Le radici politico-culturali di Berlusconi nel saggio di Francesco Giro

martedì 14 maggio 2024


A trent’anni dalla nascita di Forza Italia (gennaio 1994, con successiva sospensione dell’attività politica nel 2009-2013 per la temporanea confluenza nel Popolo della libertà, e nuova fase poi dal 2013), e a quasi un anno dalla scomparsa del suo fondatore (12 giugno 2023), Francesco Giro, parlamentare, già sottosegretario ai Beni e Attività Culturali nell’ultimo Governo presieduto da Silvio Berlusconi (2008- 2011), analizza la figura e il pensiero dell’uomo di Arcore da un’angolazione inedita, o quantomeno non ancora adeguatamente esplorata. In Silvio Berlusconi e la città ideale di Francesco Giro (introduzione di Antonio Tajani, Gangemi Editore 2024), Giro analizza quelli che – ai di là delle possibili, legittime, critiche all’azione politica del fondatore di Fininvest e di Forza Italia – sono stati gli importanti riferimenti culturali di tale azione.

Berlusconi nasce nel 1936 primogenito di una famiglia della piccola borghesia milanese. Trascorre l’infanzia nel Basso Varesotto (mentre il padre Luigi, funzionario della Banca Rasini, durante l’occupazione nazista è rifugiato in Svizzera) e studia poi al liceo salesiano Sant’Ambrogio di Milano. Per laurearsi, infine, in Giurisprudenza all’Università di Milano nel 1961 (con tesi di Diritto commerciale su “Il contratto di pubblicità per inserzione”).

Il primo capitolo del libro è dedicato al tema della libertà (centrale, com’è noto, nel lessico e nell’azione dell’uomo di Arcore): diversamente analizzato, nel Novecento, dai due “dioscuri del liberalismo”, accomunati da amicizia personale ma assai diversi per conclusioni politiche, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Il secondo capitolo sviluppa il discorso evidenziando insospettate analogie tra il pensiero di Silvio Berlusconi, più volte teorico di una nuova “Rivoluzione liberale”, e quello del padre di tale formula, cioè Piero Gobetti: soprattutto per l’accento da ambedue posto sulla vera accezione del termine liberale. Liberale come “liberatore”. Ma da che cosa? Per ambedue, osserva Giro, da un eccessivo, soffocante burocratismo e centralismo statale a danno dell’iniziativa privata responsabile e delle autonomie locali: già Gobetti, e in seguito, Berlusconi, hanno più volte evidenziato, come grave limite della storia italiana medioevale e risorgimentale, il fallimento e l’abbandono, in definitiva, dello “Spirito di Legnano 1176” e di Carlo Cattaneo, massimo esponente del Risorgimento federalista (spirito da intendere, però, in senso abbastanza diverso da come fatto, a suo tempo, dalla Lega Nord, soprattutto della fase bossiana).

Mentre sarebbe fortemente riduttivo, e quindi errato, intendere il liberalismo di Berlusconi come “riedizione italiana” dell’ultraliberalismo di Ronald Reagan e, mutatis mutandis, Donald Trump. Per il Cavaliere, sottolinea ancora l’autore del saggio, contrastare le deformazioni burocratico-parassitarie del keynesismo non ha mai significato dimenticare la funzione dello Stato come attore economico-sociale d’essenziale importanza. Regolatore dei conflitti sociali e propulsore di grandi progetti di sviluppo: in giusta partnership con un mercato e un’iniziativa privata forti e solidali con gli ultimi (nella tradizione, del resto, del cattolicesimo sociale lombardo, in cui anche l’uomo di Arcore era cresciuto). Il terzo capitolo analizza proprio il rapporto del fondatore di Finivest, e poi di Forza Italia, col Cattolicesimo.

Gli ultimi due capitoli, si soffermano infine sul rapporto di Berlusconi con la cultura politico-sociale del Novecento. Evidenziando il suo contributo al progressivo superamento del gramscismo e di quel che è stato – al di là del doveroso rispetto per la vicenda umana dell’uomo di Ales – il suo peggior frutto: cioè la devastante teoria dell’indispensabile egemonia culturale della sinistra, servita, dall’immediato Dopoguerra in poi, come alibi per l’occupazione delle strutture culturali del Paese (editoria, scuola, università) da parte, soprattutto, della sinistra massimalista e comunisteggiante. Quella, cioè, che sin dal Congresso socialista di Reggio Emilia del 1912 pose, sulla sinistra italiana nel suo complesso, l’ipoteca rovinosa del massimalismo, a danno della componente socialista autenticamente democratica, riformista, europea. Il libro sarà presentato domani, alle 18, nella Sala Mostre e convegni della Gangemi Editore in Via Giulia, 142, Roma. Con un saluto di Antonio Tajani, ministro degli Esteri; e gli interventi di Mario Ajello, editorialista del Messaggero e Umberto Croppi, direttore di Federculture. Moderatore: Angelo Polimeno Bottai, giornalista del Tg1. Sarà presente l’autore.

 (*) Silvio Berlusconi e la città ideale di Francesco Giro, introduzione di Antonio Tajani, Gangemi Editore 2024, 112 pagine, 15 euro


di Fabrizio Federici