro degli Esteri, anche di un Paese come la Polonia, dovrebbe capirlo”.
di Redazione