martedì 2 aprile 2024
Nel non lontano 2012 l’Università di Pisa e la Scuola Normale avevano dedicato una targa alla memoria degli ebrei che le leggi razziali del regime fascista avevano escluso dagli studi. Oggi, la Scuola Normale, con un lungo e sentenzioso documento palesemente dedicato alla guerra in atto a Gaza, chiede che i Ministeri degli Esteri e dell’Università limitino “tutti i bandi e i progetti da essi promossi per favorire la cooperazione industriale, scientifica e tecnologica con altri Stati” assicurandosi che “rispettino rigorosamente i principi costituzionali, con particolare riferimento all’articolo 11 della nostra Costituzione che recita: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Apparentemente non c’è contraddizione fra i due eventi, ma è innegabile che, mentre il primo esprimeva sentimenti di dolore e tristezza, il secondo sembra dominato, più che altro, da un’avversione verso lo Stato di Israele che si ritrova, del resto, nell’umore sguaiato e urlante dei contestatori in varie piazze italiane.
Il riferimento all’articolo 11 è decisamente grottesco dato che l’Italia non è in guerra e dunque il richiamo alla nostra Costituzione pare piuttosto proporre che, d’ora in poi, i Governi italiani, prima di stabilire un rapporto scientifico con un altro Paese, debbano aprire una pratica – magari istituendo una commissione permanente ad hoc, possibilità che fa venire i brividi – per verificare se, quel Paese, rispetti l’articolo 11 della nostra Legge fondamentale. Idea forse ispirata da una elevatissima coscienza morale ma, nei fatti, tale da paralizzare l’intera rete di rapporti oggi esistente fra le università di tutto il mondo dato che le guerre locali vanno e vengono praticamente ovunque. Non è però chiaro se gli atti terroristici debbano indurre a un analogo comportamento di condanna, dato che, nel documento in oggetto, non si fa alcun riferimento alla strage del 7 ottobre. Forse il silenzio a questo riguardo deriva dal fatto che nella Costituzione italiana il termine “terrorismo” non compare mai? Sarebbe interessante sapere cosa pensi la Scuola Normale di espressioni del tipo “Boicottiamo Israele, sosteniamo gli Houthi” di noti pacifisti vittime dell’Occidente guerrafondaio, proclamate in una manifestazione a Bologna. Espressioni che si stanno moltiplicando e nelle quali l’odio per Israele – che, dopo il 7 ottobre, non ha infatti ricevuto il sostegno di alcuna manifestazione – prevale nettamente sull’affetto verso la povera gente di Gaza. Ma il blocco dei bandi di collaborazione scientifica, dovuto al sussiego pacifista di professori e rettori universitari che, nelle loro dichiarazioni orientate alla tecnica del colpo al cerchio e colpo alla botte, danno il senso di una molto modesta capacità politica, a quali rapporti si riferisce?
Il sito Internet curato dal nostro Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, riporta quasi 200 convenzioni attive di collaborazione fra Cnr, università italiane e israeliane fra i quali appaiono progetti sicuramente rispettosi del nostro articolo 11, per esempio nell’ambito degli studi agroalimentari, degli assetti idro-geologici, della medicina e dell’archeologia. Certo, compaiono qua e là alcuni progetti fra istituti di fisica, ma chi deciderà se si tratta di studi che, alla fine, potrebbero essere utili alle attività militari? E forse noi stessi dovremmo allora autoescluderci, data la nostra antica consuetudine nell’ambito dell’industria delle armi? Come nel caso, ormai archiviato fra le indecenze più banali, degli artisti russi sdegnosamente respinti da sussiegosi difensori della pace affetti da sindromi di delirio protagonistico, anche il caso in questione probabilmente verrà presto superato e dimenticato anche se lascerà una traccia ben poco lusinghiera per il livello intellettuale di parte dell’università italiana. Fino al prossimo evento bellico? Chi lo sa. Dipenderà dagli attori in gioco. Di fronte, per esempio, a un eventuale attacco cinese a Taiwan state pur certi che l’articolo 11 non mobiliterà l’animosità di alcuno. Ma se Taiwan reagisse, magari con l’aiuto occidentale, addio anno accademico.
di Massimo Negrotti